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[28 mag 08]
Ict, il futuro delle reti in Italia

Corrado Calabrò ritorna, con una intervista ad Affari & Finanza, il supplemento economico de la Repubblica, sul tema della rete come dimensione autonoma da quella degli operatori che la utilizzano. Un obiettivo che in Italia ebbe una certa risonanza quando, durante i primi mesi del governo Prodi, venne ipotizzata, anche attraverso un lungo documento rilasciato dalla Autorità per le comunicazioni, presieduta proprio da Calabrò, la nascita di una entità, autonoma e separata da Telecom, che potesse gestire la rete come infrastruttura distinta dagli operatori che la utilizzano. Questa volta Calabrò parte da un problema operativo e paradossale: anche se l’attuale proprietario della rete fissa, cioè Telecom, volesse investire per adeguarne le prestazioni ad una velocità di trasmissione più elevata, verrebbe paralizzato da una normativa che rende farraginosa l’apertura stessa dei cantieri necessari alla realizzazione dell’operazione. Fare buche e posare nuovi cavi in fibra ottica, necessari per aumentare la velocità di trasmissione, al posto od affianco ai vecchi doppini di rame, un reticolo di procedure, autorizzazioni e controlli renderebbe impossibile l’apertura ed il funzionamento dei cantieri edilizi. Calabrò ipotizza anche una soluzione amministrativa: l’utilizzo della Dia e della servitù coattiva: la dichiarazione di inizio lavori, quella per iniziare lavori di interesse comune in un condominio, ed il ricorso alla servitù coattiva, che si utilizza quando si deve intervenire sugli acquedotti o le reti per l’energia elettrica.

Insomma, rete per rete, si potrebbe utilizzare l’impianto giuridico esistente per fare un salto tecnologico necessario e preliminare nella capacità di trasportare segnali dalla rete delle telecomunicazioni nazionali. Questo salto tecnologico - aumentare la velocità di percorrenza per trasportare dati e servizi aggiuntivi sulla rete invece che utilizzarla per la voce o per scaricare video amatoriali - sarebbe tuttavia incompatibile con le attuali capacità finanziarie della sola Telecom. Ne segue che bisognerebbe riaprire la discussione sulle modalità per creare una entità giuridica nuova, alla quale conferire solo la rete, separandola dalla entità che gestisce la operatività dei servizi e dei dati attraverso la rete medesima. In linea di principio, sul terreno della logica analitica, questa operazione si percepisce come possibile: come la gestione di una autostrada non include la proprietà dei camion, o delle corriere, ma neanche quella dei taxi e delle automobili private, che trasportano merci e persone grazie all’esistenza dell’autostrada, si potrebbero, per analogia, immaginare che molti operatori sviluppino servizi e trasmissione di dati, in remoto e tra destinatari diversi, utilizzando tutti la medesima rete, pur non essendone gli esclusivi proprietari. Si dice anche, nel linguaggio comune, che le reti sono autostrade della comunicazione, del resto. Trasferire questa percezione funzionale in una dimensione economica e giuridica nuova, tuttavia, incontra qualche difficoltà sul piano tecnologico. Ed anche su quello della trasformazione del mercato che dovrebbe accompagnare la trasformazione stessa.

La rete per le telecomunicazioni è fatta di elementi materiali, i cavi, in fibra od in rame e le loro condotte, ma anche di attrezzature e tecnologie che li attivano, alcune tangibili ed altre che hanno la natura di software per fare funzionare l’hardware sottostante. Una rete per le telecomunicazioni, insomma e per farla breve, presenta un confine meno determinato di quello che si osserva in una autostrada di cemento, tra il punto in cui finisce la gestione e la manutenzione degli impianti e quello in cui inizia la produzione e la distribuzione dei servizi relativi. Fino a dove si deve estendere la giurisdizione operativa del gestore e come guadagna il gestore che, inevitabilmente, diventa un vero e proprio monopolista rispetto agli operatori? Si può pensare alla creazione di un bene di club, cioè posseduto da tutti gli operatori, una sorta di condominio dove tutti coloro che hanno accesso sono anche proprietari della rete utilizzata. Si può pensare ad un monopolio di Stato. Si può pensare ad una public company, una società quotata e gestita da manager, nella quale nessun azionista abbia una posizione rilevante ai fini del controllo. Ma, fatta la ingegneria finanziaria, resterebbe comunque ambigua la zona di confine tecnologico dove si separano nettamente il vettore ed il trasportato, il contenuto di servizio all’utente finale e quello di dispacciamento del servizio. Infine, ma non è certo la cosa meno importante, si deve valutare la dinamica del mercato e la natura delle forze che lo muovono. In Italia sono la voce la telefonia, e l’intrattenimento le grandi leve del mercato nelle telecomunicazioni. Non esiste una diffusione della Ict orizzontale, cioè capace di riordinare e ridefinire la struttura stessa delle organizzazioni economiche italiane, di ogni genere di impresa, grazie alla implementazione delle utilizzazioni della informatica.

Molto più spesso le organizzazioni conservano le proprie procedure e le proprie gerarchie e, invece di comunicare tra loro con strumenti tradizionali, ne utilizzano di informatici. Fino a quando la Ict non sarà la leva per riprogettare la struttura organizzativa delle produzioni, non prenderà corpo una domanda di servizi in remoto e di connettività ad alta velocità per la trasmissione dei dati: in dimensioni che abbiano rilievo per il mondo degli affari. E, per trasmettere voce e strumenti di intrattenimento, la banda larga in fibra potrebbe essere anche ridondante. E’ difficile capire se la domanda, in questo caso, possa anticipare l’offerta di una infrastruttura per gestire i servizi necessari a veicolare verso quella domanda una nuova offerta. Ma è anche rischioso creare l’infrastruttura scommettendo contro una doppia incertezza: che essa sia realizzata in tempi ragionevoli e che, con altrettanta tempestività, le imprese e le organizzazioni pubbliche italiane rivoluzionino la propria architettura organizzativa. Corrado Calabrò provoca il sistema con intelligenza ma questa è una singolare ed ulteriore testimonianza di come sia strano il nostro Paese. I regolatori sono più lungimiranti ed innovativi degli operatori! Capita anche nelle banche per dirne una, pensando alle visioni di Draghi ed alle gestioni delle banche. Segnali, questi, di un Paese dove non è quella di mercato la base diffusa della cultura economica.

Approfondimenti
L'intervista di Stefano Carli a Corrado Calabrò
I documenti dell'Autorità delle telecomunicazioni sull'eventuale unbundling della rete da Telecom

 


 

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