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NO CAV DAY, BOOMERANG DI PIAZZA
La manifestazione ha offerto l’immagine di una piazza divisa e qualunquista, che ha spaccato i girotondini. Un monito per chi pensa di poterla cavalcare.
di ENRICO GAGLIARDI

[09 lug 08]
Piazza Navona, ore 18, inizia lo spettacolo. Protagonisti in scena tutti i principali esponenti di quella corrente che ad oggi fa riferimento ad Antonio Di Pietro. Non mancava nessuno: Marco Travaglio, Sabina Guzzanti, Paolo Flores D’Arcais ed ovviamente Beppe Grillo in collegamento audio. La costante di tutta la manifestazione è stata la valanga di insulti nei confronti di chiunque, nessuno escluso: dal basso intanto la folla acclamava i suoi beniamini. In buona sostanza oggi, sembrava di aver varcato la porta del tempo, sembrava di aver fatto un passo indietro di quasi quattro lustri ed essere ripiombati in quegli anni terribili, quelli di Mani Pulite. Medesimi i soggetti attivi: un Antonio Di Pietro che, a differenza del 1992 però, ha compiuto un salto di qualità e dopo aver rivestito il ruolo di pubblico ministero, ha assunto quello paradossalmente ben più influente di politico ed, in tutta evidenza, di principale oppositore mediatico del cavaliere. Anche la folla, elemento fondamentale nella Milano dei primi anni Novanta, oggi sembrava la stessa: una massa indistinta, letteralmente inferocita contro una classe dirigente alla quale attribuisce ruberie e nefandezze di ogni sorta, classe dirigente (ed è questo che forse maggiormente meraviglia) a cui appartiene lo stesso leader dell’Italia dei valori, considerato invece la faccia pulita di una politica sempre più lontana dalle persone.

In un Paese normale, Antonio Di Pietro sarebbe moralmente costretto a scegliere da quale parte stare, non gli sarebbe consentito in altri termini di oscillare pericolosamente tra i gesti plateali, tra il cavalcare lo sdegno della folla e le stanze del Parlamento. In un Paese normale, insomma, non potrebbe organizzare una manifestazione nella quale si offendono le massime cariche dello Stato, in primo luogo il Presidente della Repubblica, in cui si sciorinano pesantissime allusioni degne del peggior cameratismo da bar (neanche tanto velate per la verità) nei confronti di un ministro della Repubblica (criticabile senza dubbio ma pur sempre ministro), in cui è lo stesso Di Pietro a parlare di P2 riferendosi all’attuale governo in carica, salvo poi rimettersi la cravatta e il vestito buono e sedersi negli scranni del Parlamento. Nonostante in seguito abbia provato a dissociarsi da certe parole, organizzando e di fatto presenziando, il leader dell’Idv è responsabile politicamente tanto quanto chi ha usato certi toni da insulto. Il magistrato però preferisce di gran lunga restare in bilico accattivando la piazza ma occupando comunque quelle poltrone di Montecitorio tanto vilipese, avvantaggiandosi di tutti i privilegi che lui stesso dice di contrastare con impeto moralistico.

Grande assente Walter Veltroni, contro il quale gli “ospiti” della manifestazione non sono certo andati leggeri: quello di oggi non era comunque luogo adatto per la politica “istituzionale”. In ogni caso pur non rappresentando la totalità della popolazione, dalla manifestazione di oggi i politici dovrebbero trarre un insegnamento ed un monito: qualora quella gente presente oggi a Piazza Navona, dovesse diventare massa critica, ci sarebbe da preoccuparsi, proprio perché la piazza nelle variabili di cui è piena, rappresenta un pericoloso boomerang difficilmente controllabile e troppo imprevedibile per essere direzionato, da chiunque. L’unico dato positivo è che il “processo di piazza” e la rivoluzione a colpi di avvisi di garanzia non esercitano più quell’appeal degli anni precedenti e la controprova è rappresentata dai sondaggi che vedono la popolarità dei magistrati ai minimi storici. Se la gente ha smesso di affidarsi completamente all’operato di una magistratura in funzione di organismo moralizzatore è proprio perché a essa stessa non riconosce più questo ruolo probabilmente a causa di un fenomeno corruttivo a di malcostume che continua ad imperversare in politica: quella che in un determinato periodo doveva essere un’operazione di pulizia insomma, si è dimostrata piuttosto una singolare azione selettiva di smantellamento di una determinata e determinabile classe dirigente. Salvo imprevisti, dunque, allo stato attuale il rischio di una nuova pioggia di monetine sul politico di turno dovrebbe essere evitato anche se il pericolo è sempre dietro l’angolo: in fin dei conti l’hotel Raphael è lì vicino, a un tiro di schioppo.


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