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La Vojvodina guarda all’Europa, Belgrado no
di LUCA MARTINELLI

[03 giu 08] Il rebus serbo continua, arricchendosi di giorno in giorno di nuove contraddizioni. Se in Serbia si va verso un governo euroscettico, la provincia autonoma di Vojvodina ha scelto Bruxelles. L’alleanza di centrosinistra Uniti per la Vojvodina (Zev, una versione locale della coalizione Uniti per la Serbia del presidente Tadić) ha conquistato 64 dei 120 seggi del Parlamento locale, 28 in più rispetto a 4 anni fa. Il Partito radicale (Srs, ultranazionalista) si conferma seconda forza come nella vicina Serbia, ma subisce un drastico ridimensionamento (da 36 a 24 seggi). In calo anche le altre formazioni: perfino la Coalizione ungherese (Mk), data per dominante nei distretti a maggioranza magiara, perde due seggi (da 11 a 9). In Vojvodina, vige un sistema elettorale che ricorda quello tedesco: metà dei 120 seggi viene assegnata con il sistema proporzionale (collegio unico e sbarramento al 5 per cento); l’altra metà viene invece assegnata con il maggioritario (viene eletto al primo turno chi conquista il 50 per cento + 1 dei voti, altrimenti si va al ballottaggio dopo due settimane). E’ proprio al secondo turno che la coalizione di Tadić conquista ben 20 dei 28 seggi in più rispetto a quattro anni fa, sull’onda del sorpasso del primo turno sul Partito radicale. Una grande novità, se si pensa che gli elettori del centrosinistra hanno spesso disertato in passato i ballottaggi, favorendo i più “organizzati” radicali. I quali comunque confermano la loro presa sui serbi fuggiti da Bosnia e Croazia dopo la guerra del 1991-1995.

Pesa tantissimo sul voto la campagna elettorale: il Kosovo non ha scaldato gli animi voivodi, che chiedevano un’accelerazione riguardo l’entrata nell’UE, voluta tanto per ragioni storiche, quanto per ragioni economiche. Fanno molto gola infatti i fondi europei per l’agricoltura, in una provincia dove il 43 per cento degli abitanti vive in zone rurali ed il 20 per cento della popolazione si occupa di agricoltura. Sono state così punite le smargiassate dell'ex segretario del Partito radicale (e criminale di guerra detenuto a L’Aia) Vojislav Šešelj, che chiedeva lo status di eroe nazionale per Zvezdan Jovanović, il presunto assassino del primo ministro Zoran Djindjić nel marzo 2003. Allo stesso modo, è stato penalizzato il Partito democratico (Dss, di orientamento conservatore) di Voijslav Koštunica, che ha trattato la Vojvodina in maniera molto marginale nei suoi discorsi e comunque definendola sempre “la provincia del nord della Serbia”. Una definizione che ha insinuato il dubbio di una ulteriore riduzione dell’autonomia della Provincia (già fortemente limitata nel 1989 da Milošević), confermata dalle continue svalutazioni di ipotesi di ampliamento delle prerogative di Novi Sad. Se dunque in Vojvodina è confermata la linea filoeuropea e fortemente critica con il governo centrale (accusato di considerare la provincia alla stregua di una “vacca da mungere”), a Belgrado spirano venti di tutt’altro segno. Il presidente Tadić ha avviato le consultazioni una settimana fa, ma un accordo fra le parti sembra ancora lontano.

Si assiste nel frattempo ad un primo accordo fra l’oltranzista Partito radicale, i conservatori del Partito democratico e i socialisti eredi di Milošević per quanto riguarda la nomina del nuovo sindaco di Belgrado: si tratta del radicale Aleksandar Vucić, segretario dell’Srs. E’ la prima volta che un esponente dell’estrema destra conquista una posizione così importante, con conseguenti malumori degli esponenti più moderati. Il Dss di Koštunica ha già fatto sapere che “occorre chiarire anche tanti altri dettagli affinchè il governo possa funzionare in maniera efficace”. Il che, tradotto dal politichese, significa che le trattative per i ruoli di governo della città sono ancora in corso, se non in alto mare. L’esperimento di coalizione a Belgrado fra euroscettici ed antieuropeisti chiaramente innalza i toni dello scontro politico nazionale, rendendo ancora più difficile la creazione di una coalizione di governo. Ricordiamo infatti che, in seguito alle elezioni di circa tre settimane fa, lo schieramento che si oppone all’Ue è in vantaggio in termini di seggi e che, al suo interno, riveste fondamentale importanza il Partito socialista, detentore di 20 seggi. Il vantaggio resta tuttavia solo numerico, stanti i veti dei conservatori ad una alleanza con i socialisti. Probabilmente, la soluzione del rebus sta proprio negli equilibri che si troveranno a Belgrado. Equilibri comunque labili, che rischiano di saltare da un momento all’altro e di far precipitare per la terza volta in tre anni la Serbia ad elezioni politiche.


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