Punto diplomatico.
La gioia contenuta della Casa Bianca


“Non è ancora il momento di celebrare la vittoria”. Donald Rumsfeld, nel momento in cui potrebbe prendersi qualche rivincita sulle critiche ingiustificate dei giorni scorsi, mantiene il sangue freddo e getta acqua sul fuoco. Mentre sugli schermi delle tv di tutto il mondo scorrono le immagini di Baghdad liberata, con gli iracheni finalmente liberi dal terrore e festanti per le strade, con i simboli del regime che cadono a pezzi e con le statue del rais tirate giù dai tanks americani, nelle austere sale del Pentagono il capo della Difesa americana misura le parole. “C’è ancora molta gente che sarà uccisa, molta gente che morira” avverte Rumsfeld, ricordando che la conquista di Baghdad non distoglie le truppe alleate dai prossimi obiettivi nel nord dell’Iraq, dove si pensa che Saddam si sia rifugiato con gli ultimi fedelissimi e un gruppo della guardia repubblicana. Gli fa eco il generale Richard Myers, capo di Stato Maggiore, che nel briefing di fine mattinata ha fatto il punto della prevedibile resistenza irachena che gli americani debbono ancora attendersi: “Ci sono almeno dieci divisioni regolari e una brigata della Guardia Repubblicana nel nord ed elementi della Guardia repubblicana intorno a Baghdad”. Insomma, gli iracheni possono festeggiare, le truppe americane ancora no.

Dalla Casa Bianca fanno sapere che il presidente Bush è rimasto incollato davanti alla tv a seguire le scene di giubilo di Baghdad. “E’ l’inestinguibile desiderio di libertà – ha detto Bush - agli iracheni è stata data la possibilità di liberarsi da un regime e la stanno cogliendo”. La guerra volge al suo epilogo ma anche Bush ci tiene a spegnere i facili entusiasmi. Non per scaramanzia: ormai il regime è in rotta, gran parte del paese è liberato e nelle sone del sud si stanno avviando le prime forme di amministrazione temporanea. Ma la partita non è chiusa, al nord ci saranno ancora combattimenti, si teme un nuovo assedio al fortino di Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. Stessa situazione a Downing Street, dove Blair e i suoi collaboratori hanno seguito in tv le immagini di festa a Baghdad. Grande soddisfazione è stata espressa dalle fonti ufficiali.

Mentre il confronto diplomatico sulla gestione del nuovo Iraq ha segnato il passo davanti alle novità della giornata, è confermato per il fine settimana a San Pietroburgo il vertice dei capi di Stato e di governo dei paesi che non hanno appoggiato la guerra anglo-americana. Putin, Schröder e Chirac faranno il punto della situazione. Al di là delle apparenti comunanze, le posizioni dei tre leader appaiono non più convergenti. Dopo l’incontro moscovita con Condoleezza Rice, Putin sembra volersi smarcare dall’abbraccio con l’asse Parigi-Berlino e intavolare una nuova stagione di rapporti bilaterali con Washington nei quali può giocare un ruolo assai più rilevante. Il vertice di San Pietroburgo potrà dare la misura delle divergenze, al di là del prevedibile unanimismo di facciata. Ultima notizia viene dai territori palestinesi dove il ministro degli Esteri tedesco Josckha Fischer ha incontrato Yasser Arafat nonostante l’opposizione manifestata dal governo israeliano. Una prova di forza che a Gerusalemme non hanno apprezzato. (p. men)

10 aprile 2003

pmennitti@ideazione.com
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