Questo sito è ottimizzato
per Internet Explorer.

(c) Ideazione.com 2008
Direttore responsabile: Barbara Mennitti
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Redazione: piazza Sant'Andrea della Valle, 6 - 00186 Roma
Tel: 0668135132 - 066872777 - Fax: 0668135134
Email: redazione@ideazione.com

da Ideazione novembre-dicembre 2000
Progetto libertà
intervista a SILVIO BERLUSCONI di LUCIANO LANNA

[21 apr 08] L’ottimismo della libertà: è un progetto ma è anche la particolare empatia che emerge dall’incontro diretto. Soprattutto nel sorriso, lo stesso che si vede sui manifesti che tappezzano le città italiane: un sorriso che rispetto al 1994 è forse meno ingenuo, ma non per questo meno rassicurante. Anzi. La sua naturale vocazione alla comunicazione non riesce a nascondere la consapevolezza di essere un po’ come l’iceberg del paese reale. Con tutti i suoi meriti: il lavoro, il rischio, la capacità di cogliere al volo le occasioni. E con tutte le sue attese e speranze: quelle di procedere nella modernizzazione e nello sviluppo della nazione, quelle di fare emergere tutte le energie sepolte della società civile, tutta la capacità e la voglia creativa di un “paese speciale”…

Nasce anche da questo lo spontaneo e contagioso ottimismo di Silvio Berlusconi, per molti disarmante. Un ottimismo che fa saltare e mette in crisi gli apparati e le dietrologie della politique politicienne, quella di chi ha deciso – rassegnato – che non ci può essere un’Italia migliore dell’attuale.

È in questo quadro che il berlusconiano “ottimismo della libertà” punta a svolgere, come lui stesso promette in questa intervista, una vera e propria rivoluzione copernicana della politica italiana. Un obiettivo già avviato con il grande merito di avere imposto la centralità del “fattore libertà”. Se prima tutti la evocavano come un valore astratto o la riducevano ad una categoria ideologica, adesso la libertà è percepita come una vera e propria “questione politica”. Quella su cui, in fondo, si gioca la partita per il futuro del paese.

Presidente Berlusconi, oggi in Italia si proclamano liberali non solo quelli che hanno sempre ignorato il liberalismo, ma anche quelli che lo hanno sempre contrastato. L’affermazione del principio di libertà si è in qualche modo generalizzata. C’è però allo stesso tempo anche la sensazione comune che in Italia il “ viver libero” sia in realtà compromesso. Siamo di fronte a due interpretazioni e a due prassi autentiche della libertà e delle libertà?
Occorre fare chiarezza. Noi che liberali lo siamo da sempre e lo resteremo sempre siamo obiettivamente su di un piano diverso da quello sul quale operano gli eredi del comunismo. Per questi, anche per i casi – che non sono tantissimi – di onesto ripensamento, va ribadito che proclamarsi liberali è il risultato del fallimento della loro ideologia. La conversione per molti si esaurisce nella parola, perché nella sostanza si limitano a “rappresentare” presunte libertà condizionate, le libertà di alcune categorie, ma non manifestano alcuna intenzione d’impegnarsi a “liberare” la società dallo statalismo e dalle burocrazie soffocanti. Si pensi all’eccessivo carico fiscale, allo strapotere delle burocrazie, al crescente controllo sulla privacy dei cittadini, al proliferare delle norme che agiscono sulla vita quotidiana. Noi, invece, ci dichiariamo liberali perché abbiamo una visione precisa dei valori della persona, della politica, dell’economia. E sappiamo di dover tenere questa visione sempre presente nella vita personale e nell’impegno politico. Abbiamo scelto la libertà con il cuore e con la ragione.

