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da Ideazione settembre-ottobre 2005
Tris di flessibilità

di ELEONORA BARBIERI

[01 mag 08] Job sharing, job on call, staff leasing. Tre nomi anglofoni per tre diverse forme di flessibilità del lavoro, introdotte dalla legge Biagi che, ormai, compie il secondo anno di vita – è stata infatti approvata nel settembre del 2003. Secondo i dati di Unioncamere, il ricorso ai contratti atipici, lo scorso anno, ha visto coinvolto il 44,5 per cento delle imprese. Ma le tre formule più innovative del provvedimento sono anche quelle che sembrano aver riscosso minore successo. Nel job sharing – o lavoro ripartito – due persone condividono un'identica posizione di lavoro; una modalità che, secondo un'indagine dell'Associazione direttori risorse umane, è la meno amata, tanto che il 94 per cento degli intervistati ha dichiarato che non ha intenzione di applicarla, almeno per quest'anno. Il lavoro a chiamata, invece, verrà utilizzato, sempre secondo le previsioni degli intervistati, nel 12 per cento dei casi. Chi si tiene a disposizione delle aziende riceve un'indennità. Ma la normativa è ancora in divenire. Del resto, lo stesso decreto legislativo 276 indica la natura «sperimentale» della legge: e alcune tipologie di contratto, come appunto il job sharing e il job on call, potrebbero beneficiare degli sviluppi futuri. Lo staff leasing (un'agenzia per il lavoro mette il personale a disposizione di un'impresa, a tempo indeterminato), ad esempio, ha avuto un esordio difficile, ma sta cominciando ad assumere la sua fetta di mercato.

A farla da padrone sono però soprattutto l'interinale, la collaborazione a progetto e il contratto di inserimento. Quest'ultimo, che riguarda il collocamento di soggetti «socialmente deboli», consente alle imprese di avere sconti contributivi fino al 75 per cento: secondo una ricerca di Assolombarda è in cima alle preferenze delle aziende. E, stando all'indagine condotta dall'associazione, l'89 per cento di imprese medio-grandi – quelle con più di 250 dipendenti – è pronto a utilizzare le nuove forme contrattuali offerte dalla riforma. Anche nelle piccole e medie imprese sta crescendo la sintonia fra organizzazione del lavoro e flessibilità: lo rileva uno studio condotto da Confapi e Manpower su un campione di 428 aziende. Il ricorso al lavoro atipico è ancora limitato, ma in salita: la maggior parte delle imprese considerate ha attivato uno (29 per cento) o due (26 per cento) contratti flessibili. Le previsioni sono di una crescita del 16 per cento per quanto riguarda le collaborazioni a progetto, del 22 per cento per il tempo determinato. L'espansione più decisiva sarà però quella dell'interinale: più 52 per cento, secondo l'indagine.

Una tendenza che rispecchia quella più generale: nel 2004 il settore dell'interinale ha infatti registrato una forte crescita, con una media trimestrale – secondo i dati Istat – di 152.000 lavoratori e con un picco stagionale di 200.000, pari a 3,4 milioni di giornate lavorate; un aumento globale che, secondo le associazioni di categoria, è stato del 18 per cento. Dall'altro lato, il numero più significativo è quello dei precari, i collaboratori coordinati continuativi (i famosi Co.co.co) che la riforma ha trasformato in Co.co.pro (i collaboratori a progetto): secondo le stime erano 1,2 milioni i lavoratori interessati dall'operazione. Una ricerca Eurispes (che però si riferisce al primo anno di applicazione della legge) ha sottolineato come il 43,6 per cento dei lavoratori non avesse cambiato contratto; il 30,6 per cento aveva invece modificato contratto e posizione. Di questi ultimi, il 68 per cento era diventato collaboratore a progetto. Nel complesso, sempre secondo l'indagine Eurispes, le formule contrattuali atipiche coinvolgono il 16 per cento degli occupati dipendenti; mentre rispetto al totale dei lavoratori la quota è del 14,9 per cento, pari a circa 3 milioni e 300.000 persone. I dati dell'Istat, relativi al primo trimestre di quest'anno, parlano di 1 milione e 900.000 persone impiegate con un contratto a termine (un dato che non comprende, però, tutte le nuove modalità di contratto), il 10,9 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2004; una cifra che, sul totale dei dipendenti, significa una porzione dell'11,7 per cento, in crescita rispetto al 10,8 per cento dello scorso anno.


 

 


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