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[18 feb 08]

Serve la politica per vincere la crisi

Stretto tra la crisi finanziaria e la recessione, il mercato mondiale si confronta con un ciclo di pronunciata instabilità. I grandi Paesi emergenti continueranno a crescere. Forti della circostanza che li vede ormai creditori netti e non debitori netti verso il resto del mondo. Ma anche indeboliti dagli squilibri interni ai propri mercati che la loro stessa crescita sta determinando. Si pensi al caso clamoroso della Cina che, nelle grandi metropoli, affronta problemi tipici del capitalismo maturo, dall’inquinamento alla congestione, mentre nelle campagne sconta pesanti condizioni di arretratezza. Il Fondo Monetario rivede le sue stime sul 2008 ed individua Stati Uniti ed Europa come epicentri del rallentamento mondiale, stimandone nell’ordine dell’1,5 per cento la crescita attesa. Sono i Paesi industrializzati e la crisi dei mercati finanziari, che rappresentano l’attrito maggiore che rallenta l’economia mondiale. La crescita media del mondo intero, infatti, viene confermata al 4,1 per cento.

Nel 2008 – ma questa è una questione tutta italiana – dovrebbe andare a regime l’impianto delle politiche per la coesione e la competizione, da realizzare nel periodo 2007/2013. Finanziate dalla Unione Europea, queste politiche rappresentano l’ultima occasione per aggredire radicalmente il dualismo italiano tra nord e sud. Una sfida impegnativa, necessaria e difficile. Perché si combatte contro un antico problema ma anche contro i mediocri risultati ottenuti con Agenda 2000, il ciclo appena concluso che ha accompagnato i primi anni del ventunesimo secolo. La stagione elettorale, che segue necessariamente la crisi di governo, genera preoccupanti conseguenze su questi due fronti: il temporale congiunturale che riduce la forza espansiva dell’economia europea, e di quella italiana, ed il rallentamento delle operazioni necessarie per dare risposte adeguate ai problemi strutturali del Mezzogiorno.

Ma questa minaccia immediata è quasi meno grave dei problemi che incontrerà il governo che si formerà dopo la tornata elettorale. Il bilancio dello Stato rimane fragile, per l’eccesso di debito, e rigido nella dimensione delle spese che, di conseguenza, rendono altrettanto rigida la pressione delle imposte e delle tasse. La leva della politica fiscale risulta abbastanza menomata. E’ scarso il peso della libertà economica ed è basso il livello della competizione. Mentre il sistema richiederebbe una riorganizzazione del sistema produttivo, un salto nella capacità produttiva delle risorse umane, un incremento del reddito per i lavoratori. Servirebbe una politica capace di aumentare, in parallelo, sia la dimensione della domanda interna e dei consumi che quella della produttività, per ogni impresa ma anche per l’intero sistema. Serviranno, chiunque assuma la direzione del governo, una scelta decisa verso la responsabilità e la creatività di tutti gli attori sociali e l’abbandono di ogni illusione sulla capacità delle burocrazie pubbliche di governare i processi di cambiamento. Ci aspetta un percorso faticoso e per molti versi inedito e sconosciuto, se vogliamo ritrovare la strada della crescita.

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