Qual è allora il problema storico della libertà oggi in Italia? È quello dei diritti delle “minoranze protette” tendenzialmente rappresentate dalle sinistre o quello della riduzione delle libertà sociali, quali la libertà d’impresa, di lavoro, di istruzione?
È sulla libertà che si fonda tutta la nostra visione politica ed il rispetto della libertà costituisce per noi il metro di giudizio ultimo di ogni società. Forse nessuno ha espresso meglio il valore della libertà di quanto fece Tocqueville ricordando che chi ricerca nella libertà qualcos’altro che non sia la libertà stessa è nato per servire. Per noi, perciò, la libertà non è qualcosa di generico o di settoriale, ma è una condizione individuale, di ogni persona e di tutte le persone. Ciò significa che tutti debbono essere liberi di fare l’uso che preferiscono delle risorse e delle conoscenze che legittimamente posseggono. Con un solo vincolo: non ledere i diritti degli altri. In questa interpretazione non c’è spazio per una visione di libertà concessa dall’alto, come di fatto propone la sinistra. La libertà non può essere concepita come una delega, non proviene neppure dallo Stato perché è anteriore ad esso, è un diritto naturale che ci appartiene in quanto esseri umani. Lo Stato deve riconoscerlo e difenderlo per essere considerato legittimo e democratico e non un tiranno arbitrario. Ritengo che lo Stato debba essere al servizio dei cittadini e non viceversa e che il suo servizio si debba naturalmente esprimere nella tutela delle libertà sociali, che riguardano la famiglia, la scuola, l’impresa.

Lei non è un professionista della politica, ma da imprenditore ha sempre in realtà manifestato un impegno politico nella società italiana, come dimostra la sua biografia personale. Qual è stato il filo rosso del percorso seguìto, quale la ragione ideale di questo impegno?
Mi considero – mi passi l’enfasi – un combattente per la libertà. Nel 1948 avevo dodici anni e ricordo che percepii bene che la posta in gioco era alta. Soprattutto mi era chiaro che il 18 aprile l’Italia era chiamata a scegliere l’Occidente e la libertà. Andavo a scuola dai Salesiani e lì avevo conosciuto sacerdoti che raccontavano a noi ragazzi quel che accadeva al di là della “cortina di ferro”. Molti religiosi, infatti, sostavano a Milano provenendo dall’Est e soggiornavano nel nostro collegio prima di ripartire per altre destinazioni. Da loro – sacerdoti russi, polacchi e di altre nazioni dell’Europa orientale – ho ascoltato i racconti di quanto accadeva nei paesi soggetti al totalitarismo comunista. Storie di crimini e di tragedie provocate da una visione politica che ha rappresentato l’antitesi totale della libertà, messe in atto dai sostenitori di una ideologia folle che – una volta raggiunto il potere – scatenava la guerra contro il suo stesso popolo per cambiare l’umanità, per costruire – idea disumana – l’uomo nuovo. Ho ancora molto viva la memoria di un religioso che mi raccontò come, davanti a lui, furono assassinati i suoi genitori. Allo stesso tempo mi rendevo conto di quanto stava accadendo in Italia e feci la mia prima scelta di campo, schierandomi con chi combatteva per la libertà e l’Occidente. In quei giorni con altri ragazzi della scuola e dell’oratorio mi mobilitai per affiggere manifesti che mi affascinavano molto perché comunicavano una straordinaria, bellissima parola: libertà. Subimmo anche delle aggressioni da parte di attivisti comunisti che volevano impedirci di affiggere quei manifesti con la parola magica.

Essa ha poi segnato tutte le tappe della mia biografia: dalla scelta di lavorare nel mondo dell’impresa a quella di mobilitarmi a favore del Giornale, il quotidiano fondato da Montanelli con una pattuglia di giornalisti che avevano lasciato il Corriere della Sera in polemica con il compromesso storico ed il clima di intimidazione ideologica imposto in quegli anni dalla sinistra. Assunsi questa posizione, costituendo comitati di cittadini a sostegno del Giornale, quando avevo quarant’anni e già tre lustri di successi imprenditoriali alle spalle e lo feci spinto solo dalla volontà di garantire una libera voce di dissenso. Entrai dopo nella società editrice e fui determinato a farlo per garantire la vita del quotidiano, che rischiava di chiudere per l’ostracismo decretato dai poteri politici ed economici in auge all’epoca. Con le stesse motivazioni di sostegno alla stampa libera, alla fine degli anni Settanta partecipai alla fondazione del Sabato, il settimanale vicino a Cl. Lì conobbi don Giussani e presi parte con impegno ai seminari che il suo gruppo organizzava sul dissenso nei paesi dell’Est.

