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[09 apr 08]

Un impegno comune per il sud

Al termine della campagna elettorale, sembra utile ricordare ai due maggiori partiti, quelli per i quali si chiede un voto utile per superare la crisi italiana, come entrambi abbiano restituito, alla scala del mercato nazionale della comunicazione, l’ immagine del Mezzogiorno come una sorta di palla al piede del Paese, che determina con le sue richieste assistenziali una crescente pressione fiscale sui redditi degli italiani, ed una sorta di zavorra che impedirebbe al Paese di crescere. La pressione dei gruppi di interesse, socialmente ed economicamente molto più robusta, nelle regioni del centro-nord, ha condizionato troppo gli annunci ed i programmi sia del Partito democratico che del Popolo della libertà. Eppure, se si guarda agli ultimi venti anni - la stagione della Seconda repubblica tanto screditata da generare, su entrambe le grandi sponde del confronto politico in atto, la richiesta di un rinnovamento radicale della politica e dei suoi contenuti - non si possono ignorare tre circostanze fondamentali.

L’Italia affluente, quella con un reddito medio procapite superiore di molto alla media europea, ai livelli del reddito medio di due grandi metropoli come Londra e Parigi, si è progressivamente estesa. L’Italia affluente non si limita più al triangolo industriale del miracolo economico negli anni Sessanta. Ora essa include tutta la pianura padana, sopra e sotto la linea del Po, e molte altre aree dell’Italia centrale. Sull’altro piatto della bilancia rimane invece, al di sotto del Lazio e dell’Abruzzo, un terzo della popolazione italiana che produce solo un quarto del reddito disponibile. Il dualismo tra le due Italie è ancora più marcato. Un’area che presenta un tasso di disoccupazione pari a tre volte quello che si osserva nel centro-nord, che oscilla tra il 5 ed il 6 per cento: una dimensione assolutamente fisiologica. Di conseguenza è il sud ad essere un’area patologica, nella quale la spirale negativa, che collega una bassa produttività di sistema ed una forte pressione demografica, continua a generare un tenore di vita pro capite di poco superiore alla metà di quello del centro-nord.

Quello che preoccupa non è solo questo squilibrio tra demografia, produzione e benessere. Nel nord si è consolidato un triangolo virtuoso che include banche, imprese e capacità di accedere al mercato delle esportazioni. Nel sud l’integrazione delle banche italiane ha generato istituti di credito troppo grandi ed imprese troppo piccole per potere avere un flusso di relazioni reciproche davvero efficaci. Gli impieghi bancari dell’area sono inferiori, anno per anno, rispetto a quello che nei prossimi sette anni - il quarto ciclo delle politiche di coesione - distribuirà in termini di supporto alle famiglie ed alle imprese. Il governo Prodi aveva quantificato questa cifra in 100 miliardi, tra fondi nazionali e fondi europei. Il ciclo dura dal 2007 al 2013: in media sono oltre 14 miliardi di euro da spendere ogni anno. Per le imprese e le famiglie sarà forte la tentazione di catturare i benefici monetari di questo intervento pubblico invece di sviluppare progetti imprenditoriali capaci di intercettare il finanziamento delle banche.

E questo sarà l’ultimo di quattro cicli di politiche, finanziate dai fondi europei, mentre i primi tre cicli non hanno certamente lasciato tracce significative nella formazione di capitale fisso sociale, di infrastrutture e di beni intangibili ma necessari, come un implementazione delle capacità operative del capitale umano o la fiducia nelle istituzioni che proteggono la sicurezza dei beni e delle persone, dalla magistratura alle forze di polizia. Purtroppo, la battaglia contro la povertà, l’arretratezza e la fragilità sociale non rappresenta né un risultato delle politiche liberali né di quelle democratiche o laburiste. La crescita è il risultato di una miscela potente tra coesione sociale e capacità di fare dei singoli individui: un cocktail di responsabilità personali e comportamenti virtuosi dell’intera classe dirigente, non solo di quelli di un ceto politico più o meno diligente. Se davvero i due grandi partiti, che si sono collocati al centro del teatro elettorale, vogliono trovare - nella successiva differenza di ruoli e responsabilità che dividerà la maggioranza ed il governo dalla opposizione parlamentare - la chiave di volta di una rinascita dell’Italia, dovranno fare i conti con l’obiettivo di una chiusura del dualismo tra le due Italie. E considerare questo risultato, se saranno capaci di coglierlo, come un traguardo comune e necessario per tutto il Paese.


 

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