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Germania, ultimi scampoli di Grosse Koalition
di
PIERLUIGI MENNITTI

[18 giu 08] Secondo molti commentatori l’anno politico che si aprirà dopo la pausa estiva sarà per la Germania il peggiore della Grosse Koalition. Il meglio è già stato dato e l’approssimarsi del confronto elettorale nazionale – previsto per l’autunno del 2009 – non potrà che accentuare le differenze fra i due grandi partiti che si sono caricati l’onere di gestire una fase di transizione. Ma transizione sino a quando? E’ un paradosso che la Germania stia vivendo la sua migliore stagione economica da molti decenni proprio nel momento in cui la politica si è fatta nebulosa. L’industria tira, l’export va a gonfie vele, i disoccupati diminuiscono stabilmente da quattro anni, lo stato sociale tiene e i cittadini sembrano pure fiduciosi. Ma quando vanno a votare nelle varie occasioni locali puniscono i due partiti al governo e premiano i concorrenti all’opposizione. E creando le condizioni per l’instabilità (come accade ormai da mesi in Assia) o per inedite alleanze (come ad Amburgo e probabilmente a Kiel) che fanno immaginare diversi equilibri politici futuri. E’ accaduto di nuovo, un paio di settimane fa, nel voto amministrativo di Kiel, capoluogo del Land più settentrionale della Germania, lo Schleswig-Holstein, al confine con la Danimarca. Qui hanno perso molti punti i cristiano-democratici e anche i socialdemocratici, che tuttavia sono riusciti a mantenere il primo posto. Hanno invece guadagnato voti i Verdi e soprattutto la Linke, il partito della sinistra radicale guidato da Oskar Lafontaine che ha rimescolato i tradizionali punti di riferimento della Berliner Republik.

Sul rapporto con la Linke si sta macerando innanzitutto l’Spd, ad un tempo concorrente e possibile alleata. Poi l’intero mondo politico tedesco. Il partito di Lafontaine è nato dalla fusione fra la componente massimalista fuoriuscita proprio dall’Spd, in polemica con la sua linea riformista, e i post-comunisti del Pds, eredi diretti della Sed che governò con pugno di ferro nei quarant’anni di regime comunista della Ddr. Molti opinionisti – ma anche molti esponenti di spicco della socialdemocrazia – ritengono che questa componente non abbia ancora compiuto una vera transizione dal comunismo. Lo dimostrerebbero le ripetute dichiarazioni di esponenti di spicco del partito di nostalgia verso gli anni in cui la metà orientale della Germania era rinchiusa dietro il filo spinato e il muro di Berlino. Altri opinionisti – ma soprattutto altri leader dell’Spd – ritengono invece che con la Linke bisognerebbe aprire un tavolo di trattativa, alla luce del sole, per giungere ad un accordo di programma stabile e duraturo di sinistra per il futuro della Germania. Questa è soprattutto la linea del sindaco di Berlino, Klaus Wowereit, che governa da due legislature la città assieme alla Linke. L’alleanza pericolosa è stata giustificata con l’idea di riunire anche politicamente le due città, l’ovest e l’est, dal momento che la sua forza propulsiva la Linke ce l’ha ancora ad oriente. Wowereit l’ha difesa e preservata anche dopo le ultime elezioni, che avevano punito la sinistra radicale in favore di quella più pragmatica rappresentata dai Verdi. E’ il suo marchio di fabbrica con il quale tenterà la scalata alla cancelleria, non nel 2009, forse la prossima.

Per ora il governo va perché è costretto ad andare. Ma è più probabile che si fermi, imballato da una collaborazione destinata con il trascorrere dei mesi a trasformarsi in competizione. L’alleanza Cdu e Spd resta innaturale, dettata dall’emergenza. E’ per questo che i due partiti non possono programmare in anticipo ancora quattro anni di Grosse Koalition. E già si è aperto lo scontro sull’elezione del presidente della Repubblica, dopo il naufragio del tentativo di compromesso per la rielezione dell’attuale Horst Koehler. Al candidato conservatore, i socialisti contrapporranno Gesine Schwan. Cdu e Spd saranno alternative, anche se non si sa bene con quali partiti intenderanno governare se otterranno la maggioranza relativa. Angela Merkel sembrava imbattibile, fino a qualche mese fa. Poi un sondaggio ha dimostrato che se l’Spd, partito in caduta libera, candidasse l’attuale ministro degli Esteri Franz Steinmeier, avrebbe qualche chance di prevalere. Ma Steinmeier è un esponente dell’ala riformista, erede della linea politica di Schroeder che la leadership di Kurt Beck ha messo in soffitta, sperando di riassorbire con un po’ di populismo l’emorragia verso la Linke. E anche a destra la novità anseatica dell’alleanza con i Verdi non è ancora capace di produrre equilibri alternativi a livello federale. La Germania si sta segmentando, sia dal punto di vista sociale che degli interessi. La modernità portata dalla globalizzazione la sta penetrando modificandone alcuni dati di fondo. Proprio quella globalizzazione che il Paese ha dimostrato di saper affrontare, ritrovando slancio produttivo e forza internazionale, economica e politica. E tuttavia le smagliature appaiono sempre più larghe, come dimostrano gli scandali dei suoi manager e delle sue aziende: l’ultimo ha coinvolto di nuovo il colosso Telekom per questioni di spionaggio illecito. E’ una fase di transizione che la Germania gestisce ancorata ai suoi fondamentali storici (forza produttiva, sforzo di coesione sociale) ma che sta mettendo a dura prova la stabilità complessiva del suo edificio istituzionale e politico.


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