Poi sono venute le battaglie per la libertà di comunicazione e di antenna sino all’impegno diretto in politica nel 1994. Posso dichiarare in coscienza che la libertà è stata la ragione permanente della mia vita nel lavoro e nella politica.

Individua un episodio particolare che lo ha determinato all’impegno politico?
C’è una fase che si è chiusa con la svolta politica della mia vita. Era la fine del 1993, l’Italia aveva conosciuto Tangentopoli e aveva visto penalizzata quasi tutta la classe dirigente dei partiti democratici di ispirazione occidentale. Solo più tardi ci si accorse che la macchina giudiziaria colpiva in modo selettivo e che la geografia della corruzione coincideva nei suoi effetti con una geografia politica che risparmiava i partiti post-comunisti, la parte della Dc che era stata sempre alleata con il Pci e tutti quelli che accettavano la protezione dei nuovi padroni di sinistra. Questi avevano fatto approvare una nuova legge elettorale, della quale si erano svolte le prove generali con le elezioni amministrative d’autunno. Venne a trovarmi il professore Urbani che mi illustrò le conclusioni di uno studio dal quale emergeva che la sinistra, raccogliendo il 34 per cento dei voti, aveva conquistato l’80 per cento dei comuni. Urbani mi comunicò che, stante l’inesistenza di un blocco moderato, quel dato si sarebbe ripetuto anche nell’elezione del nuovo Parlamento. La notizia mi mise in allarme e mi fece comprendere che per l’Italia si profilava una prospettiva sostanzialmente comunista, nonostante la corsa di Occhetto a cambiare nome e simbolo al vecchio partito. Per giunta, sarebbe stata una prospettiva continuista nei programmi e nelle persone, perché i comunisti avevano avuto grandi responsabilità anche nella gestione della fase precedente. I cittadini, invece, avevano interpretato Tangentopoli come un’occasione di cambiamento. Promossi una lunga serie di incontri per rimettere insieme quanto era ancora utilizzabile della classe dirigente dei partiti della vecchia area di centro con l’intento di dar corpo ad un’aggregazione moderata da opporre al blocco di sinistra. Né la destra missina né la Lega Nord, che peraltro non comunicavano fra loro, avrebbero potuto arginare il successo dei comunisti che sembrava inarrestabile. Non pensavo di dovermi impegnare direttamente, ma che fosse necessario adoperarmi perché nascesse in Italia il blocco dei moderati, immaginando che ci fosse qualcuno in grado di rappresentarli e di guidarli. I segnali di risposta furono flebili, i personaggi che avrebbero dovuto assurgere al ruolo di protagonisti si mostrarono fragili e prigionieri delle vecchie gabbie ideologiche, condizionati dal passato al quale peraltro guardavano per recriminare sui privilegi perduti. Mi resi conto ch’erano stati spazzati via a causa dell’ossequio alla prassi del compromesso con l’avversario comunista, e ciò li rendeva incapaci di coltivare grandi aspirazioni quale quella di garantire la libertà al loro paese. Come i fatti hanno dimostrato, quello del ’94 fu un appuntamento con la storia che sarebbe stato fatale disertare. Fui costretto, perciò, a “scendere in campo” personalmente perché non ci fu un altro che sembrò adeguato a farlo e dichiarò esplicitamente di volerlo fare. Molti strateghi di piccoli intrighi, nessun cavaliere della libertà per dirla con linguaggio epico. È giusto che lo ricordino tutti: se non ci fossi stato io a sbarrare la strada alla sinistra italiana, che aveva ancora marcate connotazioni comuniste, il nostro paese avrebbe vissuto per chissà quanto tempo una situazione istituzionale caratterizzata da un grave deficit di libertà e di democrazia e oggi sarebbe fuori dall’Europa e da qualsiasi consorzio internazionale.

