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LODO SCHIFANI: UNA NORMA DA DEMOCRAZIA MATURA
Magistratura e opposizione hanno reagito scompostamente alla riproposizione di una regola che fino al 1993 faceva parte del nostro ordinamento.
di ENRICO GAGLIARDI

[18 giu 08]
La discussione circa il “lodo Schifani bis”, la norma allo studio del governo che, una volta approvata, consentirebbe la sospensione dei processi contro le principali cariche dello Stato (tra cui presidente del Consiglio, presidente del Senato e della Camera), andrebbe affrontato da parte dell’opposizione in maniera un po’ più ragionevole e un po’ meno politicamente faziosa, vista la delicatezza del tema. L’immunità per i vertici delle istituzioni è un meccanismo fondamentale che non a caso è regolato dalla stragrande maggioranza degli ordinamenti occidentali: tutte le grandi democrazie prevedono, a livello ordinario piuttosto che costituzionale, norme di chiusura in grado di tutelare le figure chiave della struttura statuale. La ratio di tale disposizione è fin troppo evidente: proteggere la sacralità del Parlamento e del potere esecutivo da (possibili) ingerenze della magistratura. Il procedimento legislativo e l’azione di governo, principali momenti attraverso i quali si esplica la vita di una democrazia matura, non possono essere compressi, lesi da azioni giudiziarie indebite.

Perché l’Italia dovrebbe dunque sottrarsi ad un ragionamento del genere, tanto più che una norma analoga (non proprio uguale ma molto simile) era già presente nel nostro ordinamento tramite l’articolo 68 della Costituzione che prescriveva tassativamente l’autorizzazione a procedere per iniziare un’azione penale nei confronti di un parlamentare e per dare esecuzione a sentenze irrevocabili di condanna? Tutto questo meccanismo non è più contemplato esattamente dal 1993 (le date sono molto importanti) quando un Parlamento intimidito in prossimità della più grande e cruenta rivoluzione giudiziaria della storia repubblicana, varò una legge di riforma tesa a modificare un istituto di fatto previsto dai Padri Costituenti. Inutile sottolineare come abbia reagito l’opposizione (Di Pietro in testa) all’annuncio di Berlusconi circa l’introduzione del nuovo lodo Schifani: sono riecheggiate nuovamente le critiche circa presunte “leggi ad personam” idonee a bloccare alcuni processi a carico del Cavaliere. 

Un’analisi che volesse essere il più possibile ragionevole però dovrebbe prescindere da una faziosità politica che con il diritto non deve e non può avere nessuna relazione. L’immunità per le più alte cariche dello Stato è un sacrosanto principio di matrice liberale che non ha nessun rapporto con il caso di specie, nella situazione concreta l’attuale presidente del Consiglio. Difendere una norma del genere equivale a difendere la bontà del principio in questione senza per questo dover necessariamente essere etichettati dai seguaci di Di Pietro e Travaglio come fautori delle leggi ad uso e consumo del potente di turno. Vi è ancora un elemento molto importante da prendere in considerazione: il contenuto della norma prevede non la cessazione dei procedimenti quanto la mera sospensione con conseguente ed immediato congelamento anche dei conseguenti termini di prescrizione.

Allo stato dei fatti piuttosto il vero problema è rappresentato dal passaggio davanti alla Consulta che già una volta ha bocciato la medesima norma etichettandola come incostituzionale per la violazione di alcuni principi fondamentali. Difficile credere ad un repentino cambio di giurisprudenza della Corte soprattutto in un clima politico come quello attuale di cui però il massimo tribunale non dovrebbe teoricamente risentire (nonostante i fatti abbiamo spesso smentito questo dettame); tutto ciò, a meno che ovviamente il disposto della norma non venga riproposto in termini differenti da quelli passati. L’unica speranza è che l’eventuale approvazione di una norma del genere rappresenti un punto di partenza per una più ampia e radicale riforma della giustizia in grado di farsi carico del problema forse più annoso per il nostro Paese: l’eccessiva invasione di campo di certa magistratura nell’agone politico nazionale.


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