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[18 giu 08]
I gatekeepers anello debole del sistema finanziario

Il financial landscape, il paesaggio finanziario, si è radicalmente trasformato negli ultimi dieci anni. La trasformazione ha scontato anche la sua grave crisi di assestamento - quella innescata dalla crisi dei mutui subprime - ma la crisi non si è risolta in una generalizzata catastrofe organizzativa, come era accaduto nel 1929, mentre la vera novità è una modificazione del centro di gravità nel sistema finanziario. Il cuore delle decisioni e della capacità di azione nel secolo scorso stava dalla parte delle banche e degli intermediari; ora sta dalla parte dei mercati. Che, ovviamente, scontano una vasta presenza di banche. Non esistono paesaggi finanziari che non siano costellati e disegnati dalle banche, come in Toscana non esistono colline senza cipressi, diceva un grande banchiere americano negli anni Sessanta. Il fatto è che oggi i volumi di titoli, comprati e venduti dalle banche e attraverso esse, sono prevalentemente nelle mani di risparmiatori ed imprese mentre i debiti ed i crediti degli istituti di credito rappresentano una quota meno rilevante della intermediazione finanziaria. I titoli mettono direttamente in collegamento tra loro risparmiatori ed investitori e le banche agiscono piuttosto come broker che come custodi, in prima persona, del risparmio impiegato e del monitoraggio di come lo abbia impiegato.

Sono le opinioni che Mario Draghi ha consegnato ad Amsterdam l’11 giugno alla Foreign Bankers’ Association. Ma queste non sono solo le opinioni private di un autorevole banchiere centrale; sono le opinioni della persona alla quale, indipendentemente dalla sua carica di governatore della banca centrale italiana, sono state affidate le sorti del Financial Stability Forum, un organismo sovranazionale che cerca di trovare il bandolo di una intricata matassa: come dovrebbero essere formulate ed applicate le nuove regole di un regime di vigilanza sui mercati finanziari che consenta di governare meglio i mercati finanziari in questa diversa configurazione che essi sono venuti assumendo. “Negli ultimi dieci anni - scrive Draghi nella sua lezione - la capitalizzazione di Borsa è raddoppiata negli Stati Uniti, è triplicata in Europa. Tra il 2000 ed il 2007 il valore nozionale dei derivati over the counter è passato da meno di 100mila a circa 600mila miliardi di dollari. Si sono formati nuovi mercati che hanno raggiunto dimensioni considerevoli. Nel 2006 negli Stati Uniti l’attivo delle banche era sceso a circa il 10 per cento del totale delle attività finanziarie complessive; nei principali Paesi europei l’analoga quota oscillava tra il 25 ed il 35 per cento”.

Il valore della capitalizzazione di borsa è il numero che si ottiene moltiplicando il prezzo unitario per tutti i titoli azionari quotati. Esso rappresenta la massa della “carta” in circolazione che è stata emessa da chi cercava fondi monetari ed ora si trova nel portafoglio di chi quei fondi ha messo a disposizione. Ovviamente quella carta circola nel sistema per tutto il tempo della sua durata, passando, dopo la prima transazione dall’emittente al primo acquirente, ad altri che intendono trasformare i propri risparmi monetari in titoli finanziari. Le statistiche di Draghi ci dicono ancora un’altra cosa: rimane una tendenza delle banche europee ad accentrare nei propri bilanci una parte maggiore di titoli, crediti e debiti rispetto a quello che fanno le banche americane. Una volta si diceva che negli Stati Uniti il sistema finanziario era orientato ai mercati mentre in Europa era orientato alle banche ed agli intermediari. Ora si attenua la differenza tra le due coste dell’Atlantico, perché entrambi i sistemi si orientano maggiormente al mercato, pur essendo ancora in parte diversi tra loro. E si attenua anche la differenza tra banche ed intermediari, che tendono ad essere più simili nei propri comportamenti e nelle funzioni che svolgono.

Queste trasformazioni impongono un cambiamento anche nel modo di percepire la vigilanza ed il monitoraggio dei mercati e degli intermediari. Se le banche diventano brokers, esse sono sempre meno i custodi del rapporto che lega debitori e creditori. Quindi deve cambiare anche il modo di lavorare di chi quelle banche deve controllare e monitorare: le banche centrali. Bisogna che le banche centrali imparino a valutare meglio le dimensioni del rischio, implicito nei titoli, che le banche creano e cedono al mercato. Bisogna che si accenda un faro di attenzione non solo sui banchieri e sulla correttezza del loro operato. Ferma restando la vigilanza sulle banche, occorre tenere d’occhio anche tutti coloro, dalle agenzie di rating agli avvocati d’affari, che agiscono come gangli necessari delle transazioni poste in essere tra chi vende e chi compra titoli. Negli Stati Uniti questo insieme composito di professioni viene chiamata con un nickname interessante: i gatekeepers. Coloro che fanno la guardia ai cancelli dai quali passano le transazioni. Nel nuovo mondo della finanza di mercato il rischio di comportamenti sleali ed opportunistici dei gatekeepers diventa, forse, più pericoloso dell’azzardo morale dei banchieri e dei loro funzionari. Dallo scandalo Enron a quello della Parmalat, come in quelli recenti dei subprime, l’evidenza conferma questa nuova priorità nelle politiche di vigilanza.

Approfondimenti
L’intervento di Mario Draghi alla Foreign Bankers’ Association
Il sito del Financial Stability Forum


 

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