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CONFINDUSTRIA, LA PRIMA VOLTA DI EMMA
Superare l’egualitarismo, innovare il pubblico impiego, competere nella globalizzazione. Emma Marcegaglia raccoglie consensi da politici e sindacati.
di STEFANO CALICIURI

[23 mag 08] Non dichiarazioni d’intenti, neppure arzigogoli dialettici. Ma una vera e propria relazione politica. C’era molta attesa e curiosità, ieri, per sentire il discorso d’insediamento di Emma Marcegaglia a presidente della Confindustria, prima donna a ricoprirne il ruolo. E per quanti nutrivano dubbi sull’opportunità di assegnarle la leadership dell’associazione, i due minuti di applausi hanno fugato ogni perplessità. E hanno consegnato al Paese una nuova leader confindustriale animata da un sano ottimismo. Il discorso di Marcegaglia ha analizzato la “questione Italia” a tutto tondo. Non soltanto denunciando i problemi e le stagnazioni, ma soprattutto entrandovi nel merito e proponendo risoluzioni. La crescita zero, così definita dalla neo presidente, non riguarda soltanto l’impresa ed il mondo del lavoro, ma anche la demografia. Investire non significa soltanto aumentare le risorse aziendali, vuol dire soprattutto far nascere bambini, riempire le culle per garantire il naturale ricambio generazionale e, di conseguenza, rinnovare la linfa vitale del tessuto sociale del Paese. Il sentimento materno di Marcegaglia è emerso anche all’inizio del discorso, quando, subito dopo il doveroso ringraziamento nei confronti di Luca Cordero di Montezemolo, suo predecessore, ha esteso il saluto anche ai genitori, Steno e Mila Marcegaglia, da cui, dice Emma, “ho imparato la responsabilità dell’imprenditore nei confronti dei collaboratori e della società”.

Ed ora quella stessa responsabilità che per anni ha messo al servizio della sua azienda vuole riversarla sul Paese, suggerendo e contribuendo ad uno sviluppo che ormai, fermo da troppo tempo, paralizza l’Italia, le imprese, i lavoratori, i cittadini. Ma quali sono le priorità che il governo dovrà affrontare sin da subito? Marcegaglia non sembra aver dubbi: “Eccesso di burocrazia, di pressione fiscale da una parte e scarsa produttività, insufficiente investimento in ricerca e formazione dall’altra”. Per frenare la crisi “non possiamo perdere di vista le principali riforme istituzionali: più poteri al premier, nuova legge elettorale, superamento del bicameralismo perfetto”. In sostanza, la stessa ricetta che Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini vorrebbero, sin dai tempi della Bicamerale, servire al Paese. Entrando nello specifico del sistema imprenditoriale, Marcegaglia cita l’economista indiano Bhagwati (“Liberalizzare quando l’economia non cresce è difficile ma alla fine la gente capirà che alzando barriere non si va da nessuna parte”), parla di globalizzazione come opportunità (“Non vuol dire solo bassi salari e delocalizzazione delle produzioni, significa anche mercati che si aprono, nuovi prodotti e processi produttivi, opportunità di investimento”), di salvaguardia ambientale (“Non possiamo accettare impostazioni autolesionistiche come continuare con l’adozione unilaterale del protocollo di Kyoto. Condividiamo l’idea di interventi coordinati per i cambiamenti climatici, ma non accettiamo un atteggiamento che rischia di rendere difficile e costosissimo fare impresa in Europa, lasciando che chiunque inquini a piacimento fuori dal nostro territorio”).

