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Donne sufi, le sconosciute mistiche dell’Islam
di ROSSELLA FABIANI

[30 mag 08] Il termine “sufismo” o “tasàwwuf” indica la forma di ricerca mistica dell’Islam. Storicamente il termine sufi indicava colui che indossava un vestito di lana (in arabo suf), che i primi asceti musulmani avevano scelto come segno distintivo del loro modo di vivere. In seguito il termine passò ad indicare il modo di vivere stesso, indipendentemente dal vestito indossato. Il sufismo, come ogni esperienza mistica, intende avvicinare l’uomo a Dio e si pone principalmente come esperienza pratica di vita, non come sapere teorico. Per questo motivo è impossibile darne una definizione precisa. Al contrario, è proprio attraverso le sue manifestazioni storiche che il sufismo può essere conosciuto e descritto. Il sufismo è il cuore stesso della fede islamica, ossia “la testimonianza e la professione dell’unità di Dio” (tawhid) quali sono state tramandate dal Corano e attribuite al profeta dell’Islam, Muhammad. Il misticismo è la tendenza dell’anima umana all’unione con l’Assoluto, o piuttosto un bisogno di allontanamento dal mondo (il quale solitamente viene chiamato realtà) per raggiungere un più elevato livello di consapevolezza. La ricerca di questa consapevolezza ed unione con l’infinito è caratterizzata da un progressivo distacco sia dalla conoscenza sensibile sia da quella razionale, fino alla perdita dell’io nel “tutto”. Il tasawwuf è un fenomeno molto diffuso nell’Islam, anche se poco visibile a causa della grande riservatezza osservata dai praticanti. Il sufismo è diffuso soprattutto nel mondo sunnita, meno in quello sciita dove sono attive infatti soltanto due confraternite islamiche, la Ni’matullahiyya e la Dhahabiyya, a fronte delle decine di confraternite sunnite tuttora operanti. Nell’Islam sunnita, invece, la totale mancanza di sacerdozio e di una classe di tipo clericale che possa assolvere alla funzione intermediatrice fra Dio e le sue creature comporta una ricerca di Dio e della Sua volontà molto più faticosa e difficile. Ancora poco studiate, le donne hanno rivestito un ruolo molto importante nel sufismo riconosciuto loro anche dai più importanti maestri sufi.

I tratti fondamentali delle donne sufi sono: estremo ascetimo, nubilato, amore mistico e unione mistica. I comuni manuali del sufismo non riservano molto spazio alle donne sufi. Nelle fonti storiche, invece, si trovano citate molte donne musulmane che hanno praticato un vita di ascesi, giungendo ad un alto livello di spiritualità riconosciuto dalle più grandi autorità nell’Islam. Ibn al-Jawzi (m.597/1200) riporta nella sua raccolta di biografie su Le qualità degli eletti, i nomi di oltre duecento donne sufi. ‘Abd al-Ra’uf al-Munawi (d.1031/1621) nel suo libro Gli astri splendenti, ne registra trentacinque. La maggior parte di queste donne appartengono alla prima e alla seconda generazione dell’Islam. Tra i nomi di donne sufi, ricordiamo quello di Rabi’a al’Adawiyya (m. 185-801). E’ il modello per eccellenza della pietà e dell’amore puro per Dio. Questa ex-schiava salì alle più alte vette della santità e fu riconosciuta dalla tradizione sufi come maestra di sufismo. Rabi’a nacque poverissima al punto che fu venduta come schiava. Dopo essere stato testimone dei segni della sua santità, il padrone la lasciò libera. Lei allora si dedicò completamente al servizio di Dio, nella povertà e nell’isolamento più assoluti, diventando un modello di vita ascetica per i suoi contemporanei. Rabi’a al’Adawiyya è anche un famoso esempio di nubilato, una pratica piuttosto avversata dalla legge islamica.

Altre donne sufi, invece, erano sposate e, tuttavia, dedite completamente a Dio, al punto che riducevano al massimo la pratica matrimoniale. Amatu-llah, contemporanea di Rabi’a, moglie del famoso sufi Rabih Qaysi (m. 180/796), considerava il rapporto con suo marito soltanto un obbligo legale da adempiere. Nulla di più. Al contrario, altre donne sufi cercavano continui pretesti per evitare un dovere così ingombrante, tra queste ricordiamo i nome di Ra’biya bint Isamil (m. 135/753), Ruqayya al-Mawsiliyya, ‘Ubayda bint Abi Kilab, ‘Ufayra al-Basriyya e Rayhana al-Majnuna. Un caso interessante è quello di una schiava nera, detta al-Maymuna al Sawda (la Fontana nera) o al-Majnuna al-Aqila (la Pazza saggia) del II/VIII secolo. Nel suo caso, la santità l’ha redenta dal suo stato di umiliazione come nera. I neri infatti sono stati sempre disprezzati nella società araba e considerati degli schiavi. Un’altra sufi del III/IX secolo Fatima al-Nisaburrya (m. 223/838) è rimasta famosa per aver raggiunto i più elevati gradi spirituali al punto che anche grandi sufi suoi contemporanei, come Dhu l-Nun al-Misri (m. 245/859) e Tayfur al-Bistami (m. 254/874), andavano a trovarla per parlare con lei dei più alti stati spirituali.

Molte donne sufi divennero famose non soltanto per la loro santità, ma anche per la loro scienza religiosa e furono riconosciute e rispettate dai dotti del tempo. Uno degli esempi più famosi è quello di Fatima bin al-‘Abbas (m. 724/1324). I suoi biografi le danno i titoli di shaykha (maestra di vita spirituale), mudarrisa (dottore nei collegi di studio della religione), e faqiha (dottore di legge islamica), ed era solita predicare dall’alto del minbar (il pulpito da cui predica l’imam nella moschea). Fatima venne riconosciuta come una vera e propria autorità del suo tempo in fatto di questioni religiose, al punto che anche il grande dottore hanbalita suo contemporaneo, Taqi al-Din Ibn Taymiyya (m. 728/1328), dovette ammetterne il valore. Silenziose testimonianze di donne importanti…


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