Punto diplomatico.
Bush e Blair: vinceremo. “Fuoco amico” a Bruxelles

”Non importa quanto ci vorrà. Andremo avanti uniti, fino alla vittoria, conquistando terreno piano piano. E libereremo l’Iraq portando la democrazia ai suoi abitanti”. Bush e Blair parlano all’unisono nella conferenza stampa di Camp David alla fine del vertice di guerra tenutosi a una settimana dall’inizio del conflitto. Dicono quasi le stesse cose, tirano fuori lo stesso orgoglio, annunciano al mondo che l’obiettivo è solo la vittoria, l’eliminazione di Saddam e l’avvio di una nuova era per l’Iraq. Non esiste un problema di tempi: la guerra sarà lunga ma la sua durata non è questione che possa mettere in difficoltà la coalizione. E’ passata solo una settimana dall’inizio dell’invasione e il percorso compiuto è già enorme. Le truppe si prenderanno il tempo che sarà necessario per operare con successo.

La prima cosa che viene in mente, leggendo tra le righe dei discorsi, è che gli alleati si preparano ad un lungo assedio alle città irachene, a Bassora e soprattutto a Baghdad. Cercheranno di evitare la battaglia urbana, lo scontro corpo a corpo, casa per casa per evitare un alto numero di vittime tra i civili iracheni e tra i soldati alleati. Ci vorrà più tempo ma l’ipotesi di una grande battaglia finale è solo l’ultima delle diverse opzioni sul tappeto. Per questo Bush e Blair dicono con chiarezza che il tempo non sarà la preoccupazione maggiore nei prossimi giorni. Come era prevedibile, nel mezzo di un conflitto appena iniziato, i due leader hanno speso molte parole sulla guerra stessa, lasciando trapelare solo qualche indiscrezione sul post Saddam. Accenni diversi si sono intuiti nelle due dichiarazioni: Blair ha insistito sul recupero del ruolo dell’Onu e degli alleati europei che non hanno appoggiato la posizione anglo-americana nel quadro di una collaborazione ampia per ridisegnare il quadro politico del Medio Oriente, laddove Bush è apparso più freddo. Ma entrambi hanno ricordato che l’appoggio politico alla guerra è molto vasto e che moltissimi sono i paesi al fianco della Coalizione.

Blair in particolare ha ricordato come sia errato considerare tutta l’Europa contraria alla guerra a Saddam: “Una parte dell’Europa è contraria ma molti altri paesi europei sono con noi, e con noi sono i nuovi paesi dell’allargamento”. Il premier inglese è apparso più battagliero, forte probabilmente del tirocinio maturato in patria dove ha dovuto lottare contro il suo partito e l’elettorato che ha trascinato dalla sua parte solo nelle ultime settimane della crisi. Bush invece è apparso condottiero sicuro del sostegno degli americani, più propenso alle dichiarazioni secche e definitive. Entrambi però hanno ammonito il mondo: combattiamo contro un satrapo che non esita a far giustiziare i nostri prigionieri di guerra, a esporli al pubblico ludibrio delle piazze contravvenendo a ogni regola di umanità e di diritto.

Nel frattempo l’Europa affonda. “Fuoco amico” a Bruxelles: il Parlamento europeo passa due giorni a discutere, illustrare e dibattere sette mozioni sette sulla guerra in Iraq e al momento della votazione i parlamentari le impallinano tutte quante. I testi erano stati elaborati dai seguenti raggruppamenti: Ppe, Pse, Eldr, Eurodestra, Verdi, Comunisti, oltre a un documento firmato da tre gruppi del centrosinistra, Eldr, Pse e Verdi. Veti incrociati manco fossimo al Consiglio di sicurezza dell’Onu ed ennesima dimostrazione di quanto le parole di buona volontà siano assai lontane dai fatti. Tanto più che la mozione del Ppe era l’unica a proporre un compromesso sulla base di una chiara scelta di campo: è il regime di Saddam, con le sue continue sfide alle risoluzioni dell’Onu, che ha portato alla guerra. Le altre presentavano posizioni più neutraliste, quando non antiamericane, secondo una gradualità che variava più nei toni che nei contenuti. L’unica assemblea elettiva diretta dell’Unione, dunque, alza bandiera bianca, certificando una divisione interna profondissima. (p. men)

27 marzo 2003

pmennitti@ideazione.com
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