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COALIZIONI: NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE ITALIANO
Se in Italia la politica appare priva di veri elementi di novità, forse è anche colpa di alleanze asfittiche e bloccate. Altrove si cercano vie alternative. E qui?
intervista ad ALESSANDRO CAMPI di BARBARA MENNITTI

[02 apr 08] Mentre in Germania si tentano inedite e variopinte coalizioni di governo (per ora a livello regionale, ma poi chissà), e in Gran Bretagna o in Spagna i grandi partiti riscoprono tematiche e battaglie che finora avevano lasciato appannaggio degli avversari, in Italia sembra divenuto impossibile creare veri elementi di novità in politica. Al di là del rinnovamento dei contenitori, infatti, tanto sulle alleanze quanto sui contenuti questa campagna elettorale non sembra avere portato innovazioni sostanziali. Compresa l’ipotesi di Grosse Koalition fra Pdl e Pd, che più che un accordo di emergenza potrebbe rivelarsi una riedizione del compromesso storico. Ma Alessandro Campi, politologo e direttore della fondazione Fare Futuro, la giudica comunque un’eventualità remota: “Oggi i senatori sono blindati. Chi vincerà, potrà governare anche con numeri risicati”.

In Germania i risultati delle ultime consultazioni elettorali non hanno incoronato un netto vincitore. Le elezioni del 2005 hanno dato vita a un governo di coalizione fra Cdu ed Spd ed oggi, per ora solo a livello regionale, si ventilano ipotesi di coalizioni ancora più ardite. In Assia si parla della Jamaika Koalition: giallo-verde-nero, e cioé liberali, verdi e cristianodemocratici. E’ un esperimento che potrebbe ripetersi ad Amburgo e, secondo qualcuno, anche diventare un modello per il governo centrale. Pensa che in Italia potrebbe mai avvenire un ripensamento delle alleanze partitiche?
Negli ultimi mesi e settimane anche in Italia si è molto parlato della ipotesi di “grande coalizione” (idea già avanzata da Giulio Tremonti all’indomani delle elezioni dell’aprile del 2006,che diedero la vittoria a Prodi con una esigua maggioranza parlamentare). Secondo il gossip giornalistico che accompagna l’attuale campagna elettorale, tra Berlusconi e Veltroni già esisterebbe un accordo tacito sull’ipotesi di un “governissimo”: non solo per fare le riforme, ma per governare il Paese. Ogni smentita a quest’ipotesi, ha l’effetto paradossale di rafforzarla. Tanto è vero che la denuncia del futuro “inciucio” tra Pdl e Pd è divenuto il cavallo di battaglia di tutte le formazioni politiche minori.

Per tornare alla “grande coalizione” la cosa che colpisce è che venga ritenuta possibile, come soluzione politica, prima ancora che si siano create le condizioni politico-parlamentari che la rendono necessaria. Mi spiego. In democrazia, l’accordo per il governo tra le principali forze dovrebbe essere una soluzione eccezionale, non una possibilità reale caldeggiata preventivamente nel corso del confronto elettorale. Un partito non può chiedere il voto lasciando intendere che ha come intenzione quella di allearsi con il suo principale contendente. Si partecipa al voto per vincere da soli e insieme ai propri alleati. La “grande alleanza” viene eventualmente dopo, nel caso in cui ci si debba arrendere all’evidenza dei numeri.

Ed è quello che è successo in Germania...
Infatti. E’ anche quello che sarebbe dovuto accadere in Italia nel 2006. Insomma, la “grande coalizione” non è una formula o soluzione che possa essere perseguita programmaticamente. E’ una necessità che può capitare nel gioco della democrazia, ma deve essere pur sempre vista come una soluzione temporanea ed eccezionale.

