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[13 mag 08]

Il risveglio anseatico

Se si dovesse misurare la crescita delle regioni settentrionali dell’ex Germania Est dal livello del traffico autostradale, il deserto che ci avvolge in questi ultimi chilometri di asfalto verso l’Ostsee – come qui chiamano il Mar Baltico – sarebbe una risposta più cupa e realistica delle cifre del pil. L’autostrada è splendidamente vuota e nuova. O meglio, è nuovo questo raccordo che, una decina di chilometri a sud di Rostock, piega verso destra in direzione della Polonia. Si viaggia verso Stralsund, una delle cittadine che a partire dal 1200 diede vita a quella straordinaria avventura commerciale e politica del Medioevo che fu la Lega Anseatica. Stralsund. Porto sul Baltico. E porta di Rügen, la deliziosa isola collegata alla terraferma da un ponte tutto nuovo (e bruttissimo). Un’isola un tempo selvaggia che fece da scenario alle pitture romantiche di Caspar David Friedrich, nato a una manciata di chilometri da qui, a Greifswald. Terra rimasta comunque aspra, ancor più oggi che il bollettino meteorologico indica un anticipo di primavera in tutta la Germania. In tutta, tranne che qui. Nell’angolo a nord-est del Paese il soffio gelido del Baltico fa venire ancora i brividi. L’auto un po’ sbanda colpita dalle raffiche di vento, gli alberi si piegano rassegnati, dall’orizzonte si alza una foschia che ingrigisce tutto l’ambiente. E’ la spuma del mare. Siamo arrivati. Non c’è nessuno.

Capita sempre così, da questa parte della Germania. Per quanto molte cose siano cambiate, si capisce al volo di essere ad Est. Ci si potrebbe arrivare bendati e aprire gli occhi di colpo: non ci sarebbero dubbi. I ritmi sono rallentati. Sui corsi la gente struscia senza meta e senza fretta. Nella piazzetta, all’angolo, ciondola immancabilmente un gruppetto di giovani teste rasate. Se si esce per strada alle nove del mattino, è tutto chiuso, bar compresi. Früstuck? Colazione? Ab 11 Uhr, dalle 11! Prima non c’è speranza. E’ fine settimana, certo. Ma da noi in Italia, anche al Sud, un bar aperto alle sette del mattino lo trovi di sicuro.

A giudicare dalle abitudini, non sembra che di cambiamenti ce ne siano stati tanti. Ma è un giudizio superficiale. Stralsund l’avevamo visitata una decina di anni fa. Allora sì che dormiva. A vederla oggi si può dire che, nel frattempo, qualcuno s’è comunque svegliato. Il centro cittadino, considerato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è stato rimesso a nuovo. Il municipio è ripulito e stuccato e svetta rosso del colore dei mattoni tipici di queste latitudini nel bel mezzo della piazza principale, con la sua facciata imponente e il frontone sforacchiato lì in alto per permettere alle raffiche del Baltico di penetrare inoffensive. Bella la galleria, restaurati i palazzi della piazza e delle vie principali. Se ci fosse anche un po’ di gente indaffarata si potrebbe pensare che la città abbia ritrovato il suo fervore anseatico. In realtà il porto langue. Quello commerciale è a Rostock, antica città anseatica anche lei e capoluogo di questa regione: Meclenburgo-Pomerania Anteriore. Da lì partono i traghetti per la Svezia e la Danimarca, per la Lettonia e San Pietroburgo. Stralsund ha dovuto ripiegare sul turismo e sulla sua vocazione di “porta verso Rügen”. L’isola “meravigliosa” era una meta turistica già negli scapigliati Anni Venti; venne poi amata e sfruttata dall’élite nazionalsocialista prima di passare armi e bagagli a un’altra élite, quella comunista. L’isola delle vacanze, ma solo per gli apparatcnik di regime: nei grandi alberghi, una volta di lusso, i capi; nelle villette monofamiliari i quadri della Sed. Vacanze premio, per la fedeltà al regime: una settimana a contatto di gomito con Erich Honecker lì sulla battigia infinita, al riparo degli Strandkörbe, le poltrone da spiaggia di vimini tipiche dei mari del Nord.

Oggi che sono arrivati il capitalismo e il marketing, l’isola meravigliosa s’è rifatta il trucco e attira la nuova clientela danarosa di Berlino. L’Ostsee è ormai la spiaggia privata della capitale ritrovata, felice di avere, come Parigi, la propria Deauville a due ore di strada. Nei fine settimana d’estate lo scenario è del tutto diverso da quello che osserviamo oggi: più simile a Rimini che ai chiari di luna immortalati dalle tele di Caspar David Friedrich. E anche Stralsund s’è messa alla pari, con la speranza di essere una porta non solo di passaggio. L’urbanistica è accorsa in aiuto alle ambizioni degli amministratori. E il waterfront è la nuova frontiera dello sviluppo. Un po’ come accade in tutta Europa a tante città che hanno vissuto di mare ma che poi se lo sono dimenticato nei tempi bui. La città d’acqua. Stralsund sta riscoprendo la magia delle sue banchine, dei docks e dei depositi di stoccaggio abbandonati negli anni del comunismo. E li sta trasformando in alberghi e ristoranti, in shopping mall e centri culturali. E siccome siamo in Germania e non c’è paura di mescolare il vecchio al nuovo, Stralsund ha puntato su una sua vecchia risorsa, il museo di flora e fauna del Mar Baltico, per farne un’attrazione turistica. Su uno dei canali creati dal mare, è in fase conclusiva la costruzione del nuovo acquario oceanico, un'enorme costruzione avveniristica che vagamente ricorda il Guggenheim di New York e nel quale verranno trasferite tutte le vasche e i reperti che oggi si trovano nel vecchio museo del mare, compreso lo scheletro di una balena e la ricostruzione della flotta navale della Ddr, roba da nostalgici alla Goodbye Lenin.

I lavori non sono andati spediti come promesso e l’inaugurazione è già slittata un paio di volte. Adesso dovremmo esserci: la festa è prevista per metà luglio, appena in tempo per non perdere l’intera stagione estiva. Il progetto ha diviso la città, tra chi considera la costruzione un pugno nell’occhio e chi scommette sull’acquario per rilanciare le sorti della città. C’è molta frenesia su queste sponde del Baltico, specie più a Oriente, dalla Polonia alle Repubbliche Baltiche alla Russia. E un po’ di attivismo sembra finalmente contagiare anche le assonnate regioni dell’Est della Germania.

 

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