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IL DESTINO DI ROMA TRA DEBITO E SVILUPPO
Alemanno, nuovo sindaco della capitale, dovrà risanare i conti delle casse comunali. Valorizzando il fascino della Città Eterna, vero motore di sviluppo.
di
LORENZO BETTONI

[19 mag 08] Mentre i cittadini si accingevano a trascorrere all’aperto l’ultima assolata giornata del lungo ponte del primo maggio, il Sole 24 Ore, spuntato già da qualche ora nelle edicole, addensava nubi minacciose sul futuro della Città Eterna. “Il nuovo sindaco, Gianni Alemanno, eredita dalle amministrazioni che lo hanno preceduto un debito di sette miliardi di euro”. Un miliardo per ogni colle. La cifra era già nota dalla campagna elettorale. Aprendo con un servizio sullo stato delle finanze capitoline, il quotidiano economico l’ha in qualche modo evidenziata, rimarcando, inoltre, un ulteriore aggravio di due miliardi di euro in mutui che il Comune di Roma ha contratto con la Cassa depositi e prestiti, ma “non contabilizzati nel bilancio comunale perché garantiti dai trasferimenti della Regione al Comune”. La Capitale sconta, tradizionalmente, qualche difficoltà nel finanziare i propri investimenti. Negli ultimi anni, tuttavia, il ricorso al debito è aumentato in modo sensibile, tanto da mettere in allarme sia Standards & Poor’s sia Fitch. “Il debito - scrive il Sole 24 Ore - è schizzato all'insù tra il 1999 ed il 2005, passandoo da 5,7 a 6,9 miliardi di euro. Poi - sottolinea ancora il quotidiano - nel 2006 è sceso a quota 6,56 miliardi per tornare a lievitare nel 2007, annata per la quale il debito è stimato dalle agenzie di rating attorno ai 6,86 miliardi di euro”. Il problema non è stabilire l’an et quantum debeatur. Una radiografia dei conti della ragioneria capitolina basterebbe certamente a dirimere i dubbi a riguardo. Non è escluso che la nuova giunta di centrodestra, prima di mettersi al lavoro, propenda per un check-up, più o meno formale, sui conti dell’amministrazione comunale.

I nodi da sciogliere sono altri: il primo riguarda la modalità con cui impostare gli investimenti dei prossimi anni. Una parte è già programmata dalla precedente amministrazione: il piano, anche questo lasciato in eredità, prevede almeno 3,5 miliardi di euro per il triennio 2008-2010. Impegni per ora su carta, ma che hanno già generato effetti finanziari negativi. Il piano di investimenti, infatti, ha messo in allarme le agenzie di rating - dalle quali dipende il giudizio sull’affidabilità del debito capitolino - tanto da spingerle a rivedere, in negativo, le prospettive dei rispettivi giudizi. Pesano l’indebitamento elevato, e in crescita, oltre all’incertezza sulle modalità di finanziamento del programma triennale, per attuare il quale si ipotizzano operazioni di natura patrimoniale o, appunto, il ricorso al debito. Questione spinosa, poiché in una prospettiva di medio periodo, cioè andando anche oltre questo triennio, graveranno sulle casse capitoline altri oneri: quelli per offrire i servizi e realizzare le opere di urbanizzazione resi necessari dall’espansione dell’ area urbana. Difficile la quantificazione. Il dato certo è che in questi anni, a fronte di una città con popolazione sostanzialmente stabile, immigrati a parte, si è costruito ai ritmi degli anni Sessanta e Settanta, quando il “mattone selvaggio” trainava l’asfittica economia della capitale. L’espansione in corso ha sfumato e continuerà a dilatare i contorni della città, inglobando una periferia sempre più lontana. Un dato su tutti: i residenti nei comuni confinanti con il territorio della capitale, circa 309mila al censimento del 1971, sfiorano ormai i 635mila abitanti.

L’altro nodo, dai connotati decisamente più gordiani, si intreccia in una prospettiva di medio-lungo periodo e lega insieme identità urbana, struttura della città e sviluppo economico. La città è una entità autopoietica liberamente generata dall’interazione delle scelte individuali. L’identità è evidentemente quella di un ambiente fortemente antropizzato, l’opposto della natura e delle campagne; ma anche quella di un composito insieme di asset, privati e pubblici, dedicati al consumo collettivo e individuale. Un luogo fisico, confuso ma coerente nei suoi effetti, per la produzione materiale ed il consumo della ricchezza. L’evoluzione strutturale di questa entità è un fenomeno importante. Perché una città può migliorare le sue “prestazioni” non solo aumentando di scala, ma anche mutando la propria struttura. I mutamenti di scala, peraltro, implicano nella maggior parte dei casi anche un mutamento di struttura. Nel processo di riqualificazione e infrastrutturazione della capitale si celano però alcuni caveat. Roma non è come Genova, Milano, Torino: non ha vissuto la transizione dal fordismo al post-fordismo; è una città amministrativa ad inequivocabile vocazione turistica; esercita un importante ruolo attrattivo in termini di attività creative e, soprattutto, di consumatori/visitatori.

