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[16 apr 08]

Il dopo-voto e la crisi economica

Si sono conclusi i lavori del G7 dedicati alla diagnosi ed alla terapia necessarie per portare l’economia mondiale fuori dalle secche in cui si trova. La crisi congiunturale, che rallenta il ritmo di crescita in tutta l’economia mondiale genera una paradossale circostanza. Il fatto che l’economia delle due aree più ricche del mondo, in termini di reddito pro capite, Unione Europea e Stati Uniti, sia anche quella che crescerà più lentamente nei prossimi due anni. Il rallentamento deriva, in parte, anche dal disordine finanziario che si è accumulato grazie alla rapida espansione del nuovo modello di compartimento degli intermediari finanziari: originate to distribute risk. Un modello che ha spinto, grazie alle opportunità offerte da cartolarizzazioni, ingegneria finanziaria e derivati, ad un singolare comportamento le grandi banche internazionali: produci rischio e trasferiscilo ad una moltitudine di piccoli attori, anche alle singole famiglie di risparmiatori. La dimensione del ridimensionamento nel ritmo di crescita dell’economia mondiale e quelle della crisi finanziaria, ma anche delle terapie necessarie per superarla, si possono leggere in due importanti rapporti del Fondo Monetario Internazionale: l’outlook sul futuro congiunturale ed il global financial stability report.

Sta di fatto che la crisi finanziaria si è allargata nei mercati collegati alle grandi banche americane mentre le banche europee sono rimaste relativamente periferiche rispetto a questi eventi. Le banche italiane sono ancor più periferiche di quelle europee. Eppure l’economia europea rallenta e le sue prospettive di ripresa sono, forse, ancora più lente di quelle dell’economia degli Stati Uniti. Purtroppo l’economia europea si trova ad avere una moneta troppo forte, una popolazione che invecchia anche se l’immigrazione ne rinnova la base demografica, un modello di vita che, grazie alla diffusione del welfare state, attenua la spinta alla crescita ed alla innovazione: perché tende a ridimensionare lo spirito di intrapresa e la responsabilità personale degli individui. Inoltre, e forse questo è il tratto determinante, la popolazione europea avverte questa congiuntura rallentata come una minaccia ed aspira ad una maggiore protezione sociale, piuttosto che ad una maggiore spinta verso l’espansione delle proprie attività nel mare, ancora agitato, del mercato mondiale.

In questo contesto si sono svolte le elezioni italiane ed hanno raggiunto un singolare risultato, che si può descrivere secondo tre caratteri distintivi. Il voto ha determinato una fortissima polarizzazione delle preferenze. Mai, come in questo caso, la composizione del Parlamento sarà ridotta a pochi larghissimi raggruppamenti nei quali si sono polarizzate le scelte degli elettori. In pratica saranno il Popolo della libertà ed il Partito democratico a rappresentare la quasi totalità delle presenza parlamentari. Questa polarizzazione aumenta la capacità di governare il sistema attraverso una relazione più robusta tra la maggioranza parlamentare ed il governo che verrà insediato. Ma questa riduzione dello spettro delle variegate, fin troppo, opinioni della cultura politica italiana, determina, parallelamente, una riduzione delle identità e delle appartenenze ideologiche ed ideali, che rendono il Parlamento uno specchio effettivo della struttura sociale e culturale del Paese.

Questa dissonanza tra Parlamento e Paese potrebbe, in maniera assolutamente speculare ed antitetica con la prima tendenza, che supporta ed implementa la governabilità del sistema, accentuare la instabilità e la fragilità delle manovre di politica economica, assolutamente necessarie per affrontare le onde della crisi economica di cui abbiamo detto in premessa. Sarà molto interessante capire, nelle prossime settimane, come si combineranno tra loro queste due tendenze antitetiche tra loro. Vada come vada sarà certamente meglio di quanto avveniva nel confronto, largamente sterile, tra le due coalizioni “federali” che hanno dominato la lunga stagione della Seconda Repubblica. Durante la quale, infatti, anche le modeste brezze di ripresa, che pure hanno segnato l’orizzonte internazionale, non sono mai riuscite ad accendere vivacemente il fuoco della crescita nell’economia del nostro Paese.

Approfondimenti
Il sito del world economic outlook del Fondo Monetario Internazionale
Il sito del global financial stability report del Fondo Monetario Internazionale


 

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