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[02 apr 08]

Tremonti, non è protezionismo

L’ultimo libro di Giulio Tremonti , La paura e la speranza, ha tenuto banco sulle prime pagine dei quotidiani nelle ultime settimane. L’ondata di attenzione sembra esaurita e si può, forse si deve, suggerire la sua lettura per affrontare davvero le domande e le risposte che il libro propone. Del libro si è detto che rappresenta una soluzione protezionista, che riscopre e rilancia la centralità dei poteri discrezionali del mercato, contro gli eccessi del liberalismo e del pensiero unico diffuso dai profeti del mercato globale. Per la verità il libro non parla di questo e, dunque, sarebbe utile ricominciare la discussione partendo dal suo contenuto e non da un pregiudizio e da un falso. Essendo il pregiudizio il fatto che la soluzione di Tremonti sia una svolta autarchica e protezionista ed il falso che queste affermazioni siano contenuto nel suo volume.

Il libro non è lungo ma è denso e, per certi versi, volutamente apodittico. Non basta leggerlo: perché il testo lascia aperte molte possibili interpretazioni delle diagnosi offerte. Ragionamenti che sono capaci di suggestionare il lettore, e di indurlo a riflettere, ma anche di costringerlo ad interrogarsi sulle possibili interpretazioni di quelle suggestioni. Offriamo una serie di anelli della catena con cui Tremonti arriva alla conclusione: non è l’unica strada per attraversare il libro ma è certamente uno dei sentieri che passa per quelle pagine. Esiste una contraddizione tra i desideri che vengono eccitati dalla scoperta della riproducibilità esponenziale di una serie di beni e servizi e la barriera limitazionale che rappresentano i beni non riproducibili, come le risorse naturali. Ma esiste anche la circostanza ineludibile che ogni produzione debba necessariamente assorbire una parte di quelle risorse. Per molti secoli l’Europa è stata considerata l’epicentro di un mondo, altro da essa e periferico rispetto ai suoi equilibri interni, dal quale estrarre materie prime e risorse naturali da utilizzare per alimentare il benessere nel Continente.

Il Ventesimo secolo - nel quale l’Europa cede questa centralità agli Stati Uniti - si conclude con una tragico epilogo: l’avvento del mercatismo, che rappresenta una sintesi deteriore delle due facce di questo “secolo - troppo - breve”, consumismo e comunismo. Essendo il mercatismo solo un nuovo modo di vendere e non una nuova organizzazione della relazione tra produzione e bisogni, che essa dovrebbe soddisfare. Gli eccessi della finanza creativa, che si combinano con la retorica del mercatismo, anche grazie alla diffusione del faster, better and cheaper generato dalle innovazioni tecnologiche, producono un singolare paradosso: un impatto di segno opposto, rispetto ad un eclatante precedente storico, tra Europa e Nuovo Mondo. Nel Cinquecento, con la scoperta delle Americhe, l’Europa entra nel Nuovo Mondo. Ora è il Nuovo Mondo che entra in Europa, sommergendone i privilegi e le rendite. La storia non dispone della retromarcia, e dunque non esiste una opzione conservatrice tradizionale: quella offerta dalla destra nel secolo scorso contro la sinistra. Ma la speranza della sinistra - poter soddisfare tutti i desideri con la razionalità fredda della ingegneria sociale, una volta rifiutato il paradigma palingenetico della rivoluzione - non porta da nessuna parte. Per andare in un altrove - che non sia il mercatismo ed il suo frigido approdo ad una composizione degli interessi nella euforia dei consumi, finanziati dal debito in assenza di una vera espansione delle forze produttive - servono un catalogo dei valori ed il calore delle emozioni che la politica può garantire.

Serve la produzione di coesione sociale grazie ai valori ed alle istituzioni che ne promuovono la crescita. Non solo attraverso lo Stato nazione o lo Stato del benessere, sia nella sua versione europea ed austroungarica che in quella liberal, del modello mercatista americano. Niente protezionismo, come dicevamo, ma piuttosto una riscoperta della dimensione responsabile della politica contro quella meramente rendicontabile della economia e della finanza. La descrizione delle forze che ci hanno condotto al punto in cui siamo, in Europa e nei Paesi sviluppati, è più convincente della terapia per la costruzione di un futuro effettivamente alternativo e diverso dal mercatismo. Ma di questo si continuerà a parlare anche in futuro. E non è detto che tutte le terapie di Tremonti siano davvero convincenti. Per ora basti sfatare il tratto protezionista, e in definitiva banalizzante, di un lavoro intellettuale provocatorio e comunque utile per smontare vecchi schemi ideologici e pregiudizi politici consolidati.


 

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