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Non è un Paese per italiani
di MICHELA GUALTIERI

[17 giu 08]
Luigi Guarnieri
I sentieri del cielo

Rizzoli
pagg. 327, € 19,00

La quarta di copertina ci promette “un epico western calabrese”. E la promessa è mantenuta. Questo avvincente romanzo, in concorso per il Premio Letterario Città di Bari, ricostruisce infatti un tassello della storia italiana tanto spesso dimenticato, la lotta contro il brigantaggio negli anni successivi all’unità, seguendo le mosse dello squadrone di cavalleria guidato dal maggiore Albertis che dà la caccia ad Evangelista Boccadoro e alla sua banda sulle montagne della Sila. E’ una marcia di progressivo avvicinamento verso un centro ignoto, scandita da attese e scontri, agguati che riducono la squadra del maggiore ad un misero manipolo di fedeli collaboratori, in una lotta senza regole e senza quartiere, fino alla battaglia finale nel sinistro borgo abbandonato di Acherenthia. Ma è anche l’occasione per i primi contatti tra due realtà tra loro lontanissime: i soldati, venuti tutti dal nord, istruiti ed educati agli ideali risorgimentali, scoprono una terra selvaggia e arretrata, dove le più strane leggende sembrano avverarsi, una natura impietosa, una popolazione chiusa nella ripetizione di incomprensibili usanze e superstizioni, (ricostruite dall’autore con un gusto filologico a volte fin troppo esibito). Due mondi che con immensa fatica devono imparare a comunicare.

Con grande rigore storico, la situazione disperata del sud è analizzata nelle sue cause remote (il malgoverno borbonico) e recenti (la miopia di certe scelte politiche del governo sabaudo), ma senza che l’autore cada in alcuna tentazione apologetica o populistica: i secoli di cattiva gestione del potere hanno reso i rapporti tra servi e padroni un groviglio di soprusi e di rancori che ora deflagrano in questa guerra “sgangherata, sporca, inutile”, in cui nessuno è innocente e il bene non sta in realtà da nessuna parte. Seguire le tracce di Boccadoro, questo ribelle descritto anche con certi tratti dell’eroe romantico, significa per il maggiore Albertis ripercorrere la scia di sangue e orrore che la sua banda si lascia alle spalle, ma significa anche seminare altra distruzione, fare vittime tra la popolazione complice dei banditi, fare la parte dell’esercito invasore che vuole piegare la resistenza locale con la forza delle armi pur di “trasformare quella landa desolata in un pezzo d’Italia”.

E forse la figura del maggiore è proprio la più potente che l’autore sia riuscito a creare: carismatico, enigmatico, non un banale paladino della giustizia, ma uno sceriffo cinico e disilluso, consapevole ma anche moralmente indifferente nei confronti del male che è costretto a commettere per la causa che gli è stata affidata. Insomma, fare gli italiani è stata un’operazione molto più cruenta di quanto ci piaccia ricordare, e anche molto più lunga, se ancora settant’anni dopo Carlo Levi, giustamente citato in epigrafe, non trovò la situazione molto cambiata e se, ancora attualmente, il Mezzogiorno fatica a colmare il divario con il resto del Paese, spesso sentendo tuttora che lo Stato è “più lontano del cielo”.


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