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[10 giu 08]

Pianeta Balcani, eppur si muove

Se la politica induce alla speranza, e quindi le analisi dei politici si colorano inevitabilmente di ottimismo della volontà, quelle dei giornalisti inducono alla prudenza: il loro mestiere è quello di raccontare le cose come stanno e non come potranno essere. Nessuna sorpresa, dunque, che da un simposio giornalistico lo sguardo sui Balcani e sul loro futuro si uniformi a toni realistici che inducono a mitigare entusiasmi a volte eccessivi sullo sviluppo di tali regioni. E’ quanto emerso dai tre giorni di convegno a Gorizia dell’Associazione giornalistica italo-tedesca guidata da Ulrich Ritter che ha riunito nell’aula magna della facoltà di Studi Diplomatici e nelle sale della Camera di commercio esperti, accademici ed economisti, a confronto con giornalisti dei due Paesi impegnati sui temi dell’Europa sud-orientale. Germania e Italia (assieme all’Austria, che qui a Gorizia è comunque sempre presente almeno nelle vestigia storiche della città) sono le nazioni che guardano con maggiore interesse le vicende del sud-est europeo. Sono alternativamente i Paesi che detengono il primato dello scambio commerciale, man mano che si scende verso sud lungo la dorsale adriatica. Berlino e Roma sono le capitali di riferimento nella loro corsa verso Bruxelles.

Nel bilancio complessivo emerso da Gorizia sulle trasformazioni dell’area balcanica, in questi mesi le difficoltà sembrano prevalere rispetto ai passi in avanti. A cominciare dalla situazione della vicina Croazia, il Paese più avanti di tutti nel cammino verso l’integrazione europea, per il quale la data di ingresso nell’Unione, secondo valutazioni informali di Bruxelles, potrebbe slittare dal 2009 al 2011, a causa delle maggiori difficoltà incontrate sul tema delle riforme economiche. Niente di sconvolgente, se si pensa che anche Romania e Bulgaria hanno avuto bisogno dei tempi supplementari, e tuttavia un segnale di difficoltà per una nazione che si appresta a vivere questa estate da assoluta protagonista sulla scena turistica mediterranea. Dai servizi giornalistici sulle patinate riviste tedesche, sembra quasi che l’intera movida berlinese si stia trasferendo sulle coste croate, snobbando i tradizionali luoghi del divertimento delle isole spagnole. Il boom turistico, tuttavia, lascia scoperti i fondamentali di un’economia che si riforma con maggior lentezza del previsto.

Tra gli interventi più apprezzati quello di Demetrio Volcic, decano dei corrispondenti della Rai dai Pesi dell’est, che invita a programmare tempi lunghi per il processo di integrazione dei Balcani. Diversi i segnali: il crescente timore dei cittadini europei già stressati per la prima ondata di allargamento, il risucchio verso il degrado della corruzione di Romania e Bulgaria che invita a prudenze maggiori verso i futuri membri, la presenza sempre robusta dell’etno-nazionalismo nei Balcani occidentali. Su quest’ultimo punto, Volcic considera letale la sottovalutazione del tema che è stata fatta in occidente: tutti gli studi recenti sono di scuola statunitense, ma la realtà storica dei Balcani (e anche dell’Europa) sfugge completamente agli schemi americani. Questo ha determinato scelte rischiose nel passato ma l’occidente non pare aver imparato la lezione.

Il Kosovo è ovviamente al centro del dibattito. E le critiche al lavoro dell’Onu e ai recenti sbocchi politici è assai aspra. Si fa notare l’assenza al convegno dell’ambasciatore serbo, segno di un risentimento diplomatico che va al di là della divisione politica a Belgrado fra europeisti e nazionalisti. Sul Kosovo si addensano le incognite più cupe circa la stabilità politica dell’area. Sullo sfondo il ridimensionamento della Serbia e la prospettiva di una Grande Albania: tensioni che potrebbero riaccendere il fuoco dell’etno-nazionalismo. Come sta accadendo in Macedonia (le vicende di sangue legate alle recenti elezioni ne sono una conferma) dove le tensioni etniche interne si sommano al contenzioso con la Grecia per la questione del nome, e come accade quotidianamente in Bosnia.

Tocca dunque a un diplomatico, il console sloveno Josef Susmelj, ridare fiato alla speranza. La Slovenia può giocare un ruolo decisivo di guida e di esempio per le ex sorelle dell’area jugoslava e la presidenza del semestre europeo che si va concludendo lo ha dimostrato. A febbraio, nella riunione di Lubiana, i ministri degli Esteri dell’Ue hanno rilanciato il piano stabilito cinque anni prima a Salonicco e, pur con tutte le lentezze necessarie, la via per l’integrazione dell’area balcanica è tracciata. Passa da questo risultato la stabilità duratura di questa regione, fondamentale per quella di tutta l’Europa ma in particolare dell’Italia che, via mare, è di fatto una nazione frontaliera.

E di questa dimensione frontaliera dell’Italia rispetto ai Balcani si è discusso con qualche concessione all’ottimismo nella tavola rotonda con gli operatori del commercio e dell’industria. Da Gorizia si punta molto a rimarcare il ruolo di cerniera della provincia (così come dell’intera regione e del più ampio Nordest) tra mondo latino, germanico e slavo. Alcune attività economiche con l’altra sponda hanno ormai una storia consolidata e non più limitata alle vicende della delocalizzazione. Dalla Germania soprattutto, come ha informato il cronista economico della Sueddeutsche Zeitung Thomas Fromm, gli investimenti specie verso la Slovenia sono molto cresciuti, soprattutto dalla Baviera, da dove si è messa in moto la banca regionale. E non avviene più per il costo del lavoro più basso ma per la qualità del servizio e per il clima favorevole che circonda gli investitori tedeschi.

Su questo punto appare con drammaticità una realtà di concorrenza. Secondo una recente indagine, gli imprenditori tedeschi soddisfatti o molto soddisfatti dei loro investimenti in Slovenia è del 60 per cento. Un dato molto alto. Che va messo in relazione con il crescente disinteresse della Germania per l’Italia: mentre per noi il mercato tedesco resta fondamentale, per i tedeschi il mercato italiano risulta sempre più marginale. E cresce invece l’interesse per l’Europa sud-orientale. Gli operatori del commercio goriziano ne sono consapevoli. Si lamenta la mancanza di un sistema-paese che sappia valorizzare le singole specificità. Ma si nota una certa difficoltà a entrare con forza nel rapporto integrato con questa nuova area di sviluppo. Il presidente della Camera di commercio Emilio Sgarlata punta all’Adriatico, l’autostrada del mare che dovrà rilanciare il porto di Monfalcone come terminale nord rispetto ai traffici che risalgono dalla Turchia, dalla Grecia, dalle regioni italiane affacciate sull’Adriatico. Sono le scommesse che si facevano alla fine degli anni Novanta, quando finì la guerra jugoslava e i Balcani si riaffacciarono sul mare con nuove speranze. Sono passati dieci anni e l’Italia deve correre ai ripari per non perderle tutte quante.

 

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