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        Punto diplomatico. 
        S’infiamma la polemica con la Siria pro-Saddam 
         
        Saddam in fuga verso Damasco a seguito della sua famiglia? La notizia, 
        di quelle incontrollate che rimbalzano di redazione in redazione senza verifica, spiegherebbe secondo alcuni osservatori 
        l’indurimento dei rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Siria. Restando 
        ai fatti certi, invece, il precipitare delle relazioni tra i due paesi è 
        dovuto alle accuse di Washington (supportate da informazioni di 
        intelligence) alla Siria per aver venduto forniture di strumenti per 
        combattimenti notturni all’Iraq. Al botta e risposta del fine settimana 
        scorso tra Donald Rumsfeld e Mikhail Wehbe, ambasciatore all’Onu, si è 
        aggiunto quello tra Colin Powell e il suo omologo siriano. Il Segretario 
        di Stato aveva ammonito: “La Siria ha davanti a sé una scelta critica: 
        continuare ad appoggiare gruppi terroristici e il regime morente di 
        Saddam Hussein o avviarsi su una rotta diversa e più utile. In un modo o 
        nell'altro la Siria sarà responsabile delle proprie scelte e delle loro 
        conseguenze”. E la Siria ha scelto. Per bocca del ministro degli Esteri 
        ha scelto “di stare a fianco del popolo iracheno" e "ha scelto la 
        legalità e le Nazioni Unite". Il popolo iracheno, ha aggiunto, "deve far 
        fronte ad una invasione illegale e ingiustificata" ed è anche sottoposto 
        "ad ogni tipo di crimine contro l'umanità". 
         
        Insomma, la Siria è con Saddam. Si rafforzano i rapporti fra i due 
        partiti fratelli baathisti dopo decenni di divisioni e contrasti aspri. 
        Secondo indiscrezioni giornalistiche di fonte israeliana e inglese, un 
        consistente gruppo dei familiari più stretti di Saddam (tra cui le 
        mogli) sarebbe già fuggito in territorio siriano portando con sé parte 
        del tesoro del dittatore iracheno. A prescindere dalle notizie 
        incontrollate di queste ultime ore, che la via di Damasco sia la 
        probabile direzione di fuga del satrapo braccato è ipotesi assai 
        accreditata. 
         
        Si fa più difficile, e non potrebbe essere altrimenti, la situazione nei 
        paesi arabi. Le manifestazioni di piazza si fanno più intense, eccitate 
        anche dalle notizie lanciate dalla propaganda irachena (e amplificate 
        dai mezzi d’informazione occidentali e arabi) della calata di 4mila 
        kamikaze pronti a nuovi attentati terroristici contro le truppe alleate. 
        Una situazione esplosiva che forza la mano a leader considerati moderati 
        come l’egiziano Hosni Mubarak che accusa: “Dopo questa guerra invece di 
        un Osama bin Laden avremo cento Osama bin Laden”. Una profezia che si 
        sarebbe potuta scongiurare se la Lega Araba, improvvisamente tornata a 
        sputare fuoco e fiamme, si fosse adoperata nel corso di questi dodici 
        anni ad isolare e poi a “dimettere” Saddam Hussein. 
         
        Se l’Arabia ribolle, in Europa torna un po’ di sereno. La notizia è che 
        il Cancelliere ha deciso l’invio di mezzi navali leggeri di tecnologia 
        avanzata a scorta delle navi militari alleate che trasportano uomini e 
        armi nel Mediterraneo. Nella silenziosa ma decisa virata tedesca dal 
        pacifismo al collaborazionismo ci sono considerazioni di interesse 
        nazionale che sino ad ora Schröder aveva ignorato. E che stavano 
        costando soldi e prestigio all’economia e alla politica estera di 
        Berlino. Rispetto all’opposizione totale alla guerra, senza se e senza 
        ma, con la quale il governo rossoverde ha vinto le elezioni lo scorso 
        settembre il salto è colossale. La storia è piena di questi voltafaccia 
        e quello di Schröder non sarà né il primo né l’ultimo. La faccia tosta 
        per fare capriole mortali ce l’ha, fa parte del suo non ricchissimo 
        bagaglio personale ed è l’ancora di salvezza che lo ha aiutato in molte 
        situazioni difficili. 
         
        E difficile era divenuta la situazione economica del paese, dovuta 
        innanzitutto alla crisi strutturale del modello sociale di mercato ma 
        accentuata dalla sofferenza del mercato interno americano, principale 
        sbocco dell’export tedesco. La potente Confindustria tedesca ha molto 
        premuto affinché il Cancelliere non aggravasse, con il suo atteggiamento 
        antiamericano, la predisposizione del consumatore statunitense verso i 
        prodotti Made in Germany. Dalle reazioni dei consumatori alle ritorsioni 
        commerciali che l’amministrazione Bush avrebbe potuto esercitare il 
        ventaglio delle preoccupazioni per Berlino era piuttosto esteso. Ecco 
        dunque che il Cancelliere ha invertito la rotta, prima rimarcando la 
        presenza di militari tedeschi sugli aerei della Nato che controllano la 
        No-Fly Zone nel Nord dell’Iraq, quindi inviando l’agile e rapida forza 
        navale a supporto delle più grosse navi della coalizione. Così che la 
        stampa di Germania, affezionatasi al pacifismo più dei suoi politici, 
        oggi si stupisce che la Germania faccia assai più dell’Italia a supporto 
        degli alleati. 
         
        Chirac, dunque, rischia di rimanere isolato? Niente affatto. Anche la 
        diplomazia francese, con passi assai più felpati rispetto a quella 
        tedesca, muove le proprie pedine. E il ministro degli Esteri Dominique 
        de Villepin si è recato in Gran Bretagna per riallacciare i rapporti con 
        Blair. E’ incappato nella gaffe di non rispondere, a un cronista che 
        glielo chiedeva, se si augurava una vittoria degli alleati rispetto a 
        Saddam. Ma al riparo da telecamere e taccuini ha impostato con i 
        colleghi inglesi i termini di una ripresa dei rapporti e della 
        concertazione (anche in chiave europea) per superare nel dopoguerra la 
        crisi bilaterale di questi ultimi mesi. In più c’è da registrare lo 
        strano caso della nave americana Cape Horn, nei giorni scorsi fermata da 
        un’avaria nel Mar Tirreno. Riporta il quotidiano "L’opinione" che dopo 
        aver inutilmente peregrinato per i porti italiani (Livorno e La Spezia), 
        scacciata dalla fiera protesta dei portuali targati Cgil, la nave ha 
        riparato nel porto francese di Tolone, portandosi appresso la dote di 
        280 mila dollari di commessa che andranno a lubrificare l’economia della 
        pacifista Francia. 
        (p. men) 
         
        
        
        1 aprile 2003 
         
        pmennitti@ideazione.com | 
           
         
        
          
         
        
       
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