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IRAQ, GLI EFFETTI POSITIVI DELLA CURA PETRAEUS
Proprio quando l’Iraq non fa più notizia sui giornali, la war on terror registra progressi su vari fronti mentre al Qaeda e i gruppi terroristici perdono terreno.
di STEFANO MAGNI

[28 mag 08] Quante notizie arrivano dall’Iraq? Poche, ormai. A parte quella di un soldato americano che decide di usare una copia del Corano come bersaglio (provocando l’ennesima ondata di sdegno e proteste violente in tutto il mondo musulmano) e la drammatica notizia dell’uccisione di due giornalisti iracheni nella provincia di Diyala, nel nord del Paese, si sa ormai poco o nulla del fronte mesopotamico della guerra al terrorismo. Sarà un caso, ma l’Iraq ha smesso di occupare le prime pagine degli esteri proprio quando gli americani hanno ricominciato a vincere. Si dice pochissimo delle vittorie del generale David Petraeus contro la guerriglia di Al Qaeda e di quelle delle forze regolari irachene contro le milizie sciite filo-iraniane di Moqtada al Sadr. Eppure sono anche gli stessi jihadisti che iniziano ad ammettere le loro sconfitte sul terreno. Gli ultimi progressi contro i movimenti terroristi si sono registrati a metà maggio, con la cessazione delle ostilità dell’Esercito del Mahdi di Al Sadr e con la riconquista dell’area di Kirkuk, strappata dalle mani di Al Qaeda.

La fine delle operazioni contro Al Sadr, condotte da truppe irachene, non manca di sollevare alcune polemiche. Secondo l’ultimo studio del Council on Foreign Relations, da sempre critico nei confronti dell’intervento in Iraq, il governo di Baghdad ha mancato l’obiettivo principale, cioè il disarmo dei miliziani sciiti nel sud del Paese, accontentandosi di una loro cessazione dei combattimenti: le armi vengono semplicemente tenute “in cantina”, ma non sequestrate. E in questo non vi sarebbe nulla di nuovo: anche nel 2004, quando il leader radicale filo-iraniano aveva lanciato la sua più massiccia insurrezione contro Baghdad e la coalizione, le sue milizie avevano accettato una cessazione del fuoco, ma negli anni successivi sono rimaste pericolose. Tuttavia sarebbe ingiusto sminuire i risultati ottenuti dal nuovo esercito regolare iracheno. “La sicurezza è notevolmente migliorata a Bassora - dichiara al Washington Times il generale Jack Keane, consigliere di Petraeus - La gente è tornata a uscire di casa e le forze di sicurezza irachene hanno chiaramente il controllo della situazione. Le varie milizie e fazioni di irregolari non spadroneggiano più”. Per riconquistare la più importante città del Paese dopo Baghdad, il premier Al Maliki è ricorso, oltre all’impiego delle forze regolari, anche all’alleanza con una delle più influenti tribù arabe del sud, i Bani Tamim. I quali, da nemici della Coalizione e del governo centrale, ora stanno cooperando per il mantenimento della sicurezza.

In un Paese frazionato come l’Iraq, la strategia delle alleanze con le tribù locali si sta dimostrando quella vincente. Aveva iniziato, a livello locale, il generale Petraeus quando era al comando della 101esima divisione aviotrasportata nelle province del nord dell’Iraq. Sempre a livello locale, sin dal 2005, anche i comandanti dei marine nella provincia di Anbar avevano iniziato a prendere contatti con gli sceicchi sunniti per combattere contro Al Qaeda. Ora la provincia di Anbar è quasi del tutto pacificata. Anche perché, con i suoi metodi di occupazione in stile talebano, Al Qaeda si è ben presto alienata le simpatie della popolazione. L’ultima provincia ad essere passata sotto il controllo del governo di Baghdad, dopo essere stata a lungo dominata da Al Qaeda, è quella di Kirkuk. Il 12 maggio, il comando della decima divisione da montagna statunitense ha annunciato pubblicamente la “distruzione pressoché completa” delle formazioni qaediste nella zona. La violenza contro gli iracheni e le forze della coalizione è ridotta del 70 per cento, 20 comandanti della guerriglia sono stati uccisi o catturati, altre 63 “persone di grande interesse” sono state arrestate. Ora sarà la volta di Mosul? Probabilmente sì. Fino ad oggi la città settentrionale, in cui è stato rapito e ucciso l’arcivescovo caldeo Faraj Rahho, è stata terreno libero per le milizie islamiste. Dal 10 maggio scorso, con l’operazione Ruggito del Leone, l’esercito regolare e la polizia irachena hanno arrestato più di mille ricercati nella città, tra cui anche molti “pesci grossi” del terrorismo sunnita. Anche in questo caso, la cooperazione delle tribù locali ha garantito alle forze irachene l’appoggio di altri 10mila irregolari.

Il 29 maggio prossimo, questi e altri progressi saranno presentati dal governo iracheno alla comunità internazionale a Stoccolma. Il messaggio di Baghdad, reso esplicito la settimana scorsa a Sharm el Sheik, è chiaro: non abbandonateci proprio ora, perché possiamo vincere. Ed è nell’interesse di tutti battere Al Qaeda sul suo fronte principale. Anche gli stessi jihadisti cominciano ad ammettere la crisi. Su uno dei principali forum islamisti, è apparso uno studio di un tale “Scudo del Monoteismo”, che ammette un calo del livello di operatività di Al Qaeda in Iraq del 90 per cento negli ultimi 12 mesi. Nel novembre del 2006, i guerriglieri islamisti erano in grado di condurre con successo sino a 334 azioni al mese, ora solo 16. L’autore, che non è stato affatto censurato, denuncia la divisione interna al mondo islamista quale causa di questa sconfitta. Perché regalare loro una vittoria insperata ritirando le truppe dall’Iraq, come promettono i candidati democratici nelle prossime elezioni statunitensi?


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