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SILVIO E WALTER, LE DIFFERENZE CI SONO ECCOME
I mezzi di comunicazione hanno fatto credere che i leader di Pd e Pdl siano uguali. Ma, riscuotendosi dal torpore mediatico, le distanze saltano all'occhio.
di PAOLA LIBERACE

[11 apr 08] C’è un aspetto dell’attuale campagna elettorale che è sfuggito agli osservatori: o almeno, a quelli che hanno voluto farselo sfuggire. Si tratta di una retorica strisciante, che ha dominato sin dal principio il confronto in vista delle elezioni di domenica e lunedì; avallato da alcuni esponenti politici non meno che dalla grande stampa e dalla televisione (ben oltre la gabbia fittizia della par condicio). Il refrain, sotterraneamente penetrato nelle opinioni e nelle coscienze degli elettori, recita pressappoco così: i due principali schieramenti in corsa, il Pd e il Pdl, sono equivalenti: dicono le stesse cose, hanno programmi che si assomigliano, tutti e due vogliono ridurre le tasse, sostenere la famiglia, dare nuovo impulso alla crescita.

Persino i loro leader, i cui cognomi fanno pure rima, rivelano insospettati punti di contatto - non foss’altro perché l’uno sembra l’allievo dell’altro, del quale ha assorbito alla perfezione la lezione comunicativa. E ancora: entrambi si dicono nuovi, ma sono nati dall’unione di forze preesistenti, non proprio omogenee; dicono di correre da soli – facendo a gara a chi ci abbia pensato per primo –, ma di fatto hanno imbarcato altre formazioni, fino ad assomigliare da vicino agli assembramenti che dicevano di volersi lasciare alle spalle. E infine: entrambi dicono di voler imprimere una svolta al Paese, ma nessuno dei due ha formulato ricette risolutive per i problemi più gravi e immediati che ci affliggono. Tanto si equivalgono, il Pd e il Pdl, che hanno chiamato gli elettori al “voto utile” - intendendo quello dato all’uno o all’altro - in un riconoscimento tanto reciproco quanto esclusivo delle altre forze; il tutto puntando magari a un accordo postelettorale che, lungi dall’assicurare la governabilità, tradirebbe la volontà degli elettori.

Ma davvero non c’è alcuna differenza tra Berlusconi e Veltroni? Basterebbe riscuotersi leggermente dal torpore mediatico per accorgersi che non è proprio così, e richiamare alla memoria le mille occasioni in cui, nel generale livellamento dell’informazione, la diversità di opinioni, di proposte, di personalità e di metodi è emersa inesorabile; una per tutte: il caso Alitalia, nel quale uno dei due leader si è prudentemente sfilato, mentre l’altro si gettava nella mischia per dire la sua su una delle più grandi aziende italiane, anche a costo di offrire il viso agli schiaffeggiatori. L’impressione derivante dalle performance pubbliche, semmai, è che Veltroni faccia il verso a Berlusconi: tanto riutilizzando i suoi slogan preferiti, quanto trasferendo intere parti del suo programma nel proprio (salvo dimenticare di aver accusato il Pdl di riciclare i propositi degli anni scorsi, che dunque sono inevitabilmente finiti anche tra le pagine del programma del Pd: come il punto sulle privatizzazioni dei beni pubblici). Del resto, più che i programmi -  vista l’abitudine ad accantonarli appena usciti dalle urne - basterebbe ricordare la storia degli ultimi anni (in particolare degli ultimi due) per dissipare ogni dubbio, e per tornare a realizzare che una scelta si può, si deve fare.

Una volta scosso dagli occhi il velo, e ridotta la consonanza tra Berlusconi e Veltroni sorge tuttavia il dubbio che dietro il crescendo di accostamenti e similitudini – fino all’ibrido “Veltrusconi” – si nasconda appunto l’obiettivo di scoraggiare gli elettori, che tra poche ore saranno chiamati al voto, dallo scegliere uno dei due principali contendenti. Il sospetto è che non si tratti neppure, banalmente, di favorire i loro concorrenti (pochi dei quali possono a loro volta presentarsi come inaudite novità), per quanto a costoro possano aver giovato simili argomentazioni. Piuttosto, si tratta di depotenziare il risultato che uscirà dalle urne il prossimo lunedì. Il che, se la situazione è ancora quella che appariva dagli ultimi sondaggi in circolazione, equivale ad attutire e ridimensionare quella che si preannuncia come la vittoria berlusconiana: sia tentando di arginarla, per quanto possibile, prima che si verifichi, sia riducendola a cose fatte a una sorta di incidente di percorso - un percorso che avrebbe potuto in egual misura concludersi con il successo del suo sfidante. Se fosse davvero questo il caso – e a pensar male, si sa, ci si azzecca spesso -, a maggior ragione non si potrebbero più avere tentennamenti, né sulla necessità di recarsi a votare, né tanto meno sulla scelta da effettuare in cabina elettorale; e senza neppure il bisogno di un promemoria, così, giusto per non confondersi.


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