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Afghanistan, più flessibilità al contingente italiano
di MATTEO GUALDI

[27 mag 08] Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha confermato ieri al segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, la disponibilità dell’Italia a rivedere alcuni dei caveat che oggi limitano l’impiego delle nostre truppe in Afghanistan. In particolare Frattini si è detto favorevole ad allentare le restrizioni per “uno spostamento temporaneo e caso per caso” delle truppe italiane in Afghanistan riconoscendo che “occorre dare flessibilità all’impiego operativo del contingente”. “Cerchiamo di adeguare la capacità di risposta del governo da 72 a 6 ore per un’eventuale richiesta di spostamento temporaneo delle truppe proveniente dagli alleati”, ha specificato ulteriormente Frattini al termine del colloquio che si è tenuto nella sede dell’Alleanza atlantica, a Bruxelles, sottolineando che naturalmente informerà le camere in merito a questo aspetto. “Parliamo di flessibilità geografica, e di impiego operativo più rapido, non di più uomini”, ha infine precisato il ministro. Così, al suo esordio europeo nella nuova veste di capo della diplomazia italiana, Franco Frattini dimostra di voler dare una svolta al nostro impegno in Afghanistan e decide di rispondere alle richieste degli alleati, che da tempo chiedono di rimuovere quegli impedimenti burocratici che limitano le nostre truppe sul territorio. Il messaggio è chiaro: la guerra in Afghanistan è un punto strategico della lotta contro il terrorismo ed occorre fare il massimo per vincerla.

Dopo l’inizio del dispiegamento di ulteriori 3200 marines americani e la promessa di inviare 800 truppe aggiuntive fatta dal presidente francese Nicholas Sarkozy al vertice Nato di Bucarest ad aprile, l’apertura dell’Italia rappresenta la novità più importante, ed un precedente che potrebbe essere seguito anche da quei Paesi, come Spagna e Germania, che mantengono troppi vincoli all’operatività delle proprie truppe. Questo atteggiamento ha posto fino ad oggi seri problemi di ripartizione dei costi della guerra, ponendo sulle spalle di pochi Paesi il peso di rischi e perdite. Occorre invece che tale peso sia distribuito più equamente sui singoli Paesi della coalizione Isaf (International Security Assistance Force), e questo può avvenire solo se tutti i contingenti applicano regole di ingaggio uniformi. Ed è proprio questo uno dei problemi maggiori di cui ha sofferto in passato, e soffre ancora oggi, la missione Nato, insieme alla mancanza di un coordinamento di alto livello efficace ed efficiente. Entrambi questi limiti, inoltre, risultano accentuati quando ci si trova di fronte a nemici flessibili e sfuggevoli, come sono i terroristi di Al Qaeda ed i talebani, contro i quali, al contrario, servono grandi capacità di coordinamento ed adattamento.

Non basta quindi la capacità di controllare la maggior parte del territorio, è necessario poter colpire i terroristi ovunque si nascondano e, quindi, essere in grado di dispiegare in tempi rapidi le truppe sul terreno. Solo così si può liberare il Paese dall’oppressione dei terroristi e garantire alla popolazione la sicurezza e la libertà che meritano. Inoltre liberare il Paese dalla morsa dei talebani è fondamentale per consentire al governo afgano di prendere il controllo reale del territorio e fornire i servizi essenziali, come l’assistenza medica e la fornitura di medicine ed aiuti umanitari, che gli permettano di guadagnare il consenso ed il rispetto della popolazione. Anche le cose che possono sembrare più semplici, come una razione di riso o di fagioli, di farina o di sale, aiutano a conquistare il sostegno della gente, che è il fattore fondamentale dal quale dipende il successo a lungo termine di ogni missione di peace enforcing. Fino ad oggi le truppe italiane hanno fatto la loro parte nella regione di Herat, nella zone ovest dell’Afghanistan, con risultati riconosciuti da tutti. Da domani potranno farlo, su richiesta degli alleati, anche in altre zone del Paese, laddove ci sarà più bisogno della loro presenza.


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