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Taiwan, i “tre no” e il dialogo con Pechino
di RODOLFO BASTIANELLI

[30 mag 08] L’insediamento del presidente Ma Ying–jeou rappresenta forse l’inizio di una nuova fase nei difficili rapporti tra Taiwan e la Cina Popolare. Eletto lo scorso marzo con un largo margine sul democratico–progressista Frank Hsieh, il nazionalista Ma Ying–jeou ha posto fine ad otto anni di governo di Chen Shui–bian, sotto il quale i rapporti con Pechino hanno toccato forse il punto più basso. Durante la sua presidenza, Chen Shui–bian ha seguito verso la Cina Popolare una politica quantomai oscillante, adottando nel corso del suo primo mandato un atteggiamento pragmatico e poi, dopo la sua rielezione, una linea molto più rigida, spesso contrassegnata da toni aspri e minacce reciproche. Nel suo discorso, il neopresidente ha invece ribadito la sua intenzione di avviare collegamenti aerei diretti tra i due Paesi per favorire una maggiore integrazione economica con la Cina Popolare visto che, nonostante l’inasprimento dei rapporti politici, negli ultimi anni i legami economici tra le due rive dello Stretto hanno conosciuto una continua espansione. Tuttavia, pur auspicando un riavvicinamento con Pechino, Ma Ying–jeou ha ribadito come la difesa della sovranità taiwanese rappresenterà un elemento fondamentale della sua politica che, come già aveva affermato prima del voto, si ispirerà al principio dei “tre no”, ovvero no all’indipendenza dell’isola, no all’uso della forza da parte cinese e no alla riunificazione.

I rapporti con Pechino si baseranno quindi sulla formula del “consensus” espressa dai nazionalisti nel 1992, nella quale le due parti riconoscevano il principio dell’esistenza di una sola Cina pur differendo nei termini della sua definizione, un’espressione diplomatica con cui ogni rivendicazione sulla sovranità dell’isola veniva messa da parte proprio per favorire il miglioramento delle relazioni bilaterali. Non mancano però anche dei punti di contrasto. Se da un lato il nuovo presidente ha dichiarato come intenda lavorare per un trattato di pace con la Cina Popolare, dall’altro però non solo ha affermato come la riunificazione rappresenti un obiettivo di lungo termine ritenendo estremamente improbabile che dei colloqui possano essere avviati da questa generazione, ma ha anche invitato i dirigenti cinesi ad intraprendere la strada delle riforme e della democrazia. Nella cerimonia Ma Ying–jeou, pur definendo entrambi i popoli come cinesi, ha poi usato il nome “Taiwan” invece che quello di “Repubblica di Cina”, un gesto compiuto non solo per dimostrare la sua volontà di difendere l’autonomia dell’isola ma anche per venire incontro ad un’opinione pubblica sempre meno attratta dagli ideali pancinesi.

E non va dimenticato come alla guida del Consiglio per gli affari continentali, l’organo incaricato di gestire i rapporti con Pechino, sia stata chiamata Lai Shin–yuan, un’esponente democratico–progressista nota per le sue posizioni indipendentiste. La risposta di Pechino al discorso di Ma Ying–jeou è stata comunque positiva, tanto che il ministro per gli Affari taiwanesi Chen Yunlin ha affermato come l’abbandono della politica indipendentista da parte di Taipei favorirà l’affermarsi di un nuovo tipo di rapporti basati sulla fiducia, da cui entrambe le parti trarranno dei vantaggi. Resta infine il nodo della posizione internazionale taiwanese. E qui Ma Ying–jeou ha dichiarato di voler rafforzare i legami con gli Stati Uniti ed acquistare nuovi armamenti difensivi, invitando inoltre Pechino a cessare la sua politica tesa ad isolare Taiwan e ribadendo come l’isola aspiri ad avere un proprio spazio sulla scena internazionale. Ed è proprio su questo punto che, secondo gli osservatori, si giocherà una parte importante delle future relazioni sino-taiwanesi. Qualora Ma Ying-jeou riuscisse ad ottenere da Pechino una tregua diplomatica ed una risposta positiva alla sua richiesta di maggiore spazio internazionale per Taiwan, allora tra i due Paesi potrebbe davvero iniziare una vera fase di distensione.


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