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[16 mag 08]

L'agguerrito ritorno di Michael Moore

Ci risiamo. Dopo Fahrenheit 9/11 e Sicko, Michael Moore torna alla carica. Il corpulento regista americano sta per girare il sequel proprio di Fahrenheit 9/11, documentario pamphlet contro George W. Bush che nel 2004 ha conquistato la Palma d’Oro a Cannes. Quel film, vero e proprio atto d’accusa contro il presidente degli Usa e il suo entourage politico ed economico, aveva letteralmente mandato in visibilio l’intellighentsia culturale europea, che non vedeva l’ora di trovare un livoroso ed efficace strumento contro l’odiatissimo inquilino della Casa Bianca. Ma se nel Vecchio Continente il documentario aveva fatto incetta di successi e riconoscimenti, da Cannes al Festival di Sarajevo, e aveva plasmato non poche coscienze politiche, in America l’impatto è stato sicuramente minore, se è vero che dopo meno di cinque mesi dall’uscita nelle sale, Bush era stato rieletto trionfalmente.

Ora, dunque, il sequel, che si annuncia ancora più velenoso del primo film. E dove lanciare, urbi et orbi, il pur embrionale progetto se non sulla Croisette, che tanti onori aveva già regalato a Moore? Giornalisti eccitati, pubblico fremente e divi engagés accoglieranno l’idea con malcelata soddisfazione. Continueranno a lodare il coraggio e l’impegno civile di Michael Moore, a denigrare l’odiato George W., anche quando lascerà, dopo otto lunghissimi anni, la Casa Bianca. Diciamoci la verità: che vita sarebbe, quella di Moore, se non ci fosse Bush jr.? Il presidente ha rappresentato per il cineasta del Michigan, in questi lunghi anni, la gallina dalle uova d’oro da sfruttare fino all’ultimo. E Moore ha fatto scuola, creando un vero e proprio filone letterario e cinematografico che in fondo, ne siamo certi, soffrirà non poco dell’uscita di scena dell’attuale inquilino della Casa Bianca.

Pensiamo ai vari Sean Penn (pur bravissimo quando non vuole a tutti i costi fare il pasionario ultraliberal), Tim Robbins, Susan Sarandon, la famiglia Sheen al completo. Tutti futuri orfani inconsolabili del goffo rampollo di casa Bush. Oliver Stone, come abbiamo raccontato poco tempo fa, ha pensato bene di sfruttare gli ultimi mesi utili girando W, biopic al vetriolo mascherato da obiettivo ritratto di un uomo controverso. Siamo sicuri che il prossimo anno il Festival di Cannes ospiterà sia il film di Stone che il documentario di Moore, confermando una tradizione tutta francese di antiamericanismo a tutti i costi. Antiamericani ma furbi, gli intellettuali di sinistra del Vecchio Continente. Come possono essere definiti nemici dell’America se non fanno altro che dare spazio alle voci critiche di artisti americani? Ecco lo scudo creato ad arte: è il cinema americano a criticare l’America. Che c’entriamo noi?

Il rapporto tra cinema europeo e militanza politica è antico e ancora molto forte. Non si aziona cinepresa senza che dietro ci sia un alto e nobile intento politico. Ovviamente sempre a sinistra. E Moore non poteva che essere scelto come modello da eguagliare, grazie al suo coraggioso atto d’accusa contro l’uomo più potente del mondo. Segno dei tempi: da Truffaut, Bunuel e Loach a Michael Moore. Tempi duri per l’intellighentsia europea.

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