Punto diplomatico. “Disertate e avrete salva la vita”

Non sorprenda il lettore la distinzione fatta ieri su questo giornale tra diplomazia di guerra e diplomazia di pace. Da quando è iniziato il conflitto, è entrata in funzione una sorta di diplomazia militare che si svolge sul terreno bellico parallelamente alle azioni degli eserciti con l’obiettivo di agevolarne il compito. E’ un’attività svolta dai comandi generali o dagli ufficiali dell’intelligence e riguarda i contatti sotterranei con comandanti dell’esercito iracheno. L’obiettivo dichiarato è quello di isolare sempre di più Saddam Hussein e la sua cricca di familiari dai vertici militari del paese.

Invito alla diserzione
Secondo indiscrezioni raccolte dal Washington Post, gli ufficiali dell’Intelligence Usa presenti segretamente a Baghdad avrebbero indicato ai comandanti iracheni che vorranno disertare una serie di palazzi sicuri, promettendo loro che non saranno mai obiettivo dei bombardamenti aerei. Grande preoccupazione desta la possibilità che, una volta ingaggiata la grande battaglia per Baghdad, la Guardia repubblicana – il corpo speciale fedelissimo di Saddam – utilizzi armi chimiche contro i soldati americani. Per questo gli stessi ufficiali dell’Intelligence premono sui comandanti di brigata iracheni per scongiurare questo tipo di risposta promettendo un trattamento di riguardo a guerra conclusa. In alcuni casi avrebbero ottenuto la promessa dell’utilizzo di sole armi convenzionali. Secondo indiscrezioni l’Intelligence starebbe tenendo sotto controllo una unità della Guardia repubblicana posizionata fuori Baghdad che avrebbe caricato la propria artiglieria con armamento chimico.

Il nodo della Turchia
E’ divenuto caldo il fronte Nord di questa guerra, da quando alcune unità delle truppe turche hanno varcato il confine nella regione del Kurdistan, Irak del nord. Sono in corso contatti tra le autorità statunitensi e quelle di Ankara per disinnescare un elemento di potenziale conflitto nei rapporti tra alleati. All’irritazione delle forze militari kurdo-irachene in armi contro l’esercito regolare di Saddam, si aggiunge quella della Germania (che a dispetto di quel che si pensa ha in Irak alcuni piloti che erano impegnati in operazioni di sorvolo e controllo della No-Fly-Zone e che sono rimasti nonostante Berlino si sia dichiarata contro la guerra): Schröder minaccia di ritirarli se la Turchia entrerà dentro questo conflitto. Ma il cancelliere tedesco è sempre più isolato, scavalcato a destra dal ministro degli Esteri Josckha Fischer, più filoamericano, a sinistra dalla base parlamentare dei Verdi, che lo accusano per aver comunque concesso lo spazio di sorvolo agli Usa e osteggiato dalla sua stessa diplomazia: “La nostra politica estera? Si fa a Parigi”, è la battuta corrente tra le feluche tedesche.

Si pensa al dopoguerra
Per quel che riguarda la diplomazia di pace, con la quale intendiamo i tradizionali rapporti fra le cancellerie degli Stati, c’è da registrare la richiesta dell’Irak al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condannare l’attacco anglo-americano e di fare in modo che vengano deposte le armi. Ma i contatti tra le diplomazie vertono già sul dopoguerra e sulla ricostruzione, che fa gola a tutti, anche a coloro che hanno frapposto ostacoli all’attacco anglo-americano. La Francia, tanto per non smentirsi, pare molto attiva in tal senso. L’Onu potrebbe ritrovare, a guerra conclusa, un qualche ruolo di rilievo. Per ora le sue agenzie umanitarie si impegnano – con il prevalente contributo economico americano – ad approntare le strutture per affrontare un’eventuale emergenza di profughi ai confini del teatro bellico. (p. men)

23 marzo 2003

pmennitti@ideazione.com
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