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[09 lug 08]
L'affanno del G8 sul mercato globale

Si sprecano i commenti sulla incapacità del G8 di trovare strategie di politica economica adeguate alla dimensione delle difficoltà che si incontrano sui mercati globali, finanziari e reali. Questa mancata identificazione delle terapie anticrisi non ha un carattere meramente soggettivo – non dipende dal quoziente di intelligenza o dalla capacità dei componenti i governi in carica – ma la sua principale determinante è un fattore oggettivo. Il mercato globale, che non è certamente autoregolato, mette oggettivamente in secondo piano la forza dei governi nazionali, singolarmente considerati. Circostanza che era attenuata quando, nel 1975 e di fronte alle prime grandi crisi petrolifere, i cinque grandi della terra cercavano di trovare un set di politiche per fronteggiare gli squilibri generati dagli aumenti di prezzo delle materie prime. Allora, diversamente da oggi, c’era una sola moneta davvero internazionale, il dollaro americano. I principali beneficiari degli avanzi monetari – l’altra faccia dei deficit e del prelievo subito dai grandi Paesi industriali – erano le famiglie arabe, che avevano il possesso delle riserve petrolifere. Quegli avanzi venivano depositati su banche europee, e venivano considerati una variante ulteriore degli eurodollari – base monetaria internazionale creata al di fuori della relazione tra la Federal Reserve e le banche americane – che li riversavano nel finanziamento della crescita dell’economia reale. Guido Carli li considerava petrodollari ed avanzò esplicitamente l’ipotesi che quei fondi fossero utilizzati per creare occasioni di sviluppo nel Terzo mondo. Accelerando la crescita dei Paesi deboli e contemporaneamente alimentando una domanda in espansione alla quale le economie avanzate avrebbero potuto offrire parte dei propri prodotti e servizi, espandendosi esse stesse.

Un progetto che, keynesianamente parlando, era capace di espandere l’offerta mondiale attraverso un uso intelligente e coordinato delle politiche monetarie sostenendo la nuova domanda effettiva con la nuova massa monetaria generata. Il progetto di Carli non si realizzò compiutamente nei termini in cui era stato annunciato. Ma la successiva implosione dell’Unione Sovietica, la rivoluzione della information and communication technology, la esplosione del far East e dei giganti asiatici (Cina ed India) e l’allargamento dell’Europa ben oltre il perimetro dell’euro, in senso stretto, hanno alimentato la globalizzazione del mercato mondiale ed hanno assicurato crescita delle produzioni e crescita della domanda mondiale. In una distribuzione dei fenomeni che, tuttavia, è ormai asimmetrica ed eccentrica rispetto ai primi 8 grandi Paesi sviluppati. Basta guardare le mappe della dinamica macroeconomica pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale nei suoi rapporti annuali. Una politica economica che faccia convivere l’espansione della domanda e della offerta aggregata alla scala mondiale, nelle attuali condizioni è un esercizio ancora più complesso di quello ipotizzato da Carli. Anche perché – basta pensare ai fondi sovrani riconducibili alla Russia o alla Cina – non rimettono in circolo avanzi monetari che alimentano la domanda effettiva ma si limitano a rilevare gli asset industriali e le infrastrutture delle altre nazioni. Anche in questo modo si ritrova un equilibrio, instabile, nei conti internazionali, ma il suo effetto espansivo è evidentemente minore.

In sedicesimo questa difficile situazione si ritrova anche nella politica domestica del nostro Paese. La globalizzazione restituisce forza al mercato e la toglie ai governi, in ogni caso. In questo caso, ed in Italia, alimentare la domanda effettiva senza dare incentivi all’espansione dell’offerta, non conduce lontano né innesca la crescita. Si rischia solo l’inflazione o la crescita delle importazioni. Per allargare l’offerta servono incentivi reali ed interventi decisi sugli attori, anche istituzionali. Ad esempio la detassazione degli straordinari, che aumenta offerta e reddito dei lavoratori insieme. O radicali trasformazioni della pubblica amministrazione, sul piano organizzativo, che siano capaci di aumentare i servizi resi agli utenti e non solo ridurre la dimensione della spesa pubblica. Aumentando la capacità di competere del sistema grazie ai nuovi servizi che diventano esternalità positive per le imprese. Per tornare alla scala internazionale, è evidente che il G8 non riesce a trovare un disegno adeguato alla scala mondiale: i governi contano meno ed i governi presenti nel G8 non controllano, da soli, tutti gli squilibri internazionali. Servirebbe un coordinamento che non si riduca ai riti ecumenici dove il minimo comune denominatore, accettabile da tutti, è sempre troppo piccolo per avere un impatto significativo sull’economia globale. Nel numero di giugno del Journal of Economic Literature è pubblicata una straordinaria recensione degli effetti ultradecennali di un saggio di Lopez, La Porta e Shleifer sul contributo della Common law allo sviluppo del mercato. Si capisce come la cultura economica abbia capito bene quanto benessere possa generare la crescita del reddito, e quanto essa dipenda da sistemi legali amici della logica dei mercati.

La vera scommessa del prossimo decennio è trovare equilibri sostenibili per il commercio internazionale, la formazione di cambi efficienti tra le diverse valute internazionali, il controllo e la tutela dei beni ambientali e naturali e, comunque, di tutte le risorse non facilmente riproducibili che vengono assorbite o consumate nei processi di crescita. C’è una frontiera della politica economica, e della creazione di nuove istituzioni, che i Governi potrebbero esplorare, rinunciando alla pretesa di sostituirsi ai mercati ma limitandosi a ricercare le forme migliori per migliorare la loro capacità di produrre ricchezza.


Approfondimento

Gli ultimi dati del Fondo Monetario Internazionale
Il sito del Journal of Economic Literature


 

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