Venendo a ciò che sta accadendo in Germania, l’esperimento della Jamaika Koalition mi sembra una cosa diversa dalla Grosse Koalition: non si tratta più dei due partiti maggiori, democristiani e socialdemocratici, che si mettono insieme per necessità, per scongiurare una paralisi parlamentare, per affrontare una crisi economica o una emergenza istituzionale, ma del tentativo perseguito da uno dei grandi partiti di dare vita a forme di alleanze e collaborazioni inedite rispetto al passato. In questo caso specifico, i cristianodemocratici si accorderebbero con i liberali e, in particolare, con i Verdi. La differenza consiste nel tentativo fatto da un grande partito di aprirsi non solo a nuovi rapporti politici, ma anche a temi, obiettivi programmatici, argomenti di lotta politica sino a quel momento trascurati o appannaggio di altre formazioni. E’ il caso appunto di un eventuale accordo con i Verdi, che aprirebbe i cristianodemocratici alle tematiche dell’ambientalismo, ad una maggiore sensibilità per le questioni dello sviluppo sostenibile e della salvaguardia della natura. Sarebbe un modo per allargare i propri orizzonti politico-culturali, facendo proprie battaglie sino a quel momento trascurate. In Gran Bretagna, peraltro, è già accaduto. I conservatori guidati da David Cameron, senza abbandonare i loro tradizionali cavalli di battaglia (meno tasse, riduzione al minimo dell’intervento pubblico in economia, ecc.), hanno inserito nel loro programma la questione ambientale, proponendo ad esempio di accrescere la tassazione nei confronti delle attività economiche inquinanti.

E In Italia?
Quanto all’Italia, non vedo grandi esperimenti all’orizzonte. Il quadro delle alleanze mi sembra piuttosto bloccato, a causa del prevalere in molti casi di vecchie pregiudiziali ideologiche. Per quanto tutti si affannino a dichiararsi “pragmatici” e post-ideologici, in realtà le vecchie logiche di schieramento sono dure a morire. L’ipotesi, ad esempio, di un centrodestra alleato dei Verdi, magari solo a livello locale, mi sembra in questo momento del tutto campata per aria. Anche perché, bisogna dirlo, i Verdi italiani hanno poco a che vedere con i loro omologhi tedeschi.

Eppure se il nostro sistema politico appare bloccato, forse è anche perché la cristallizzazione delle alleanze impedisce di fare nuovi esperimenti. Questa paralisi si riflette anche nei temi. Il centrodestra, per esempio, ha praticamente lasciato la tutela dell’ambiente alla sinistra. In altri Paesi europei la destra sta tentando di correre ai ripari. Ritiene che da noi ci possa essere almeno una trasversalità di temi, se non di alleanze?
Quello che registro in Italia in questo momento è una spaventoso vuoto progettuale. I partiti maggiori hanno avuto il coraggio di rimettersi in discussione dal punto di vista dei contenitori, ma non dei contenuti. Abbiamo oggi nuove formazioni politiche, ma le idee sono quelle vecchie di sempre. Bisogna riconoscere che il Partito democratico ha fatto uno sforzo per apparire “nuovo” anche sul versante progettuale, ma sino a questo momento il segnale maggiore di discontinuità ha riguardato soprattutto l’aspetto esteriore, la forma, le modalità di comunicazione. Il riformismo veltroniano, quanto ai contenuti, è ancora retorica e di facciata. In effetti, c’è poca trasversalità, nel senso che non si ha il coraggio di aprirsi a nuove battaglie politiche. Per quanto riguarda il centrodestra abbiamo detto dell’importanza che avrebbe cominciare a fare proprie anche in Italia – come in Germania, come in Gran Bretagna – le tematiche ambientaliste. Ma lo stesso discorso potrebbe farsi in materia di diritti civili o di immigrazione. Non appena Berlusconi ha ripreso l’idea, già di Fini, del voto amministrativo agli immigrati regolarizzati, la destra peggiore e più umorale si è subito inalberata. Lo stesso accade quando si parla di dare adeguate garanzie alle coppie di fatto: subito si alza nel centrodestra l’accusa di “zapaterismo”. In realtà, credo che i partiti italiani – tutti, ma quelli del centrodestra in particolare – farebbero bene a guardarsi intorno, cercando di capire come è veramente fatta la società italiana, invece di imbarcarsi in crociate in difesa dei valori che lasciano spesso interdetti: non fosse altro per le facce e le biografie di coloro che se ne fanno interpreti.

