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Analisti a convegno sul futuro dei Balcani
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al nostro corrispondente da Berlino PIERLUIGI MENNITTI

[22 mag 08] La Slovenia sta concludendo con buon successo la prima presidenza europea affidata a un Paese che apparteneva al blocco orientale. La Croazia muove speditamente i suoi passi verso Bruxelles. La situazione in Kosovo si è sbloccata e, per quanto restino ancora dubbi sia sull’efficacia dell’indipendenza riconosciuta che sulla futura stabilità del Paese, i primi passi appaiono tuttavia incoraggianti. La Bosnia sembra essersi riappropriata, dopo lunghi anni bui, del suo passato multietnico e Sarajevo torna sulle prime pagine dei giornali per la sua vitalità culturale. Il Montenegro è la nuova mecca del turismo estivo. L’Albania non è più la piccola Cenerentola d’Europa che spediva profughi su imbarcazioni di fortuna. E soprattutto la Serbia, perno infuocato di tutta l’area, sembra muoversi con maggior decisione verso l’Europa e le sue istituzioni. Basterebbero le novità degli ultimi anni a rendere il convegno che si apre giovedì a Gorizia sul futuro dell’Europa sud-orientale degno di interesse e attenzione.

In più c’è il fatto che proprio questa area, i famigerati Balcani, è da sempre una regione di interesse strategico per l’Italia. Il convegno è organizzato dall’Associazione italo-tedesca dei giornalisti (Ditjv, qui il sito italiano), fondata nel 1994 e oggi presieduta da Ulrich Ritter, storico capo della redazione italiana della Deutsche Welle. Ha il patrocinio dell’Allianz-Kulturstiftung, da sempre attenta all’analisi dei trend europei, della regione Friuli Venezia Giulia, del Comune di Gorizia e della locale Camera di commercio. Si svolgerà tra giovedì e venerdì nell’aula magna dell’Università di Gorizia, con una serie di relatori di primo piano, fra politici, ambasciatori, esperti e studiosi dei Balcani e giornalisti che seguono da tempo le vicende di questa area turbolenta e decisiva del nostro continente. Ci sarà anche Ideazione.

La scelta di Gorizia è simbolica. Città di frontiera sino a pochi anni fa, divisa in due tra la parte italiana e la Nova Gorica jugoslava durante gli anni della guerra fredda (tanto da guadagnarsi l’appellativo di piccola Berlino, mentre il muro che divideva le due parti veniva ironicamente chiamato il muretto di Gorizia), è tornata a respirare l’aria della Mitteleuropa dopo la caduta dei muri più grandi e il rilancio del progetto di integrazione europea. Gorizia ha vissuto nel cortile di casa lo sgretolarsi del contenitore jugoslavo, quindi la nascita di una nuova nazione di confine, la Slovenia. Ne ha osservato da vicino i rapidi progressi ed è stata il centro dei doppi festeggiamenti del 2004 e del 2007: l’ingresso dei vicini ritrovati nell’Unione prima, nell’area Schengen poi. Sono saltate le barriere e anche il muretto. Nel frattempo Lubiana ha anche adottato l’euro e oggi si passa da una parte all’altra della città doppia senza quasi neppure accorgersi del limes di un tempo. Il polo universitario goriziano, che è collegato a quello di Trieste, ospita una prestigiosa scuola diplomatica che corrisponde al meglio le esigenze di studio e analisi così come la formazione di professionisti in grado di comprendere cosa accade al di là del Carso.

Il Friuli Venezia Giulia è regione da sempre attenta agli sviluppi dell’Europa sud-orientale, come e più delle altre regioni costiere adriatiche, giù dal Veneto sino alla Puglia. L’asse adriatico punta molto sullo sviluppo definitivo di tutta l’area, dalla quale non possono essere estromesse altre nazioni decisive come la Romania e la Bulgaria e, più a sud, la Grecia e la Turchia. Sono in gioco i rapporti commerciali e politici come quelli culturali, fortemente cresciuti negli ultimi anni. E soprattutto le questioni dei trasporti, con la necessità di rivitalizzare i progetti dei corridoi pan-europei: il 5, più a nord, che si muove lungo la direttrice Trieste, Slovenia, Pannonia, e l’8 a sud, dalla Puglia al Mar Nero, passando per Albania, Macedonia e Bulgaria sul tracciato dell’antica via Egnatia dei romani, ideale prolungamento della via Appia. Lo chiamano Mare Stretto, l’Adriatico, e non è solo una suggestione, semmai talvolta un mondo a parte.

Le vicende più recenti degli Stati balcanici sono, come detto, interlocutorie. A osservare la situazione con il distacco di due decenni, il giudizio può essere nel complesso positivo e indurre alla speranza. Più sfilacciata invece appare la transizione se si analizzano i mesi più prossimi. Oltre alle incognite che ancora agitano il Kosovo e all’instabilità del nuovo corso serbo, ci sono da aggiungere i rallentamenti di due Paesi che pure avevano compiuto grandi sforzi per entrare nell’Ue: la Romania e soprattutto la Bulgaria, teatro recente di fatti di cronaca criminale che inquietano. Così come la presenza sempre diffusa delle mafie balcaniche e i contrasti fra Macedonia e Grecia per la questione del nome. E da buon’ultima proprio la Grecia, pilastro essenziale della struttura balcanica, terminale meridionale del volume di traffico e commerci che si muove da nord a sud e che sfocia nel porto di Salonicco (e che dovrebbe essere presumibilmente integrato con i citati corridoi ovest-est). Atene sta vivendo una accentuata quanto inattesa crisi economica – il caso Olympic Airlines ricorda troppo da vicino quello Alitalia – che ne scopre antichi e mai risolti difetti strutturali e rischia di aggiungere ulteriore instabilità e incertezza.

I giornalisti di due nazioni come Germania e Italia che a quest’area dedicano spazio e interesse discuteranno di tutti questi temi e, con l’aiuto degli esperti, proveranno a farsi un’idea del percorso che i Balcani compiranno nei prossimi anni. C’è sempre un bivio da qualche parte in questa regione. C’è sempre un esame da sostenere per gettarsi alle spalle la fama dell’ingovernabilità. Ma alla fine di bivi ed esami, per i Balcani si potrebbe aprire una storia di normale benessere all’ombra dell’Unione Europea. La politica estera italiana dovrebbe tornare a guardare con rinnovato interesse questo percorso. E a spingere perché i bivi presi siano quelli giusti.


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