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GERMANIA-TURCHIA, DERBY D'EUROPA
Oggi si gioca la semifinale dei campionati europei di calcio. Una partita che va al di là dello sport e chiama in causa problemi di immigrazione e integrazione.
di PIERLUIGI MENNITTI

[25 giu 08]
La parola d’ordine è: buttiamola sul sociale. Così i tedeschi provano a esorcizzare la madre di tutte le sfide, la semifinale che avrebbero voluto evitare, anche a costo di incontrare vecchi volponi come gli italiani, i francesi o gli olandesi se fossero riusciti ad arrivare fino in fondo. Perché non è tanto vero, come invece sostengono i giornali, che Germania-Turchia è l’occasione per ribadire la realtà dell’integrazione. E’ vero semmai il contrario. Come sempre accade quando due popoli vivono gomito a gomito, ma uno è il padrone di casa, l’altro l’ospite. E qui i padroni di casa sono i tedeschi, ricchi, belli e forti e che dunque hanno tutto da perdere. E gli ospiti sono i turchi, poveri, sporchi e pure cattivi, che cercano nel calcio il riscatto di una vita vissuta guardando dal basso. Questo sembrerebbe il sentimento reale della gente. Poi ci sono le eccezioni che, appunto perché tali, sono anche più interessanti e fanno più notizia. A leggere tra le righe, sono proprio le eccezioni che indicano una tendenza in grado domani di modificare i termini di questo confronto quotidiano, soppiantando i luoghi comuni che pur sopravvivranno anche quando la realtà sarà già diversa.

Guadagna dunque un piccolo trafiletto di cronaca nera la notizia che la notte scorsa, nel quartiere melting pot di Kreuzberg, una dozzina di auto che issavano la bandierina turca sono state danneggiate: vetri spaccati e ruote forate. E si prende l’apertura di pagina l’inchiesta che racconta come a Berlino (un tempo nominata la piccola Istanbul) siano ormai gli immigrati a gonfiare il numero degli imprenditori che mettono su un’attività commerciale, e tra questi i turchi si guadagnano il primo posto. Tra piccoli imprenditori, impiegati e liberi professionisti, i ricercatori hanno stimato che 89.889 anatolici se la cavano da soli senza alcun bisogno di assistenza. Economicamente indipendenti. Ed è presumibile che paghino pure le tasse. Dunque cliché rovesciati. I tedeschi a fare i teppisti e spaccare auto nei quartieri e i turchi ad aprir bottega per sollevare l’economia cittadina. Troppo bello per esser vero. E infatti non è vero, o almeno non è tutto vero. Prima che i giornali s’impegnassero nella benemerita campagna per fare di una semifinale di calcio una tappa verso l’integrazione (che è sempre meglio che gridare all’invasione dei barbari, come fanno i quotidiani italiani coi rumeni), l’inverno scorso ha forse segnato il punto più basso del rapporto fra Germania e Turchia. Ne avevamo raccontato alcuni aspetti in un articolo per la rubrica Alexanderplatz, dunque ci avvaliamo dei vantaggi di una rivista online e invece di ripetere quanto già scritto vi rimandiamo al link diretto.

Giovedì scorso, liquidato il Portogallo, i caroselli d’auto tedeschi hanno scorazzato per la Kurfürstendamm fino a notte fonda. Questo carnevale latino s’è ripetuto il giorno dopo, non appena i rigoristi turchi hanno fatto giustizia di una Croazia bella e impossibile, come nella tradizione delle squadre slave del sud. Stesse vie, stessi clacson: una lunga onda rossa s’è spostata da Kreuzberg e Gesundbrunnen, dove l’integrazione non funziona tanto bene e non si piegherà a una festa del calcio, alla Ku’damm, alla conquista della città proibita. La semifinale si gioca a Basilea ma sarà Berlino il teatro del derby, con appendici nelle cento città tedesche che ospitano nutrite comunità turche, a cominciare dal Ruhrgebiet dove una volta spadroneggiavano gli italiani. Chissà che Fatih Akim, il regista di origine turca che sta facendo grande il cinema tedesco, non ne tiri fuori l’ennesima sceneggiatura di successo, lui che ha messo sempre il dito nella piaga di un rapporto mai risolto. Germania-Turchia non è solo una partita di calcio, anche se a ricamarci troppo sopra si corre il rischio di cadere nella retorica contraria, nel sociologismo da quattro soldi (già ci basta il sorpasso della Spagna sull’Italia). Anni fa, all’Olympiastadion, le due nazionali s’incontrarono per un’amichevole e la curva tedesca sventolò a quella avversaria le buste di plastica di Aldi, la catena di supermercati più economica della Germania dove i turchi sono soliti fare la spesa, quando non si servono dagli (eccellenti ma costosi) fruttivendoli compatrioti. Questa volta prevarranno le bandiere, anche se sarà difficile dimenticare che proprio la Germania è fra i Paesi maggiormente contrari all’ingresso di Ankara nell’Unione Europea. O forse sì, per novanta minuti (centoventi?) si potrà dimenticare. In fondo è solo una partita di calcio, dove basta tirare con precisione un calcio di rigore.


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