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BANDIERA ROSSA TRIONFA ALL'ARISTON
A Sanremo va in onda la festa dell'Unità: dal veltronismo all'antiamericanismo, è tutto un fiorire di retorica di sinistra. Alla faccia della par condicio.
di DOMENICO NASO

[27 feb 08] Nonostante le rassicurazioni di Pippo Baudo e gli sketch allusivi dell’ottimo Chiambretti, questo festival è davvero “di sinistra”. Si badi bene: non parliamo della neosinistra veltroniana, quella in bilico tra liberalismo e statalismo, quella che rinnega l’identità e rincorre il centrodestra. La sinistra di Sanremo è figlia di retaggi antichi, è rossa per davvero. Niente “ma anche”, niente distinguo, tantomeno moderazione e rinnovata presentabilità, a parte una sola eccezione. Alla vigilia del Festival, il quotidiano Il Secolo d’Italia parlava addirittura di dodici canzoni dai testi impegnati e militanti. Forse è un’esagerazione, ma almeno sei brani musicali percorrono inequivocabilmente un fil rouge (nomen omen) politicamente schierato. Quattro “campioni” e due “giovani”, dalle sonorità e dagli stili molto diversi tra loro: dal pop ricercato e “similElisa” di L’Aura alla taranta di Eugenio Bennato, passando per il rap di Frankie Hi Nrg, le sonorità gipsy (alla Gogol Bordello, per intedersi) dei Frank Head, la tristezza aziendale dei Tiromancino e la canzone “d’autore” alla De Gregori di Valerio Sanzotta.

Proprio quest’ultimo ha sicuramente presentato il testo più retorico e stucchevole ed è anche l’unico che possiamo davvero definire veltroniano. Forse pensando al successo della canzone antimafia di Fabrizio Moro nel 2007, Sanzotta mette insieme in Novecento il Sessantotto (e non fu solo un sogno e non ci credemmo poco, mettere il mondo a ferro e fuoco), piazza Fontana (mentre un’altra stagione già suonava la campana, il primo rintocco fu a piazza Fontana), la morte di Enrico Berlinguer e quella tragica di Aldo Moro e Guido Rossa. Ma l’operazione non riesce, non fosse altro perché la minestra che ne viene fuori è troppo disomogenea e risulta indigesta.  Ecco, dunque, la summa dell’evoluzione della sinistra italiana: pacificazione nazionale (forzata e fuori tempo massimo), fusione della tradizione democristiana e quella postcomunista, linguaggi retorici e buonisti, abiura dell’identità del tempo che fu. Non ci stupiremmo se Veltroni usasse la canzone di Sanzotta nel prosieguo della campagna elettorale. In fondo è il suo pensiero politico-culturale messo in musica.

Ma il veltronismo sanremese, dicevamo, finisce qui. Poi è tutto un fiorire di rivoluzione, di diseredati, di vittime della guerra e della globalizzazione, della pace americana e del petrolio. Un immenso spot alla Sinistra Arcobaleno, altro che Pd. Il più onesto, a dire la verità, è Frankie Hi Nrg. Il rapper, almeno, è chiaro fin dal titolo. Rivoluzione. Selezionare solo qualche brano di questo incitamento alla sommossa e all’insurrezione è davvero cosa ardua. Si parte con una critica al cattocomunismo e alle genuflessioni della sinistra nei confronti della Chiesa (noi che qui pure Peppone sa il Vangelo e lo agita, un po’ si esagita, dopo un po’ si sventola), per poi lasciare spazio ai concetti base del grillismo dilagante: mettiamo al bando i vertici politici con tutti i loro complici, amici degli amici, chi ha svuotato i conti: incassano tangenti celandosi le fonti e han cappucci e cornetti sulle fronti. Ovviamente non poteva mancare l’ultimo accenno alla massoneria, in nome di una vecchia e stantìa retorica comunista. E ancora i furbetti del quartierino, le intercettazioni, le vallette nude, i paparazzi, le clientele. E il refrain è l’incitamento vero e proprio all’azione: qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione, sesso, razza o religione: tutti pronti per l’azione. Ma è un invito ben presto deluso dagli eventi (forse dalla nascita del Pd e dalla modernizzazione, vera o presunta, della sinistra?): non si fa la rivoluzione, l’hanno detto in televisione. Chi c’è andato che delusione! Era chiuso anche il portone.

E mentre i pur bravi Frank Head (la guerra giusta o meno è sempre guerra, non cambia niente) e L’Aura (Dai peccati Madre Guerra assolverà chi la venererà oppure quante sono le persone che nel nome del Signore finiranno nella cenere?) si improvvisano pacifisti e malcelano uno spiccato antiamericanismo, e prima che arrivi Eugenio Bennato a far da padre nobile al ribellismo politicamente corretto del palco dell’Ariston, ci pensano i Tiromancino (già ospiti di manifestazioni di Ds e Margherita) a giocare un altro jolly: la precarietà e i licenziamenti selvaggi. Canzone musicalmente debole (e per il gruppo di Zampaglione è sicuramente strano) dal testo ancor più deludente: L’azienda non si tocca, l’azienda è al primo posto, e chi non fa più parte è come fosse morto. Io questo lo so bene e non mi sfiora il rimorso,
mando tutti a casa e mi tengo stretto il posto
. E' un'invettiva contro la figura del dirigente, essere semiumano dalla spiccata crudeltà. Ma dicevamo di Eugenio Bennato: il suo pezzo è ovviamente una taranta (magari provi anche a cambiare genere, ogni tanto) ma, si badi bene, contaminata. I coristi sono quattro: una ragazza salentina, due africane e un giovane arabo. Grande Sud è un inno al Mediterraneo, che potrebbe anche piacere se non fosse intrisa di retorica e luoghi comuni. Il ritmo c’è, il testo è pessimo: c’è una musica in quel sole che negli occhi ancora brucia nell’orgoglio dei braccianti figli della Magna Grecia. Era forse dai tempi della Cgil di Di Vittorio che non si sentiva più la parola “braccianti”. Per non parlare poi dell’abusato accenno all’emigrazione, a chi dorme nelle stazioni, ai “terroni” (nemmeno la Lega usa più questo epiteto!). Ma la colpa di chi sarà? Della globalizzazione, ça va sans dire: e sarà quella canzone […] che ha a che fare coi perdenti della civiltà globale, vincitori della gara a chi è più meridionale.

Alla fine della fiera, dunque, sembra che il Secolo d’Italia avesse ragione. Quantomeno a metà, perché in fondo il veltronismo fa capolino qua e là con tutto il suo bagaglio di retorica buonista. La politica sanremese è rossa (o arcobaleno, fate vobis) e l’inconciliabilità tra ribellismo e kermesse nazionalpopolare “fintochic” è solo apparente: non è forse la sinistra italiana ad aver sempre predicato la rivoluzione salvo poi guardarla comodamente dal salotto buono?



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