Lei pone Forza Italia come movimento alternativo a una storia «tutta intrisa di statalismo e di un sistema amministrativo che è stato introdotto dalla Destra storica dopo l’Unità d’Italia e che ancora – sono parole sue – ci ingabbia per via dello statalismo che ha afflitto tutto il Novecento e che si è consolidato con Giolitti, con Mussolini, con la stessa Dc». Partendo da questa consapevolezza, come potrà determinarsi operativamente quella che lei ha definito la “rivoluzione copernicana” della politica italiana?

Affermo che, se vinceremo alle prossime elezioni politiche, realizzeremo una vera e propria rivoluzione dello Stato, facendo in modo che, riducendo il tasso di statalismo, si possa costruire quello che definiamo lo “Stato amico”. Metteremo mano alla vecchia organizzazione costruita sul centralismo e sulla burocrazia per eliminare le inefficienze e favorire un rapporto collaborativo con i cittadini. Sarà appunto una “rivoluzione copernicana” degli apparati dello Stato, dei suoi meccanismi di funzionamento, delle sue politiche fiscali. Rivedremo anche la legislazione, che è farraginosa ed eccessivamente ponderosa, un labirinto di regole in cui i cittadini non riescono ad orientarsi e gli stessi funzionari pubblici non riescono a districarsi. L’Italia limita la libertà di movimento dei suoi cittadini perché è uno dei paesi al mondo con più leggi. Per comprendere l’urgenza di queste riforme dobbiamo renderci conto di quel che è diventata l’amministrazione dello Stato: un pozzo senza fondo che rende molto poco in termini di servizi ai cittadini ed alle imprese, una macchina mangiarisorse che ne inghiotte la metà per alimentare sé stessa. Mentre con Internet sono state abolite le distanze di spazio e di tempo, l’amministrazione pubblica italiana sembra estranea a qualsiasi impulso di modernità.

Quanto ha pesato sul suo orientamento politico generale, in particolare sull’adesione al principio della sussidiarietà ed al modello dell’economia sociale di mercato, la matrice cattolica?
Molto. Non solo ho ricevuto una formazione cattolica ma ho sempre simpatizzato con i cattolici che in Italia non hanno mai avuto dubbi nel tenere ferma la barra sui valori della libertà. Mi sono formato sui testi sacri della libertà e dalla lettura delle opere di Vera Lutz e di Wilhelm Röpke ho tratto la convinzione che il modello dell’economia sociale di mercato sia il più rispondente alle condizioni del nostro paese. Ho sempre avuto consapevolezza che bisogna prima produrre la ricchezza per poterla distribuire ai meno fortunati, a coloro che per varie circostanze non sono stati toccati dalla diffusione del benessere. Confermo che in cima alle nostre attenzioni, al primo punto del nostro programma, c’è la cosiddetta Italia dei poveri, quei sette milioni e mezzo di cittadini che vogliamo far uscire dall’attuale condizione di povertà, quegli oltre tre milioni di bambini ai quali vogliamo assicurare un futuro di dignità e di libertà. Queste sono le idee che caratterizzano anche la nostra presenza nel Ppe dove, a parità con gli spagnoli e dopo la Cdu tedesca, siamo la seconda forza politica. 

