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Europa targata Usa alla notte degli Oscar
di
Domenico Naso

[26 feb 08] L’ottantesima cerimonia di consegna degli Oscar non ha tradito le attese. Ci si aspettava il trionfo di Ethan e Joel Coen e del loro No country for old men, e così è stato. Il film dei geniali fratelli del Minnesota ha conquistato ben quattro statuette: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista (lo spagnolo Javier Bardem). Tutte categorie importantissime, dunque, per un film che sdogana definitivamente anche nella Hollywood commerciale il talento dei Coen. Nonostante tanti capolavori girati negli ultimi vent’anni, i Coen in effetti si erano dovuti accontentare di un premio Oscar nel 1996 per la sceneggiatura di Fargo. Ma gli Oscar di quest’anno sembrano strizzare l’occhio a un cinematografia più colta e ricercata rispetto al passato. Ne è prova evidente l’en plein degli attori europei: oltre al già citato spagnolo Bardem (che in verità lo avrebbe meritato anche per Mar Adentro del 2004 e invece non fu nemmeno nominato), portano a casa l’ambita statuetta anche gli inglesi Tilda Swinton (attrice non protagonista in Michael Clayton) e Daniel Day-Lewis (meraviglioso protagonista de Il Petroliere) e la francese Mario Cotillard (l’Edith Piaf de La Vie en Rose). Il Vecchio Continente si fa largo a Hollwood, dunque? Senza dubbio l’affermazione del cinema europeo è stata notevole ma gli effimeri innamoramenti degli americani nei confronti del nostro cinema sono un fenomeno ciclico ben noto. E poi c’è da considerare anche un altro aspetto importante della faccenda: a parte la Cotillard, gli altri sono stati premiati per film a stelle e strisce.

E l’Italia? Anche quest’anno ci siamo difesi come potevamo, trionfando in due categorie a noi congeniali. Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo hanno portato a casa l’Oscar per le scenografie dell’ultimo film di Tim Burton, mentre Dario Marianelli (autore delle musiche di Espiazione) ha vinto il derby tutto italiano con Marco Beltrami (Un treno per Yuma). Davvero un peccato la mancata vittoria del corto Il Supplente, sicuramente un’opera importante per rivitalizzare il settore dei cortometraggi italiani. Ma, si sa, per qualcuno che vince e gioisce, molti altri incassano una sconfitta. E’ il caso della sempre brava Cate Blanchett, che aveva ricevuto addirittura due nomination per Elizabeth: the Golden Age e I’m not there. Proprio per la sua interpretazione dell’alter ego di Bob Dylan, l’attrice australiana avrebbe sicuramente meritato la statuetta. Nel film corale di Todd Haynes, un po’ criptico e di difficile comprensione ma che tanto è piaciuto agli intellettuali radical chic, la Blanchett è l’unico raggio di luce. Una prova d’attrice difficile e camaleontica, che la consacra definitivamente come una delle migliori intepreti della storia dell’arte cinematografica.

Poca America, comunque, nell’anno delle presidenziali. E’ strano che Hollywood non abbia voluto dare un messaggio politico proprio quest’anno. Eppure le star californiane si stanno spendendo moltissimo (forse addirittura troppo) nella campagna per le primarie, dividendosi tra Hillary Clinton e Barack Obama. Non si può parlare comunque di una cerimonia apolitica: nella categoria Miglior documentario ha infatti vinto Taxi to the dark side, sugli abusi americani commessi nelle carceri di Guantanamo e Abu Grahib. Annotazione dovuta, poi, per il commosso applauso tributato a Heath Ledger, il giovane e talentuoso attore australiano morto poche settimane fa. Come in ogni notte degli Oscar che si rispetti c’era anche tanto glamour sullo sfavillante red carpet, abiti griffati del valore di migliaia di dollari, persino scarpe tempestate di diamanti. Ma quello, ci si concederà questo piccolo snobismo, non è cinema.



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