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L'Italia apre al nucleare. ma quale?
Il nostro Paese sembra orientato verso una “terza generazione evoluta”. Ma, secondo gli esperti, la quarta generazione è dietro l’angolo, è più sicura e offre vantaggi economici e ambientali. Ed è una tecnologia tutta italiana.
di BRUNO PAMPALONI

[26 mag 08] Via alla quarta generazione nucleare? Ne è convinta una parte della comunità scientifica: è più sicura, più pulita e renderebbe veramente indipendente il nostro Paese dai rifornimenti energetici esteri. O, forse, sarebbe meglio puntare sulla terza e mezza perché propedeutica alla prima e di quasi immediata attuazione, come sostenuto di recente da Chicco Testa? Difficile chiarirsi le idee se anche i cosiddetti esperti faticano a capirsi e a farsi capire. Scegliere una tecnologia o un’altra non è questione di poco conto, considerata l’importanza del nucleare per l’intero sistema industriale italiano. Lo ha intuito benissimo l’ottima Emma Marcegaglia che, per tagliare la testa al toro dell’incertezza, ha deciso di puntare sulla più “frequentata” generazione, cioè la terza “evoluta”. Eppure secondo alcuni scienziati italiani di prim’ordine (i migliori in materia) - come Carlo Rubbia, Luciano Cinotti o Ellio Calligarich - non sarebbe proprio vero che la “generation 4” sia “una tecnologia troppo lontana a venire”.

Proprio di recente e grazie alla proprietà dei brevetti sui reattori veloci raffreddati al piombo, per esempio, la Del Fungo Giera Energia ha stretto un’importante joint venture con Mosca per la costruzione di oltre venti centrali nucleari in territorio russo. Da realizzare in tempi brevissimi. Un affare da  20 miliardi di euro. Tuttavia, secondo quanto riportato sabato scorso dal Sole 24 ore, il ministro Claudio Scajola avrebbe già optato per il nucleare di terza generazione “evoluta”, scelta “più realistica dal punto di vista industriale”. Non si tratta, qui, di prendere le parti per una o per l’altra soluzione. L’autosufficienza energetica conquistata attraverso la costruzione di impianti nucleari è troppo importante per lo sviluppo del nostro Paese. Spaccare un’altra volta l’Italia tra fautori della terza e partigiani della quarta generazione sarebbe un assurdo regalo offerto proprio a chi vorrebbe condannarci a un declino industriale irreversibile. Di tutto c’è bisogno meno che di un altro scellerato referendum antinucleare, reso possibile o addirittura inevitabile da incertezze, ostruzionismi e cordate in lotta per il “potere atomico”.

Ciononostante, per individuare la scelta più conveniente per l’Italia, occorre avviare una seria riflessione sui costi e i benefici che le due tecnologie comportano. Un ragionamento di questo tipo, sia chiaro, non deve essere una scusa per rimandare a “tempi migliori” la comparsa dell’atomo italiano. Tuttavia, da quando la settimana scorsa il ministro Claudio Scajola ha decretato il via libera al nucleare, invece che diradarsi, le nebbie dello scontro ideologico sembrano aumentare. Nonostante le buone intenzioni del governo, i tempi di realizzazione degli impianti sembrano affidati alle più incerte previsioni. Le date di “fine lavori” vengono giocate sulla più imprevedibile ruota del caso: fine legislatura, al massimo 2015 se di terza, 2020, 2030 o addirittura 2040 se di quarta. Insomma difficile raccapezzarsi. Perché se della terza e mezzo si sa (quasi) tutto, la comparsa all’orizzonte della quarta generazione dei reattori veloci raffreddati al piombo appare invece la causa di questa impazzita giostra.

Qual è il vero “stato dell’arte”? Ognuna delle parti in commedia sembra recitare con la “generation 4” il ruolo più funzionale alla propria sopravvivenza sul palco dello sviluppo nucleare italiano. Cerchiamo allora di capirne qualcosa di più. Prima di tutto va chiarito che, proprio di recente, i brevetti detenuti da Del Fungo Giera Energia sono stati validati dai massimi organismi responsabili in materia, come Euratom e Nikiet (l’Enea russa). Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato della società, Domenico Libro, “i reattori veloci di quarta generazione hanno caratteristiche talmente superiori che, di fatto, diventeranno in tempi brevissimi i protagonisti futuri del nucleare”. La “generation 4” sarebbe infatti “dietro l’angolo” e arriverà “molto in anticipo rispetto ai 15 o 20 anni immaginati dai suoi detrattori”. Libro insiste poi su alcuni “elementi distintivi della quarta generazione”: sostenibilità, economicità, sicurezza, resistenza alla proliferazione, costi e tempi di installazione in linea con quelli di terza. Ma, soprattutto, “da italiano” vuole “far riflettere sul fatto che il nostro Paese potrà produrre e commercializzare energia con tecnologia propria”.

Ma non basta: “la quarta generazione eliminerà una volta per tutte lo spauracchio nucleare degli ambientalisti: quello delle scorie radioattive”. I reattori veloci raffreddati al piombo, infatti, producono più combustibile di quanto ne brucino. In buona sostanza trasformano le scorie (anche di altre generazioni) in combustibile e la piccola percentuale rimasta ha un tempo di decadimento di poche centinaia di anni. Un arco temporale assai breve per chi deve costruire depositi di stoccaggio a prova di disastro ambientale o bellico. “Con gli impianti di terza, invece, le scorie decadono dopo centinaia di migliaia di anni”. Considerato che l’intera comunità scientifica è concorde nell’accettare gli aspetti positivi del nucleare di ultimissimo tipo, il vero nodo del contendere resta capire quando potrà diventare realtà. E rimane da comprendere se la differenza di opinioni in merito sia alimentata anche dagli investimenti industriali attuati sulle generazioni pregresse. Che sono comunque un valore. Ma, soprattutto, ciò che sembra penalizzare maggiormente la quarta generazione italiana, è la joint venture con i russi. Un peccato originale che la politica dovrà decidere se rimettere o meno.


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