Questo sito è ottimizzato
per Internet Explorer.

(c) Ideazione.com 2008
Direttore responsabile: Barbara Mennitti
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Redazione: piazza Sant'Andrea della Valle, 6 - 00186 Roma
Tel: 0668135132 - 066872777 - Fax: 0668135134
Email: redazione@ideazione.com

[11 giu 08]
Milano commenta Napoli

Il Corriere della Sera ha impegnato firme autorevoli, da Galli della Loggia a Panebianco, da La Capria a Giovannino Russo, per aprire una aggressiva offensiva verso le classi dirigenti del Mezzogiorno. La diagnosi iniziale di Galli della Loggia è fondata: il progressivo degrado dell’intervento straordinario - che era stato ispirato dal gruppo dei nuovi meridionalisti riuniti nella Svimez - segna l’esaurimento del valore politico e nazionale della “questione meridionale”. Siamo negli anni Ottanta e, complice la malaugurata coincidenza del terremoto, il sud, cioè le sue classi dirigenti, cementando un’alleanza tra la sinistra cattolica e larga parte del Partito comunista, sceglie la marea montante della spesa pubblica e rifiuta di cavalcare la nuova onda del mercato e della progressiva globalizzazione dell’economia mondiale. Come avviene, al contrario, nel nord del Paese. “La Napoli di oggi, sommersa dai rifiuti, decapitata politicamente, muta intellettualmente e incontrastata terra di caccia della camorra, è il simbolo di questo sud assente, corpo ormai lontano da una Italia lontana”. Quella stessa Italia del nord che si è costruita, in parallelo ed in opposizione, gli strumenti della Lega e di Forza Italia per affermare sulla scena politica il valore nazionale della questione settentrionale. Un percorso che si compie e si conclude con la caduta dell’ultimo governo Prodi, che aveva inutilmente tentato di recuperare credito politico proprio sul terreno della questione settentrionale.

Queste sono le cause e le conseguenze di una strategia fallimentare e perdente in materia di politica economica, rappresentata dalla opzione per una spesa pubblica indifferenziata e la dipendenza dalla pubblica amministrazione. Ma impiantare, contro le patologie che essa ha generato, una ipotesi di federalismo e la contrapposizione tra una presunta società civile, capace di avere voce ed influenza per un cambiamento virtuoso, ed un ceto politico corrotto ed incapace sembra veramente una terapia inconsistente. Un Paese cresce quando si stabilisce una relazione cooperativa tra ceto politico e classi dirigenti. Nella sua storia Napoli testimonia anche questo. I patrioti del Novantanove fallirono nei propri progetti, mentre la casa reale dovette riparare sotto la protezione di potenze esogene che la riproposero nel governo del Regno una volta soffocata l’insurrezione. Gioacchino Murat, re di Napoli, rappresentò una parentesi di altra stoffa; nella quale una autorità politica lungimirante utilizzava il meglio delle classi dirigenti locali, formatesi anche negli anni duri e sanguinosi della mancata rivoluzione, per dare a Napoli un impianto urbanistico ed un respiro civile che la traghettarono nel secolo Diciannovesimo al meglio di quanto si potesse fare. Così come Francesco Nitti la traghettò nel Ventesimo secolo mentre i suoi eredi, i nuovi meridionalisti, tentarono di fare altrettanto ma furono travolti, al contrario, da un ceto politico locale che era incapace di percepire e gestire un approccio riformatore, guidato da entità separate dalla pubblica amministrazione, e che fosse amico del mercato, in ultima istanza. Come era avvenuto durante la stagione di Nitti e Beneduce.

Anche il ricorso al federalismo, l’altro cavallo di battaglia del Corriere della Sera, sembra strumento poco idoneo allo scopo di recuperare la coesione tra tensione civile e ceto politico. Gli Stati Uniti, certamente retti da un ordinamento federale, parlano di popolo e Paese come valori unitari e fondanti della propria civilizzazione. Un federalismo che ignora la nazione e che considera diversi, ed opporti tra loro, i popoli che sono insediati nel suo territorio, non può andare lontano sulla strada della coesione e della crescita. Non siamo, quindi, di fronte ad un problema di mancata coscienza civile. Non sono le voci del sud che devono contrapporsi ad un ceto politico screditato. Quando la voce diventa inefficace, dice l’analisi dei comportamenti collettivi, gli individui utilizzano l’opzione exit: se ne vanno verso Paesi e città migliori di quelle in cui sono nati. I meridionali lo hanno fatto nei secoli scorsi e, dagli anni Novanta, hanno ripreso a farlo. Proprio mentre il vicolo senza uscita della spesa pubblica conduceva verso l’asfissia economica del Mezzogiorno ed apriva spazi sterminati alla delinquenza. Che prospera dove arretrano, insieme, l’economia di mercato e la civiltà. Per questo, e nonostante tutto, la questione meridionale è ancora una questione nazionale. E la politica del governo farebbe meglio a tenerne conto perché è un rischio ed un costo per tutto il Paese e non solo per il Mezzogiorno.


Approfondimenti
L’articolo di Angelo Panebianco
L’articolo di Ernesto Galli della Loggia


 

vai all'indice di Mercati mondiali


Le riflessioni di un filosofo
sul mondo che cambia.

_____________

Un occhio indiscreto e dissacrante nei Palazzi del potere.
_____________

_____________
IL POST

I migliori post del giorno selezionati dai blog di Ideazione.

_____________
IDEAZIONE DOSSIER
Analisi, approfondimenti
e reportage.

IDEAZIONE VINTAGE
Il meglio dei primi quattordici anni della rivista bimestrale.
_____________
I BLOG DI IDEAZIONE

---

---

---

---



Il Pd è marginale anche nel dissenso
di Daniele Capezzone



Pianeta Balcani, eppur si muove
di Pierluigi Mennitti



Milano commenta Napoli

di Massimo Lo Cicero



Sul web arrivano i manichini virtuali
di Barbara Mennitti



Vallanzasca,
una vita da film

di Domenico Naso



Sergio Calizza: coordiniamo le politiche giovanili
di Stefano Caliciuri