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Pd, un'agenda per l'opposizione
di ANTONIO FUNICIELLO

[23 apr 08] Per la prima volta nella sua storia recente, l'Italia avrà un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare raccolta in soli due gruppi (Pdl e Lega). Per la prima volta, l'opposizione si raccoglierà in tre gruppi parlamentari alla Camera (Pd, Idv, Udc) e in due gruppi al Senato (Pd e Idv). Chi non vede la “storicità” di tutto questo è malfidato o cieco. O almeno miope, ma di quella particolare forma di miopia in cui Nabokov credeva consistesse la stupidità. Il merito di questo radicale rinnovamento del quadro politico-istituzionale è di Walter Veltroni e del suo Partito democratico, che ha dato il “la” a tutto quanto. I miopi di cui sopra potranno non vedere l'evidenza di questo fatto o suggerire a Veltroni di friggersela, questa evidenza, in padella, vista la sconfitta elettorale. Critica più che legittima, venendo da quei miopi di cui parlava Nabokov. Ma misurare l’iniezione di innovazione politica che il Pd ha praticato sul corpo malatissimo della nazione, è invece la chiave di lettura più ragionevole per capire quale potrà essere il futuro del centrosinistra italiano.

E’ dai tempi del Regno d'Italia che la sinistra (quella definita, nei manuali scolastici che il Pdl promette di riscrivere, “sinistra storica”) vive una dura dialettica tra massimalisti e riformisti. Allora la contrapposizione tra i due raggruppamenti non era ancora articolata nei termini politologici in cui la costrinse, di lì a poco, l'irruzione del marxismo. Con la quale, quella dialettica divenne a tratti feroce, fino a contraddistinguersi come tensione fondamentale della sinistra italiana. Un condizionamento segnato dal prevalere, quasi sempre, delle istanze identitarie dei massimalisti contro le iniziative progressiste dei riformisti. Veltroni ha chiuso questa partita, forse una volta per tutte. Ricacciare fuori dal Parlamento una sinistra ancora tenacemente marxista, anacronistica per definizione e linea, che la mattina firma un accordo e la sera è coi suoi ministri in piazza a manifestare contro quell'accordo stesso, è un fatto rilevantissimo. Abolire dal vocabolario politico la locuzione “sinistra di lotta e di governo” - che, beninteso, era già un’espressione demente quando la usavano i dirigenti del Pci - è una vittoria culturale di cui il Pd beneficerà a lungo. Una vittoria da cui far discendere il profilo dell’opposizione da ingaggiare contro il quarto esecutivo Berlusconi. Tutto quanto riguardi le regole del gioco (riforma elettorale, riforma costituzionale e così via) va discusso e realizzato entro la prima metà della legislatura. Lasciarsi trascinare oltre il dicembre del 2010, equivarrà per il Pd a determinare nuove condizioni per una ripresa elettorale del fronte antagonista, con conseguente emorragia di voti a sinistra che proprio non può permettersi.

Se alla propria sinistra, il Pd, dopo la sua storica vittoria contro la propaganda massimalista, dovrà quindi mantenere alta l'attenzione, è chiaro che per concorrere per il governo del Paese dovrà soprattutto puntare al centro. E’ lì che ha perso le elezioni, dimostrando che il suo appeal, pur entrando nelle discussioni dei bar dove prima il centrosinistra non aveva cittadinanza, non è riuscito a fare breccia. Il Pf ha raccolto il 33 per cento dei voti: un italiano su tre si è lasciato persuadere da Veltroni. Si badi: nelle democrazie avanzate, conquistare un terzo degli elettori è quanto è prescritto al partito che perde. Il Pd, dopo il 33 per cento conquistato nelle prime elezioni politiche cui ha partecipato, dopo per altro aver sostenuto uno dei governi più impopolari mai conosciuti, ha comunque raggiunto - come ha scritto giorni fa il professor Ceccanti – “la dimensione europea della forza politica a vocazione maggioritaria che arriva seconda”. Livelli simili a quelli dei socialdemocratici tedeschi, dei conservatori inglesi o dei socialisti francesi, questi ultimi invero parecchio sotto il 33 per cento. Il Pd ha tenuto, e bene. Certo, non benissimo. Due, tre punti in più avrebbero davvero trasformato la leadership di Veltroni in una monarchia. Con l’aggravante di non far riconoscere al segretario democratico gli errori che pure ha commesso. Il Pd, insomma, ha tenuto. E considerando felice l'intuizione di allearsi con un partito centrista e populista come l'Idv, raccoglitore di voto di protesta in libera uscita, quel 33 per cento sale fino al 37.

I miopi di cui parlava Nabokov, insieme a coloro che già lavorano sottobanco per sostituire Veltroni, faranno notare che dal 37per cento del centrosinistra al 46 per cento del centrodestra tocca contare fino a 9; l'aritmetica è un rifugio comodo per costoro. Eppure ridurre l’analisi politica ad aritmetica non sta mai in piedi. Com’è noto, ad esempio, i sondaggi più recenti danno in Inghilterra il Labour fermo al 30per cento, staccato di 11 punti dai Tories: 11 punti sono tanti, ma nessuno pensa che la partita delle politiche inglesi del 2009 sia chiusa. I 9 punti che in Italia separano centrodestra da centrosinistra segnano la misura della sfida politica che attende il Pd nei cinque anni di opposizione. Si tratta di sottrarre 5 punti all'avversario, senza considerare il certo (fisiologico) decremento elettorale che attenderà nel 2013 la Lega, che sempre la attende dopo una fase di governo. Questi 5 punti si possono prendere agilmente, un punto all'anno, tendendo fede al progetto di governo dell’Italia sintetizzato dal programma elettorale del PD. Su una linea politica, cioè, chiara e coerente, che abbia come obiettivo principe ancora la crescita e come strumento necessario la modernizzazione del sistema-Paese. Il Pd potrà anche lavorare ai punti deboli del suo programma, vedi istruzione e università, sui quali è sembrato meno discontinuo col passato. Di fianco, Walter Veltroni dovrà costruire una struttura partito quasi da zero, ricordando che poggiarsi sull’illusione di avere pronte le vecchie strutture di Ds e Margherita è stato un errore. Le due vecchie forze avevano esaurito da tempo ogni spinta d’iniziativa politica, così come le loro classi dirigenti ogni brio intellettuale. Tant’è che l'essere arrivati al Pd per estenuazione - con almeno 12 anni di ritardo - dice tutta la fatica fatta dal nuovo soggetto per affermarsi. Questa l’agenda. Che poi su questa agenda ci si possa incontrare con l'Udc di Casini è un aspetto, ma del tutto secondario, che non deve rappresentare in alcun modo una qualche claudicante priorità per il Partito democratico.


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