Il fascino della Città Eterna concorre al successo urbano, ma la città è essenzialmente una macchina che si organizza o, meglio, si struttura per produrre eventi. A ben vedere, opera come una piattaforma multimediale e, in quanto tale, è assimilabile ad una organizzazione multisided: rappresenta una evoluzione, ed una dilatazione al tempo stesso, delle industrie caratterizzate da esternalità di rete e feedback positivo. Su un versante della piattaforma, Roma è bacino naturale di attrazione per un pubblico vasto ed eterogeneo. Musei e beni archeologici, luoghi tradizionali di cultura e università, teatri e auditorium, opere costruite ex novo e nuovi luoghi di produzione culturale, si combinano ai luoghi di consumo e del divertimento. Questa è la cartolina da esibire. Ma non da vendere. La cartolina crea audience, questo sì, da mettere a profitto, però sull’altro versante della piattaforma multisided. Catalizzando investimenti ed attività che sfrutteranno quell’audience coniugando i termini divertimento e intrattenimento con un insieme di attività ad essi complementari racchiusi in molteplici sistemi di consumo. Dallo shopping al mangiare, dalle attività educative alla cultura. Generando valore.

E’ in questo modo che la città si espande, ed espande le dimensioni del sistema economico che su essa si fonda: grazie alle esternalità positive – i vantaggi di localizzazione che si traducono in benefici non monetari ma economicamente significativi – che essa può offrire a chi produce e scambia ricchezza. L’aggregazione progressiva genera ulteriori esternalità nel consumo e crea un complesso di effetti moltiplicativi che finisce per addensare, nei luoghi urbani, anche la produzione di informazione e di conoscenza. Roma può essere uno dei nodi – densi di esternalità positive, opzioni di espansione da cogliere e consumatori – delle reti a maglia larga che l’Unione Europea vuole creare con il ciclo di Programmazione che si concluderà nel 2013. Dalla qualità urbana scaturirà il valore delle transazioni e delle relazioni che quelle reti potranno sviluppare, alimentando la crescita ed il benessere, in una dinamica virtuosa in cui il valore economico delle singole parti della città non è determinato dall’azione singola, ma dall’azione collettiva; dal fatto cioè che si verificano sinergie e esternalità incrociate con tutte le decisioni (localizzative, di investimento, di gestione) che avvengono o sono avvenute nell’intorno fisico del luogo in cui la decisione individuale si è realizzata.

La pianificazione strategica non è avulsa da questa dinamica. Perché per dipingere la cartolina è necessaria sia una costante “rigenerazione” del luogo fisico sia un progressivo adeguamento infrastrutturale. Ma serve anche che le comunità locali, e le istituzioni elettive da esse direttamente controllabili, siano sempre più motivate ad agire per sviluppare al proprio interno beni relazionali, come la fiducia o la disponibilità alla cooperazione reciproca, ed a promuovere strumenti di aggregazione, capaci di favorire la confluenza degli interessi da parte degli attori economici - sia pubblici che privati - su traguardi di interesse collettivo. La struttura contrattuale fra questa rete di attori, e in particolare fra attori pubblici e attori privati, è assai più complessa di un montaggio finanziario tradizionale. La finanza strutturata è lo strumento che il mondo anglosassone utilizza da anni per operare questo montaggio, utile sia per i soggetti che intendano sponsorizzare progetti di intervento capaci di rimuovere vincoli e strozzature infrastrutturali che rallentano lo sviluppo economico e civile, sia per i soggetti che, attraverso l’estrusione di attività consolidate nel proprio portafoglio, offrano al mercato uno o più asset “reali” in cambio di una iniezione di risorse liquide. Sono, questi, processi affidati prevalentemente all’azione dei privati (consumatori, imprenditori e banche) per governare i quali servono comportamenti nuovi. Sfida tanto avvincente quanto ardua. In palio c’è l’evoluzione di una grande città, qual è Roma.


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