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Primo maggio: l’imperativo è collaborare
di FRANCESCO PASQUALI

[01 mag 08] Questo Primo maggio deve essere celebrato all’insegna del dialogo. Le recenti elezioni hanno nei fatti seppellito l’ascia del conflitto permanente, espellendo in primo luogo le forze politiche tradizionalmente antagoniste. Il “senza e senza ma” introdotto da Sergio Cofferati può essere finalmente riposto negli archivi sindacali. Il 13 e 14 aprile è stato inaugurato il cammino per una rivoluzione culturale che deve restituire innanzitutto valore al lavoro, unificare mondo della scuola e tessuto produttivo ed eliminare l’eterna contrapposizione tra lavoratore e imprenditore, stimolando una complicità virtuosa, partendo dall’assunto che ogni imprenditore è un lavoratore e che ogni lavoratore è imprenditore di se stesso. Ma questo cammino deve essere sostenuto ed accompagnato da una nuova legislazione del mercato del lavoro, mettendo al centro il riconoscimento e la valorizzazione del merito. I presupposti ci sono e mai come oggi la società, specie tra le nuove generazioni, è avanguardia del cambiamento.

Il mandato fornito a questo governo ha mostrato un elettorato maturo e stanco nello stesso tempo. Maturo a tal punto da mettere da parte i sentimenti politici particolari e comprendere che la semplificazione del quadro politico premia l’efficienza e sintonizza la politica con la realtà del Paese, ma stanco della demagogia che svuota le tasche e i conti correnti dei lavoratori, siano essi autonomi, dipendenti, pensionati o imprenditori. Con il voto la palla ora passa al nuovo governo e alle forze sociali maggiormente rappresentative, prime fra tutte la Confindustria e i sindacati. Da entrambi non sono mancati dei segnali incoraggianti che fanno auspicare un clima di eccezionale collaborazione. Sono molti i nodi da sciogliere dalla riforma della contrattazione alla ridefinizione di un testo unico sulla sicurezza. L’esortazione alla modernizzazione rivolta ai sindacati dalla neo presidente Marcegaglia ha trovato subito la sponda della Cisl, che si conferma così uno dei sindacati più inclini alle riforme. Senza entrare nel merito dell’azione unitaria del sindacato, è lecito aspettarsi dalla Cisl il ruolo di caposquadra nel processo di cambiamento inaugurato da questa legislatura. Insomma, per la Cisl deve valere il detto “Parigi val bene una messa” qualora la Cgil continui a svolgere un ruolo politico da antagonista. Un sindacato come la Cisl in questa fase riveste pesanti responsabilità e le forze politiche dovranno rivisitare alcuni approcci pregiudiziali nei confronti delle confederazioni evidenziando e incoraggiando il pluralismo sindacale. L’unità sindacale può rafforzare i lavoratori solo se muove verso la modernizzazione delle relazioni sociali. Restare ostaggio dei veti della Cgil sarebbe la tomba del sindacato.

Il crollo del tasso di sindacalizzazione è un segnale d’allarme che i leader sindacali devono saper cogliere. Anche la politica muove i primi passi in questa direzione. La convergenza sulla figura del professore Pietro Ichino indica chiaramente che il vento è cambiato ed è necessario iniziare proprio dal tema più avvelenato quale è stato il lavoro negli ultimi sette anni. La demonizzazione della legge Biagi e la retorica del precariato hanno dato vita a focolai sociali che vanno necessariamente sedati, specialmente oggi con la sinistra radicale che per la prima volta è stata lasciata fuori dalle Istituzioni nazionali. Non saranno di certo le minacce e i vecchi slogan del no global Francesco Caruso a impedire il cammino delle riforme, ma di certo la guardia deve restare alta. E in questo quadro i movimenti giovanili possono svolgere un ruolo da protagonista, incalzando il governo nel completamento della legge Biagi (ammortizzatori sociali e Borsa nazionale del lavoro) e stimolando il processo di cambiamento per realizzare finalmente quell’armistizio generazionale partendo proprio dal mercato del lavoro, luogo in cui si consumano e si alimentano ingiustizie di natura anagrafica.


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