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A CHI FA COMODO LA CACCIA AL FASCISTA?
Una certa sinistra uscita sconfitta dalle urne rispolvera vecchie parole d'ordine  da anni '70. Una logica irresponsabile e pericolosa che il Paese deve rifiutare.
di BARBARA MENNITTI

[29 mag 08] Verrebbe da dire che una certa sinistra perde il pelo ma non il vizio, se non fosse che la frase è fin troppo abusata e che, oltretutto, non calza. Perché questa sinistra non ha perso nemmeno il pelo e, anzi, ci si fodera accuratamente lo stomaco, pronta a strumentalizzare ogni evento tragico alle sue vecchie logiche. E a ritirare fuori dal cassetto slogan che, sinceramente, speravamo riposti per sempre. Ma invece non è così e, fra gli eventi luttuosi e criminali degli ultimi giorni, l’unico che ancora non sia stato attribuito all’ondata travolgente di fascismo che starebbe spazzando l’Italia, è lo straripamento dell’Aniene a Castel Madama. Ma ci sono ancora speranze. Per il resto su tutti i giornali, su tutte le reti, in tutti i dibattiti, è un continuo fiorire di “dagli al fascista”, tutto un vivisezionare situazioni, dichiarazioni, moventi alla ricerca del dettaglio che giustifichi il ricorso alla valanga di parole d’ordine da anni Settanta. Da Verona a Ponticelli, dal Pigneto alla Sapienza, a qualsiasi atto di criminalità e di teppismo viene attribuita senza alcuna esitazione la matrice politica, anche quando gli stessi inquirenti la escludono con decisione. Ma tanto non importa, sono i fascisti, tornati fuori dalle fogne, perché il centrodestra ha vinto le elezioni.

Soprattutto a Roma, perché lo smacco della sconfitta elettorale, dopo anni e anni di governo della sinistra, è davvero duro da digerire. Mi viene in mente il racconto di un collega più anziano che da cronista dell’Unità fu mandato di corsa in una borgata romana, dove “i fascisti” protestavano contro la collocazione di un campo rom. Arrivato sul posto in fretta e furia, si trovò davanti a un segretario della sezione del Pci, che conosceva, che brandiva un cartello dai toni truculenti contro il campo nomadi. Altro che fascisti. “Hanno rotto le scatole – gli disse il compagno – li mettessero ai Parioli e non sempre da noi”. Il collega chiamò la redazione, dicendo che non poteva scrivere il pezzo: mancava la notizia. Secondo me la notizia c’era, purtroppo, però, non era quella che voleva lui. Mi sembra che questo modo di fare cronaca, stia tornando molto in voga. Negli articoli spesso si omette di dire che i cinque di Verona erano bulli da stadio ventenni e solo per uno di loro sono state provate le idee politiche (ma poi, come si fa a dare del fascista a uno che è nato nell’88?); che a Ponticelli è stato un regolamento di conti patrocinato dai camorristi locali; che nel terribile raid del Pigneto non è stata riscontrata alcuna matrice politica (e anzi, proprio oggi Bonini su Repubblica identifica il "capo del commando" in un guevarista convinto); che alla Sapienza i democraticissimi studenti della sinistra volevano impedire (e ci sono riusciti) che si tenesse un convegno sulle foibe.

Naturalmente la violenza va non solo condannata, ma duramente repressa sempre e comunque. E qui non si vuole mettere in dubbio che alcuni singoli o gruppi di disadattati violenti possano aver pensato di poter godere di maggiore tolleranza sotto il nuovo governo, spronati magari da alcuni toni eccessivi da campagna elettorale non sempre responsabili. Anche per questo bisognerà che la politica faccia capire subito e senza lasciare spazio ai malintesi che la legalità vale per tutti, delinquenti comuni, italiani, stranieri, destri, sinistri e di centro. Ma voler attaccare sbrigativamente etichette politiche, mutuate fra l’altro da un passato ormai lontano, non aiuta nessuno, se non chi fa un gioco subdolo e meschino. I criminali vanno descritti come criminali, ammantarli di una matrice politica li nobilita, li fa sentire eroici, li fa sentire di parte, mentre non appartengono a nessuna parte, se non quella dell’illegalità. Tutti i commentatori, tutti i politici, chiunque cerchi di fare minimamente opinione in questo Paese dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza e smettere di cercare di riportarci in un clima di odio di parte, dal quale solo di recente siamo faticosamente usciti.


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