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Nepal, regno degli ultimi maoisti
di
RODOLFO BASTIANELLI

[20 mag 08] Quella del Nepal è una di quelle aree di crisi in gran parte ignorate dalla stampa. Eppure questo piccolo Paese himalayano, da qualche settimana è salito agli onori della cronaca politica internazionale non tanto per il suo fascino esotico ma per il fatto che molto probabilmente diventerà l’unico Stato del pianeta governato da un partito formato da ex guerriglieri di impronta maoista. La crisi di questo importante Stato–cuscinetto posto tra India e Cina, risale agli inizi degli anni Novanta. Governato da una monarchia insediatasi nel Paese nel diciottesimo secolo, il Nepal a partire dagli anni Sessanta è stato amministrato da un sistema di governo di stampo tradizionale basato sul poter assoluto del re e sui consigli locali in cui i partiti politici non trovavano posto. Tuttavia nel 1990 questo sistema entra in crisi, provocando violente dimostrazioni popolari che portano l’allora sovrano Birendra Bir Bikram a liberare i prigionieri politici e ad introdurre una Costituzione in cui vengono legalizzati i partiti. Il modello di democrazia parlamentare non ci mette però molto ad entrare in crisi. Appena sei anni dopo, durante i quali il Paese per breve tempo diviene l’unica monarchia guidata da un governo di stampo maoista, il Nepal precipita in una sanguinosa guerra civile che per quasi un decennio provocherà decine di migliaia di vittime portando pressoché alla rovina l’economia del Paese.

Guidati da Pushpa Kamal Dahal, meglio noto come compagno Prachanda – il furioso un intellettuale proveniente dalla classe media della casta dei Brahimi, gli uomini del Partito Comunista del Nepal, forti di circa 20mila effettivi, prendono possesso di intere zone arrivando così a controllare circa il 43 per cento del Paese. Inizia così un conflitto tra i più violenti di tutto il continente asiatico che vedrà opposti, in un scontro spesso condotto senza alcun rispetto per i diritti umani, da un lato i reparti dell’esercito e della polizia nepalesi e dall’altro i ribelli maoisti e che lascerà sul terreno oltre 13mila vittime. Sfruttando l’incapacità delle forze governative, i guerriglieri maoisti arriveranno ad essere attivi in 73 delle 75 province del Paese, dove instaureranno un regime di vero e proprio terrore rivoluzionario. Emuli dell’altro movimento maoista dei peruviani di Sendero Luminoso, nelle zone sotto il loro controllo i maobadi estorcono denaro ai contadini, distruggono le infrastrutture e le linee di comunicazione con l’obiettivo di creare un clima di terrore e di insicurezza generale che spinga anche le classi medie a ribellarsi contro il regime ed a rovesciare la monarchia.

Mentre l’economia del Paese va a rotoli, essendosi quasi completamente prosciugate le entrate in valuta pregiata garantite dal turismo, sul piano militare appare evidente come le forze regolari, sostenute dagli Stati Uniti, che hanno inserito i comunisti nepalesi nella lista delle formazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato, non riescano a sconfiggere i ribelli. Dal lato politico invece il nuovo Re Gyanendra Bir Bikram, successo nel 2001 al fratello Birendra assassinato insieme ad altri otto membri della famiglia reale dal fratello in una strage i cui moventi non sono mai stati chiariti, prova alcuni tentativi di mediazione che però falliscono in breve tempo. In questo quadro, il sovrano nel 2005 scioglie il governo ed assume i pieni poteri dichiarando comunque di voler reintrodurre la democrazia entro tre anni, una mossa che scatenerà una serie di proteste popolari che, l’anno successivo, costringeranno Gyanendra a cedere i poteri ad un governo di transizione che raggiungerà un’intesa con i ribelli maoisti, anche se le violenze della guerriglia continueranno ancora. I termini dell’accordo prevedono la consegna delle armi da parte dei ribelli, la stesura di una nuova Costituzione e l’insediamento di un parlamento provvisorio rappresentativo di tutte le forze politiche nepalesi, i cui più importanti provvedimenti saranno quelli di privare il Sovrano di ogni effettivo potere e di decidere l’abolizione della Monarchia con la conseguente trasformazione del Paese in una repubblica federale.

A decidere il destino di questa monarchia vecchia di oltre due secoli sarà però l’assemblea costituente appena eletta dove i maoisti saranno la forza più importante. Ed è qui che lo scenario si complica. Nonostante abbiano deciso di trasformarsi in una forza politica e dichiarato di non voler instaurare un regime monopartitico, diversi osservatori non credono alla svolta democratica del Partito Comunista del Nepal e dello stesso Pushpa Kamal Dahal ed alcune sue affermazioni, quali quella in cui ha dichiarato di non escludere azioni violente se il re non abbandonerà il Paese oppure i commenti rilasciati in un’intervista alla Bbc dove ha affermato di vedere una rinascita del comunismo, hanno rinforzato i dubbi sulla sua affidabilità. Per alcuni analisti, poi, lo stesso Gyanendra, il quale ha ribadito di non aver alcuna intenzione di lasciare il Nepal, potrebbe far leva sul suo carisma religioso e sugli appoggi di cui ancora gode tra le Forze Armate per rimanere al potere. Ed anche l’eventualità di un intervento diretto dell’esercito non sarebbe poi da escludere, non avendo i vertici militari gradito uno dei punti dell’accordo per cui gli ex guerriglieri maoisti sarebbero stati inclusi nelle Forze Armate regolari. Uno scenario questo che in alcuni ambienti politici di Washington e Nuova Delhi non sarebbe forse visto con sfavore, visto lo scetticismo esistente nei confronti della leadership maoista e nelle sue capacità di amministrare la delicata fase di transizione che attende il Nepal nei prossimi mesi.


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