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[26 feb 08]

Questa Germania così italiana

Sembra buffa questa Germania così moderna, così efficiente, eppure di questi tempi sempre più spesso costretta a misurarsi con sfide che in Italia abbiamo già affrontato negli anni passati, e qualche volta con successo. A dispetto della sua tradizionale efficienza questo Paese, centrale e decisivo per la crescita dell’Europa, scopre ogni giorno di più di dover fare i conti con un sistema che si fa sempre meno prevedibile e che comporta una certa dose di flessibilità e di improvvisazione. Se il contorno si fa più incerto, è possibile anche non prendere tutto alla lettera e provare a navigare a vista, fra scioperi selvaggi e imprevisti, leggi e regolamenti considerati vessatori, politici e partiti che perdono il ruolo di punto di riferimento sacrale. La società diventa più individualistica, forse un po’ più italiana.

Passando dal sacro al profano, o una volta tanto dal profano al sacro, tiene banco in questi giorni la questione del rispetto della nuova legge anti-fumo, che alcuni Land hanno varato dal primo gennaio di quest’anno. A Berlino, soprattutto, i divieti vengono continuamente aggirati, grazie anche a una certa e sibillina indeterminatezza dei tempi. C’è una sorta di interregno di sei mesi durante i quali i ristoratori possono fare più o meno come gli pare. Tutto resta affidato a una serie di variabili che hanno poco a che fare con la consueta rigidità teutonica e molto con una certa flessibilità mediterranea: tipo l’umore del gestore o l’accordo informale tra i frequentatori. Ci sono i caffè (pochi in verità) che la legge l’hanno presa sul serio. Niente tabacco all’interno e clienti spediti fuori a fumare. Bionda fumante fra le labbra, benedicono il global warming. Armati di coperte, siedono su banchi o sedie all’aperto come fossero in una qualsiasi piazza del sud Europa ma, anche in odio al politically correct, non gli scapperà una lamentela sui dieci gradi sopra lo zero che sembrano ormai la regola di quest’inverno berlinese. Ma poi ci sono i tantissimi bar, le tantissime kneipe, che di questo divieto, finora, si fanno beffe. La legge gli concede, come detto, sei mesi di interregno. Ma da più parti pare quasi che questa ribellione silenziosa sia foriera di una vera battaglia culturale contro il divieto. Una battaglia libertaria, forse, anche a dispetto della salute. Ma è quasi banale ribattere che da noi, in Italia, la legge sul fumo è stata rispettata come forse nessun’altra legge nel nostro paese: problema risolto, con buon senso e tolleranza.

Sul versante del politicamente corretto, un altro pilastro che scricchiola è quello dell’integrazione. Sotto accusa è la Turchia. I suoi cittadini, che in Germania rappresentano la prima comunità straniera per numero di presenze, ma soprattutto i suoi politici di Ankara. Le tensioni si sommano mese dopo mese: la questione del velo sul capo delle donne, la chiusura familiare, la mancata integrazione, lo scarso interesse per l’apprrendimento della lingua. Di colpo, pare che i tedeschi abbiano scoperto i limiti di una politica d’integrazione poggiata sul rispetto delle diverse enclave etniche. Gli stranieri si devono integrare nella vita della Germania e devono innanzitutto imparare la lingua, tuonano i politici di destra e di sinistra, riferendosi in particolar modo agli stranieri extracomunitari. Negli ultimi tempi s’è aggiunta una diffidenza di tipo religioso (antimusulmana), particolarmente sorprendente in un Paese che fa della tolleranza religiosa un suo giusto vanto. Il peggio lo ha fatto comunque Erdogan, che in visita ufficiale, ha approfittato dell’emozione suscitata da quella che allo stato attuale delle indagini appare una disgrazia (nove morti nel rogo di un appartamento abitato da turchi a Ludwisghafen) per imbastire nella sua visita ufficiale di Stato in Germania un comizio retorico e dai toni nazionalisti in occasione dei funerali delle vittime. Una frase in particolare (“Integratevi ma non assimilatevi”) ha suscitato grandi proteste e la piccata replica di Angela Merkel: “Io sono la cancelliera di tutti, anche dei cittadini turchi che vivono e lavorano nel nostro Paese”. Altri politici (specie di area Csu) hanno rimesso in discussione il dossier europeo di Ankara.

Ultimo esempio riguarda lo scandalo dell’evasione fiscale, che dopo aver investito il capo delle poste, rischia di decimare il gotha imprenditoriale del Paese. Si tratta del più grave scandalo finanziario che ha investito la Germania finora e, secondo indiscrezioni giornalistiche, il peggio dovrebbe arrivare fra qualche settimana. Le indagini sono in corso e si svolgono a tappeto. Liechtenstein e Svizzera sono di nuovo al centro delle accuse (con scambi vivaci fra le autorità politiche dei rispettivi paesi) ma, al di là del lavoro oscuro delle banche dei cosiddetti paradisi fiscali, l’evasione di massa dell’élite del Paese sembra mettere in crisi le basi morali del sistema di economia sociale di mercato, i cui correttivi di tipo sociale si fondano esattamente sulla capacità di redistribuzione che garantisce il finanziamento delle politiche pubbliche. Su questo punto, non si può dire che l’Italia abbia trovato una soluzione efficace, ma è certo che la Germania non sospettava di dover affrontare un tale tradimento del contratto sociale da parte di quei settori che dovrebbero essere i più responsabili. Cosa alla quale, invece e purtroppo, in Italia siamo da tempo assuefatti.

 

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