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Veltroni, D'Alema e il teorema della prima telefonata
di CRISTINA MISSIROLI

[28 apr 08] Lo chiamano il “teorema della prima telefonata”. Chi tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema lo risolverà a suo vantaggio terrà in mano le redini del futuro del Partito democratico. I punti fermi sono solo due. Primo: il partito democratico è formato da due anime ancora molto ben distinte: quella popolare e quella post-comunista. Che si divideranno le presidenze dei gruppi parlamentari equamente, una per uno, come è stato nella scorsa legislatura. Secondo punto fermo: l’Italia è ancora una repubblica parlamentare. Per quanto marginalizzato e ridotto a votificio, è il Parlamento il luogo dove l’opposizione può avere peso. Malgrado i sogni veltroniani, lo shadow cabinet (il governo ombra di britannica ispirazione) è - nella migliore delle ipotesi - uno splendido gioco di ruolo. Ed ecco l’importanza del teorema: la poltrona che spetta ad un ex diessino andrà a un dalemiano o a un veltroniano? Meglio: posto che uno dei due capigruppo risponderà in prima battuta a Franco Marini o Beppe Fioroni, Veltroni può davvero permettersi di lasciare l’unica altra carica parlamentare rilevante nelle mani di un parlamentare che in ogni occasione alzerà il telefono per concordare la linea con D’Alema anziché con il capo del partito?

La battaglia dei capigruppo che fino a qualche giorno fa era sottotraccia, ormai è esplosa. Nel giro di pochi minuti le agenzia hanno battuto le prese di posizione di Nicola La Torre, Anna Finocchiaro e Pierluigi Bersani: tutti e tre i candidati dalemiani (i primi al Senato e il terzo alla Camera). Segno che D’Alema vuole chiudere la partita il prima possibile e non è disposto neppure a rispettare la tregua dei ballottaggi delle amministrative prima di passare all’attacco. D’Alema è già sceso prepotentemente in campo per conquistare la poltrona della Camera e lasciare alla Margherita il Senato. Da giorni ha chiamato Veltroni e gli ha fatto sapere che il candidato più adatto, a suo parere, sarebbe Pierluigi Bersani. Proprio ieri il ministro ha fatto una visita di cortesia al loft per parlare di questa opportunità. In verità l’ipotesi non va a genio a Veltroni, non foss’altro perché per tutta la campagna elettorale Bersani non ha perso occasione di sparare sulle strategie veltroniane. Al loft in questi ultimi giorni è arrivata poi un’altra telefonata: quella di Piero Fassino che proponeva… se stesso. Dicono che l’accoglienza di questa auto-candidatura sia stata gelida. La mente del segretario deve essere corsa veloce indietro al 1994, quando un repentino cambio di fronte di Fassino permise a D’Alema di essere eletto segretario.

In ogni caso non è affatto scontato che agli ex diessini tocchi proprio la poltrona di Montecitorio. Si tratterebbe infatti della seconda carica del Partito democratico in quanto a rilevanza politica. E dato che la prima è occupata da un diessino, la seconda, di regola spetta alla Margherita. La Camera poi è iper-affollata di margheritini eccellenti, tutti aspiranti presidenti. C’è Dario Franceschini, ormai quasi più gradito a Veltroni che ai suoi stessi leader centristi. C’è Beppe Fioroni, potentissimo ex Dc di sinistra che preferirebbe però di gran lunga dedicarsi al partito. C’è Enrico Letta, troppo indipendente per i gusti di Marini e un poco emarginato dopo la sfida alle primarie contro Veltroni. C’è Rosi Bindi, sponsorizzata soprattutto da Prodi, per quel che ormai vale. E c’è, infine, il presidente uscente Antonello Soro che avrebbe la meglio solo nel caso si scegliesse di replicare la coppia uscente con Anna Finocchiaro a Palazzo Madama. E se ai Ds toccasse dunque in sorte il Senato? Dicono che, in fondo, D’Alema punti proprio a questo. Vorrebbe che il premio andasse al suo fedelissimo Nicola La Torre. E’ l’ipotesi che meglio di ogni altra soddisferebbe il “teorema della prima telefonata”. Non c’è nessuno infatti che dubiti dello strettissimo legame politico e personale tra i due. La Torre presidente dei senatori segnerebbe la più netta delle sconfitte per Veltroni.

Ma il segretario del partito democratico avrebbe i numeri e la volontà di opporsi alla tattica aggressiva di D’Alema? Calcoli approssimativi considerano che a Palazzo Madama i dalemiani rappresentano una quarantina dei 118 senatori: vale a dire i due terzi degli ex diessini e circa un terzo dell’intero gruppo. Ancora una volta l’asse con Franco Marini consegnerebbe agevolmente la vittoria a D’Alema. Ma quell’asse esiste ancora? Veltroni l’ha già spezzato una volta, scegliendo Franceschini come vice. Potrebbe riuscirci di nuovo nella battaglia dei gruppi parlamentari. Volgendo i voti dei margheriti a suo favore, potrebbe permettersi di vincere uno scontro frontale con D’Alema e soddisfare a suo vantaggio il “teorema della prima telefonata”.


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