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L'Europa che non vuole l'indipendenza del Kosovo
di RODOLFO BASTIANELLI

[20 giu 08] L’indipendenza del Kosovo è stata finora contestata da una serie di Paesi che hanno motivato la loro scelta per la presenza di spinte secessioniste all’interno dei loro confini oppure in ragione di rapporti d’amicizia e vincoli culturali e religiosi esistenti con la Serbia. La posizione strategica del neonato Stato balcanico fa sì che sia soprattutto l’Unione Europea a preoccuparsi dell’evoluzione futura della vicenda. Nonostante il riconoscimento del Kosovo da parte di alcuni membri autorevoli dell’Ue, altri Paesi di una certa importanza non hanno tardato ad avanzare dubbi, cautele e a volte totale chiusura. Assai diversificate, dunque, si presentano le posizioni dei Paesi dell’Unione Europea, dove, pur se per ragioni diverse, emergono i no di Spagna e Romania. Madrid teme che il Kosovo possa favorire non tanto le aspirazioni indipendentiste della Catalogna ma quelle ben più pericolose delle province Basche, dove il governo locale preme da tempo per un progetto autonomista che, se approvato, costituirebbe il primo passo verso la piena indipendenza della regione. Allo stesso modo Bucarest deve affrontare il nodo della minoranza ungherese all’interno dei suoi confini. Concentrata per la maggior parte in Transilvania e fortemente discriminata negli anni di Ceausescu, la popolazione magiara dispone oggi di un proprio partito, l’Unione democratica degli ungheresi di Romania, ma punta ad ottenere una più ampia autonomia, tanto che alcuni esponenti politici sono arrivati ad auspicare non solo l’istituzione di un’università statale di lingua ungherese ma anche la creazione di una regione autonoma magiara corrispondente ai confini di quella esistita fino al 1968.

Ed anche la Slovacchia, dove almeno il 7 per cento della popolazione è ungherese, non intende riconoscere lo Stato kosovaro proprio per i non facili rapporti spesso avuti con la minoranza magiara. Penalizzati sotto il governo del nazionalista Meciar, gli ungheresi hanno visto migliorare sensibilmente la loro posizione con il governo conservatore del quale era partner il partito della coalizione ungherese, ma dopo la formazione del nuovo esecutivo di centrosinistra formato con l’appoggio della destra nazionalista i rapporti sembrano nuovamente peggiorati e si sono registrate anche tensioni tra Bratislava e Budapest. In un’intervista, lo stesso premier Robert Fico ha poi paragonato l’indipendenza del Kosovo all’accordo di Monaco del 1938 nel quale alla Slovacchia venne sottratta proprio la regione meridionale a maggioranza ungherese, sottolineando inoltre come la secessione di Pristina contrasta con le leggi internazionali e che Bratislava non riconoscerà il nuovo Stato anche se i problemi giuridici venissero risolti. Dopo aver seguito per diverso tempo una linea attendista, la Repubblica Ceca a fine maggio ha invece riconosciuto il Kosovo sostenendo che la sua indipendenza contribuisce a rafforzare la stabilità dei Balcani. Sono state quindi superate le divisioni all’interno del governo di centrodestra, dove il premier Mirek Topolanek, esponente del Partito civico – democratico (Ods), fin dall’inizio non aveva negato l’intenzione di procedere al riconoscimento pur sottolineando come questo era comunque subordinato al rispetto dei diritti delle minoranze da parte di Pristina. Il minore degli altri due partiti della coalizione, i Cristiano democratici (Kdu – Csl), però, aveva dichiarato la sua contrarietà all’indipendenza kosovara, ritenendo che questa avrebbe aggiunto un ulteriore elemento d’instabilità nella regione e favorito le spinte separatiste dei baschi, degli ungheresi in Romania e Slovacchia e dei curdi in Iraq, sottolineando poi come il riconoscimento avrebbe violato le frontiere stabilite dopo il secondo conflitto mondiale e posto a rischio le buone relazioni con la Serbia.

