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IL CORAGGIO DI ESSERE BUONI. A DESTRA.
Il numero di aprile di Charta Minuta, mensile della Fondazione FareFuturo, lancia l'ultima sfida della destra: rinunciare alla cattiveria a tutti i costi.
di FILIPPO ROSSI

[28 apr 08] E ora l’ultimo strappo della destra italiana. La svolta definitiva, quella che le comprende tutte e le rilancia nella nuova fase politica. “Il coraggio di essere buoni”, così potremmo definirlo, seguendo il ragionamento dell'ultimo numero di Charta minuta, il mensile della Fondazione Farefuturo di Gianfranco Fini, dal titolo chiarificatore La rivincita dei buoni sentimenti e un sottotitolo ancora più esplicativo Fuori dal tunnel del cattiverio, la destra che parla alla maggioranza degli italiani. Perché è arrivato il momento – questa la tesi del numero monografico – di tagliare i ponti col “grande equivoco” del “pensiero forte”; di uscire, insomma, da quel territorio del cattiverio che per troppi anni è diventato sinonimo tout court di cultura di destra. In un continuo gioco di specchi deformanti, una certa destra italiana si è ritrovata, infatti, quasi senza accorgersene, a interpretare e recitare un ruolo macchiettistico e insensato rispetto a una società in continua evoluzione: cupa, dura, inflessibile, affascinata dall’estremo, la cultura della destra ha finito per modellare la propria identità sull'immagine che gli avversari fornivano di lei. Se Pierluigi Battista ha di recente potuto definire il “cattiverio” come quel “recinto infetto e inavvicinabile di chi è condannato a star fuori dai circuiti della rispettabilità e del commercio sociale delle idee”, per la destra italiana è, allora, giunto il momento di tornare rispettabile e inserirsi a pieno titolo nel dibattito quotidiano (e normale) delle idee.

Quella che serve in questa fase della storia d’Italia è una politica con una vocazione inclusiva, capace di utilizzare in modo fecondo le diverse ispirazioni culturali, ideali e religiose. E’ per questo che la destra non può ridursi alla rappresentanza di settori limitati della società civile e non si può crogiolare nelle affermazioni e nelle provocazione del cosiddetto “politicamente scorretto”. Serve, piuttosto, una destra “politicamente corretta”, a pieno titolo dentro l'immaginario condiviso e la cultura comune degli italiani. Anche a rischio di essere accusati di buonismo: “Ora è necessario che prevalga l’altra destra – spiega Adolfo Urso nell'editoriale – che si faccia carico appunto del bene comune e che sappia guardare solo all'interesse generale sobria nell'azione e coerente nel pensiero. Non dobbiamo mai più pensare che la destra sia quella di chi ripete stridulo ‘facite a faccia feroce’ o di chi allude sguaiato ai comportamenti individuali (sempre altrui) o di chi s'agita perché non pensa. Il Paese ha bisogno di voltare la pagina del secolo, anche se troppo in ritardo. E la destra deve contribuire a farlo o non sarà mai veramente destra”.

Come spiega Umberto Croppi, infatti, non può essere certo la cattiveria (intesa anche solo come atteggiamento esteriore e retorico) il biglietto da visita di una destra contemporanea: “In molti si sono esercitati negli ultimi decenni a disegnare la carta d’identità di destre e sinistre possibili, a compilare scalette di valori contrapposti, a giudicarne le morali. Alla fine della fiera, però – spiega Croppi – pare proprio che, se caratteri distintivi esistono per definire le due famiglie, tra questi non possano annoverarsi la bontà e la cattiveria”. La conferma arriva da un Giano Accame che ripercorre “il buonismo congenito della destra italiana”: “La destra rifiuta di strumentalizzare qualunque sentimento razzista o ‘cattivista’, perché riconosce che la bontà, la pietas, il dono latino dell'umanità, la capacità della compassione, sono tipiche qualità italiane degne sopra ogni altra d'esser preservate. Il nostro più autentico nazionalismo non si vantò mai di essere spietato. E persino nelle nostre tardive avventure coloniali coltivammo verso il Terzo Mondo degli atteggiamenti di apertura, simpatia, collaborazione”.

“Si diffida dei buoni sentimenti – spiega ancora su Charta il poeta e scrittore Giuseppe Conte – in quanto sentimenti, prima ancora che buoni. Si diffida di chi ‘sente’ la vita ancora scorrere nel suo corpo e nella sua anima, e ne segue le energie creative. Creativo in prima istanza è l’amore. Creativa in prima istanza è la ricerca della verità. Ecco che cosa si teme: l’amore e la ricerca della verità, che sono forze di sommovimento, di rilancio verso un futuro da costruire”. La scelta dei buoni sentimenti, paradossalmente, in politica è tutt’altro che una scorciatoia. Per molti, infatti, fare politica coincide con il limitarsi a raccogliere elettoralmente, con la “bava alla bocca”, le peggiori pulsioni e paure del genere umano: “E’ sicuramente più facile dare espressione a questi sentimenti – spiega Luciano Lanna – che rispondere con una prassi, con l’azione e con un processo reale di cambiamento alla maggioranza del Paese normale”. E’ proprio in questo passaggio storico che, secondo Lanna, serve “una destra politica in grado di rappresentare il Paese maggioritario, l'Italia degli et-et e della normalità diffusa, non la società delle contrapposizioni radicali e delle richieste di risposte forti”.

“Può esistere un'altra destra?”, si è chiesto il giornalista Filippo Facci, tentando di far emergere l'alternativa a quella deriva cattivista – senz’altro anti-politica e di matrice neo-qualunquistica - da cui, in certi ambiti e in qualche momento, è stata affetta l’immagine complessiva dell’area politica che nell’Italia bipolare si è contrapposta alla sinistra. E le domande del giornalista puntano tutte a individuare la possibilità di questo spazio normale, tranquillo e non cattivista. “C’è uno spazio serio - si domandava Facci - a destra per i distinguo? C’è spazio per chi non reputi la Fallaci un vertice della cultura occidentale? C’è spazio, a destra, per chi non sia ossessivamente filo-israeliano? C’è spazio per chi non sia clericale? C'è spazio per i garantisti di vecchio stampo? C'è spazio per chi non sia disposto a difendere, sempre e in ogni caso, il corporativismo di tutte quelle categorie che notoriamente evadono il fisco? C’è spazio per chi sia disposto a riconoscere un pur minimale fondamento a certe questioni ambientaliste?”. Le risposte – suggerisce Charta - non possono che essere affermative. A patto che si abbia il coraggio di rappresentare fino in fondo tutto il proprio radicamento sociale e tutte le proprie potenzialità di normalità. A patto di avere il coraggio di tornare a essere buoni. 


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