L’Unione Europea deve essere al fianco degli imprenditori e degli investitori: la concorrenza dell’est rientra nella naturale crescita mondiale; ad essa non si deve rispondere con il protezionismo continentale, ma con la crescita della domanda interna, degli scambi commerciali anche tra pari. A quasi dieci anni dall’introduzione dell’euro, le imprese hanno imparato a convivervi: prezzi più stabili, anche se più alti, tassi d’interesse più bassi, anche se più variabili, disavanzi pubblici più contenuti. “Ma un euro troppo sopravvalutato – spiega Marcegaglia – nei confronti del dollaro penalizza in modo insostenibile le nostre esportazioni. L’Unione Europea deva continuare a spingere il G8 a pronunciarsi sui cambi e deve coinvolgere la Cina nelle discussioni sull’assetto valutario”. I sindacati “collaborativi” e le nuove generazioni “propositive” hanno tenuto banco nella seconda metà dell’intervento della presidente di Confindustria. “Possiamo chiudere una lunga stagione di antagonismo, pensare in maniera nuova il confronto con i sindacati e il modello di relazioni industriali. Oggi sono obsolete. Dopo quattro lunghi anni, Cgil, Cisl e Uil hanno finalmente definito una posizione unitaria e questo rappresenta un punto di partenza importante. Non è una piattaforma, ma una proposta per avviare una trattativa nuova, lontana dai riti inconcludenti del passato. Anche se per noi alcune proposte non sono condivisibili, come l’idea di indicizzare le retribuzioni ai prezzi che ci porterebbe fuori dall’Europa. Ma finalmente ci sono le condizioni per iniziare un confronto, cambiare le regole del gioco, modernizzare il sistema”.

Prima riforma su cui dialogare: la contrattazione, che dovrà riguardare anche il pubblico impiego. Negli ultimi anni, infatti, esso ha ottenuto un incremento retributivo più che doppio rispetto al settore privato, senza però che a questo corrispondesse alcun aumento di efficienza. “I tassi di assenteismo – ha continuato Marcegaglia – nel pubblico impiego sono uno scandalo nazionale. Noi non accettiamo un sistema dove ci sono persone che timbrano il cartellino e subito dopo abbandonano il posto di lavoro. E’ un insulto nei confronti dei lavoratori onesti, pubblici e privati. Non possiamo più sopportare che una parte del Paese sottratta ad ogni controllo scarichi i costi e le sue inefficienze sulla parte sana. Quella parte che lavora e produce per tutti e che ormai manda inequivocabili segni di insofferenza”. In conclusione, un appello affinché vengano premiate le nuove generazioni, senza però dimenticare la discriminante necessaria: competenza e merito. “Vogliamo una società aperta, che premi e promuova il merito, dove siano date a tutti uguali opportunità di partenza e dove l’anzianità di carriera non sia il principale criterio di remunerazione delle capacità. Dove ci siano maggiore mobilità sociale, più competizione e solidarietà nei confronti dei più deboli. Compete anche a noi costruire una società più aperta e trasparente, che non sia preda di privilegi corporativi. Ma ai giovani dico con chiarezza: guardate alla competizione e al merito come valori positivi, prendeteli nelle scuole e nelle università, non fatevi sedurre dai cattivi maestri dell’egualitarismo al ribasso che toglie opportunità a chi ha talento”.

Così come per le università: in Italia esistono oltre 2700 corsi di laurea, quasi tutti simili e parificati tra loro. Per dare nuovo slancio all’insegnamento, conclude Marcegaglia, bisognerebbe introdurre nel sistema l’emulazione. “Più ricerca, migliori docenti, più allievi. Uguale formazione migliore con conseguente maggiore attrazione di investimenti e risorse”. Apprezzamenti bipartisan sul fronte politico. Il premier Silvio Berlusconi si è detto entusiasta della relazione, aggiungendo che “potrebbe essere, anzi sarà, il nostro programma di governo”. Soddisfatto anche Walter Veltroni, soprattutto per quanto ha riguardato le questioni “della crescita, della necessità di un mercato aperto e dei fattori strutturali del gap italiano, ma anche su formazione e scuola l’ho trovata molto convincente”. Plausi anche da Raffaele Bonanni (Cisl) - “E’ una svolta. Non ci si muove più genericamente ma si va dritti verso un obiettivo” -  e da Luigi Angeletti (Uil) - “Ho apprezzato molto il passaggio che riguarda il rapporto con i sindacati”. Leggera perplessità soltanto dal fronte della Cgil, attraverso le parole di Guglielmo Epifani: “Marcegaglia sottovaluta una condizione pesante che è quella del reddito dei lavoratori. Bisogna che Confindustria riconosca questo problema perchè quando affronteremo il modello contrattuale noi vogliamo dare più forza ai salari”.


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