Dubbi ha sollevato pure il Portogallo, dove il presidente Cavaco Silva, preoccupato della sicurezza del contingente portoghese presente nella regione, ha sottolineato l’anormalità dell’indipendenza del Kosovo sotto il profilo giuridico, una posizione condivisa anche dal premier Jose Socrates per il quale Lisbona procederà al riconoscimento dopo aver attentamente ascoltato il parere del capo dello Stato e di tutti gli esponenti politici. Un caso particolare nell’Unione Europea è quello di Cipro dove, anche se il governo ha motivato il suo no affermando che l’indipendenza del Kosovo rappresenta un fattore di tensione nei rapporti internazionali, la decisione di Nicosia è stata presa soprattutto per non creare un precedente al quale si sarebbe potuta appoggiare la Repubblica Turca di Cipro del Nord, l’entità statale autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara. Ed in una recente intervista, il presidente cipriota Dimitris Christofias ha ribadito la sua assoluta contrarietà al riconoscimento di Pristina, riaffermando come l’indipendenza kosovara violi le risoluzioni delle Nazioni Unite e l’integrità territoriale della Serbia. Più sfumata appare la posizione della Grecia, la quale sostiene la necessità di raggiungere un’intesa consensuale tra le parti tenendo presente il particolare ruolo della Serbia per gli equilibri e la stabilità regionale. Non va poi dimenticato come i rapporti tra Atene e Tirana solo di recente abbiano registrato un sensibile miglioramento, avendo invece conosciuto prima momenti di tensione, dovuti sia alla richiesta di risarcimento avanzata dai discendenti della popolazione albanofona residente in Grecia fino al secondo conflitto mondiale e poi espulsa dalle autorità elleniche per le accuse di collaborazionismo con gli occupanti nazisti, che alle accuse di discriminazione contro la minoranza greca presente in Albania rivolte in passato dal governo greco a quello albanese. Nell’area balcanica, appare propensa al no la Bosnia–Erzegovina, il cui parere negativo deriva dalla particolare struttura istituzionale creata dagli accordi di pace siglati al termine del conflitto. Una delle due entità statali componenti il Paese, la Republika Srpska, ha dichiarato che potrebbe indire un referendum per l’indipendenza e per una sua eventuale unione con la Serbia se la comunità internazionale dovesse riconoscere l’indipendenza kosovara, un gesto definito illegale dal presidente di turno, il musulmano Haris Silajdzic, il quale nello stesso tempo si è però detto contrario al riconoscimento del Kosovo proprio per la forte opposizione della popolazione serbo–bosniaca.

Sembra invece orientata a prendere tempo la Macedonia, non solo nel timore che la consistente minoranza albanese concentrata nelle regioni occidentali confinanti con il Kosovo possa avanzare analoghe domande autonomiste ma anche per le divisioni esistenti al suo interno. Se il presidente macedone Crvenkovski ha dichiarato che la decisione verrà presa tenendo conto degli interessi nazionali e seguendo le indicazioni dell’Unione Europea e della Nato, il governo di Skopje su questo tema è entrato in crisi, in quanto il Partito democratico degli albanesi, partner della coalizione di centrodestra insieme ai nazionalisti della Vmro/Dpmne, è uscito dall’esecutivo non essendovi stata una risposta positiva alla sua richiesta di riconoscimento del Kosovo. Pur se con ragioni diverse, anche il Montenegro ha assunto una linea prudente. Il presidente montenegrino Milo Djukanovic ha dichiarato di capire le emozioni che in Serbia suscita il problema kosovaro, affermando poi come Podgorica nel decidere se riconoscere il nuovo Stato terrà prima di tutto in considerazione i suoi interessi nazionali e si consulterà con i Paesi dell’Unione Europea. Va infine ricordata la posizione della Santa Sede che, pur non procedendo al riconoscimento, si è comunque espressa invitando entrambe le parti alla moderazione auspicando inoltre il rispetto dei diritti delle minoranze e la tutela del patrimonio artistico e religioso cristiano presente nella regione.


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