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Biocombustibili: un boomerang per le donne?
di
BRUNO PAMPALONI

[22 mag 08] Le previsioni della Fao vanno prese con molta cautela considerata la poca stima di cui, ultimamente, l’agenzia delle Nazioni Unite gode presso le istituzioni internazionali. Proprio nei giorni scorsi il presidente senegalese Abdoulaye Wade si è aggiunto al coro di chi si propone di abolirla perché spenderebbe “una miniera di denaro per il funzionamento con poche operazioni efficaci sul campo”. Comunque venga tenuta in considerazione la Fao, essa continua a produrre documenti. Più o meno importanti. Più o meno interessanti. Proprio di recente l’agenzia alimentare con sede a Roma ne ha pubblicato uno per dimostrare che lo sviluppo e la produzione di biocombustibili potrebbero marginalizzare le donne (Gender and Equity Issues in Liquid Biofuels Production – Minimizing the Risks to Maximize the Opportunities, Rome 2008). Dopo avere riconosciuto come altri studi abbiano già analizzato i benefici socio-economici e i vari rischi ambientali derivati da tale produzione, nella ricerca viene però evidenziata la mancanza di un serio approfondimento sui “differenti impatti socio-economici tra maschi e femmine”. Di fatto, i biocombustibili liquidi rappresentano nuove opportunità di sviluppo, “ma affinché esse vadano a beneficio dei piccoli agricoltori, specialmente le donne, è necessario che vengano attuate politiche a loro favore”. Il documento mette poi in luce come le produzioni di bioetanolo e biodiesel necessitino di un uso intensivo delle colture e di risorse quali acqua, pesticidi e fertilizzanti chimici a cui i piccoli agricoltori (categoria sociale che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, è spesso rappresentata dalle donne) hanno difficoltà di accesso. Si tratta di considerazioni giustamente sottoposte all’attenzione dei media.

Tuttavia non sfugge un certo tono burocratico volto a rimarcare condivisibili ma sostanzialmente generiche analisi. Come non essere d’accordo, per esempio, con Yianna Lambrou, autrice (con Andrea Rossi) del rapporto, quando dice che “se nei Paesi in via di sviluppo non verranno adottate politiche capaci di rafforzare la partecipazione dei piccoli agricoltori, specialmente donne, alla produzione bioenergetica mediante un maggiore accesso alla terra, al capitale e alla tecnologia, le disuguaglianze di genere diverranno probabilmente sempre più marcate e le condizioni di vita delle donne peggioreranno ulteriormente”? Oppure quando suggerisce che “la produzione di biocombustibili sicuramente può offrire nuove opportunità ma, affinché esse vadano a beneficio dei piccoli agricoltori, specialmente le donne, è necessario che vengano attuate politiche a loro favore”? Chi sosterebbe il contrario? Di fatto la maggior domanda mondiale di biocombustibili liquidi e la necessità di maggiore terra per soddisfarla potrebbe “esercitare una forte pressione sulle cosiddette terre marginali” (coltivate spesso da donne) fondamentali per la sussistenza delle popolazioni rurali. Ed è altrettanto significativo che la conversione delle terre marginali in colture per la produzione di biocombustibili (come si propone di fare l’India con 400mila ettari di wasteland) “potrebbe causare il parziale o totale abbandono delle attività agricole da parte delle donne spingendole verso terre ancora più marginali” limitandone la capacità di soddisfare i bisogni alimentari per la propria famiglia. Interessanti sono certamente altri dati citati nella ricerca.

Per esempio, va rilevato il forte divario fra maschi e femmine nella proprietà della terra: in Camerun, mentre le seconde lavorano il 75 per cento delle coltivazioni, solo il 10 per cento ne detiene la proprietà. In Brasile solo l’11 per cento, in Perù il 13. Ancora: in Nigeria solamente il 3 per cento delle donne riceve credito dalle banche (a fronte del 15 per cento degli uomini) e al “sesso debole” vengono chieste maggiori garanzie sui prestiti. Lo studio sottolinea infine la preoccupazione di quanto l’agflazione (cioè la crescita vertiginosa e pericolosa dei prezzi nel comparto agricolo) sia influenzata anche dallo sviluppo dei biocarburanti. Questo è un dramma che riguarda una moltitudine di persone nei Paesi in via di sviluppo, comprese Cina e India che consideriamo ormai prossime a standard occidentali. Ovviamente, considerate le condizioni disagiate di partenza, le donne ne risentiranno maggiormente. Recentemente l’India aveva deciso di vietare l’esportazione del riso non-basmati per cercare di porre un freno agli aumenti (schizzati a quell’epoca da 650 a mille dollari la tonnellata) e mantenere un pieno controllo sulle proprie riserve. La verità è che i Paesi cosiddetti emergenti mangiano più e meglio di prima grazie ai maggiori redditi disponibili. Ma, oltre allo sviluppo dei “carburanti ecologici”, carestie, sottrazione di terreno all’agricoltura e lo sviluppo di aeree urbane sempre più vaste, politiche ambientaliste volte a osteggiare ogni progresso tecnologico che aumenti la resa della terra, sussidi e dazi agricoli nei Paesi occidentali, tassazioni demagogiche nei confronti di prodotti (come la soia argentina) destinati all’export hanno contribuito ad incendiare il problema e a rendere l’offerta incapace di rispondere all’accresciuta domanda di cibo.


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