Non c’è libertà senza una cultura libera. Come si deve ipotizzare in una prospettiva liberale il rapporto tra politica e cultura, tra istituzioni ed intellettuali?
Credo che ormai l’idea di una cultura organica alla politica sia stata spazzata via del vento della storia. Resta soltanto come alibi alla sinistra per giustificare l’arroccamento nella cittadella dei privilegi, ancora ben salda nell’apparato culturale e mass-mediatico. Ma l’occupazione degli snodi più importanti della cultura sta provocando un blocco insopportabile alla naturale e vivace dialettica delle idee ed alla creatività del nostro paese. In Italia, ad esempio, c’è stata una cultura anticomunista, persino a sinistra, che non ha mai avuto piena cittadinanza storica e politica. Finché una ideologia monoculturale continuerà a controllare le nomine e l’attribuzione di incarichi nelle case editrici, nelle redazioni dei giornali, nelle università e negli istituti culturali, non esisterà in Italia una cultura veramente libera. D’altro canto non penso affatto che la situazione possa normalizzarsi sostituendo gli uomini della sinistra con altri di orientamento diverso. Ricadremmo nel loro errore. Occorre invece sbloccare il meccanismo perverso liberalizzando e adeguando l’industria culturale italiana al modello di un autentico “mercato delle idee”. Dobbiamo fare in modo che le istituzioni aiutino la promozione della cultura e non si riducano, svilendosi, alla pratica della sistemazione degli amici ed al finanziamento degli istituti che si considerano organici alla parte politica che in quel momento prevale. Indico anche l’opportunità di favorire e dare spazio a tutta la cultura irregolare e non allineata, perché se ne gioverebbe il paese nel suo complesso.

Caduti i muri e le ideologie, come si prospetta la battaglia per la libertà nel Ventunesimo secolo?
Stiamo vivendo grandi cambiamenti per i quali è necessario attrezzarsi non solo concettualmente. È ovvio che la stessa categoria della libertà debba essere ripensata in questo orizzonte. Ad una prima rivoluzione tecnologica, che ha segnato il passaggio dall’universo meccanico a quello informatico, è succeduta immediatamente un’altra rivoluzione, quella digitale, che ha già prodotto effetti nella vita di ogni giorno. Attraverso Internet tutti gli uomini e i paesi del mondo si possono collegare liberamente per trasmettersi tutto. Attraverso questo nuovo sistema c’è la possibilità di entrare in un mondo straordinario dal quale si possono attingere tutte le informazioni e scambiare tutte le conoscenze. La libertà stimola queste grandi opportunità, delle quali essa stessa si alimenta. Ricordo che veniva considerata alcuni anni fa una grave menomazione non possedere la patente di guida, perché ciò comportava una limitazione della mobilità. Allora le reti erano quelle autostradali. Oggi, oltre l’autostrada, c’è la rete telematica e per ottenerne l’accesso sono necessarie alcune precise conoscenze: saper parlare l’inglese, utilizzare il computer, navigare su Internet, conoscere i princìpi basilari del mondo del lavoro e dell’impresa. È l’alfabetizzazione del Ventunesimo secolo, quella che definisco delle “tre I”: inglese, informatica, impresa. Consente di ottenere la patente per vivere la libertà postmoderna.


Le riflessioni di un filosofo
sul mondo che cambia.

_____________

Un occhio indiscreto e dissacrante nei Palazzi del potere.
_____________

_____________
IL POST

I migliori post del giorno selezionati dai blog di Ideazione.

_____________
IDEAZIONE DOSSIER
Analisi, approfondimenti
e reportage.

IDEAZIONE VINTAGE
Il meglio dei primi quattordici anni della rivista bimestrale.
_____________
I BLOG DI IDEAZIONE

---

---

---

---



La scelta di Pierferdinando
di Daniele Capezzone



Berlusconi alla prova della Merkel
di Pierluigi Mennitti



Il dopo-voto e
la crisi economica

di Massimo Lo Cicero



La rivoluzione
di Nojoud

di Barbara Mennitti



W, il film anti-Bush di Oliver Stone
di Domenico Naso



Pagliarini, una vita per il federalismo
di Stefano Caliciuri