Torniamo alla eventualità di un governo di Grosse Koaliton fra Pdl e Pd. La ritiene un’ipotesi probabile? E come la valuta?
Visto lo stato della nostra economia e vista la necessità di assumere scelte e decisioni che potrebbero rivelarsi difficili e impopolari, la nascita di una “grande coalizione” potrebbe essere, come molti sostengono, anche all’estero, la soluzione migliore per un’Italia in difficoltà come quella che abbiamo dinnanzi. C’è il rischio però questa formula si traduca non in un’intesa tra le grandi forze politiche per collaborare in vista del bene comune, operando in modo pragmatico su una serie di obiettivi concreti e forzatamente limitati, ma in una sorta di “nuovo consociativismo”. La mia paura, detto diversamente, è che un eventuale accordo tra Pdl e Pd si risolva in una riedizione dell’accordo tra Dc e Pci: un “compromesso storico” senza più il peso vincolante delle ideologie, nel quale a contare sarebbero soltanto lo spirito affaristico e la logica di spartizione del potere.

Ciò detto, penso che non ci sarà nessun “grande accordo”, se non forse sul terreno delle riforme istituzionali, che non possono certo essere realizzate – come è accaduto in passato – a colpi di semplici maggioranze parlamentari. Visto il modo con cui sono stati scelti i senatori, questa volta dovrebbe essere possibile governare anche con pochi seggi di vantaggio. Prodi è andato avanti due anni con una coalizione rissosa e con micropartitini (da Dini a Mastella ) che lo ricattavano continuamente. Oggi i senatori – quelli del Pdl come quelli del Pd – sono blindati, sono stati scelti uno ad uno. Chi vincerà, potrà governare senza troppi problemi anche con numeri risicati.

Come reagirebbe a una tale ipotesi la componente An del Pdl, che in passato si è sempre fermamente opposta a soluzioni di questo tipo (ricordiamo per esempio il veto sull’accordo per un governo Maccanico nel 1996)?
Ufficialmente, An è contraria a qualunque ipotesi di “grande coalizione”. Come lo è, del resto, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, lo stesso Berlusconi. Il problema, ripeto, sono i numeri. L’accordo tra PdL e Pd si farà solo se verrà reso inevitabile dall’esito del voto. Altrimenti, chi vincerà dovrà assumersi l’onere di realizzare il programma con il quale si è presentato dinnanzi agli italiani. Per anni abbiamo predicato le virtù dell’alternanza ed ora che sembra essere divenuta una regola della nostra politica ne abbiamo paura?

Ritiene che l’attuale legge elettorale contribuisca ad aggravare la situazione?
L’attuale legge elettorale va semplicemente cambiata al più presto. Rischia di provocare – lo vedremo, probabilmente, alle prossime elezioni – un grave moto di disaffezione nei confronti della politica e, in particolare, di una classe politica percepita sempre più come una oligarchia di incapaci. Parlamentari che debbono tutto ai vertici dei rispettivi partiti che capacità di intervento politico potranno mai avere? Come può mettersi in moto la politica – sul piano delle idee, delle alleanze – se a tessere la trama del gioco sono in tutto una decina di persone, che hanno diritto di vita o di morte su tutti gli altri?

Alcuni partiti hanno proposto per l’Italia un modello elettorale alla tedesca. Lei pensa che sia quello adatto al nostro Paese?
Non sono un grande appassionato delle discussioni sulla legge elettorale. Diciamo che preferisco un sistema che garantisca, nell’ordine, la governabilità, la rappresentatività e la partecipazione attiva dei cittadini alla scelta dei loro rappresentanti.


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