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da Ideazione settembre-ottobre 1996
E ora al lavoro per un’Italia di liberi e forti
di SILVIO BERLUSCONI

[21 apr 08] Nella vita politica italiana l’estate, per tradizione, .è foriera di interviste evanescenti come bolle di sapone, di politica delle parole e non dei fatti, di politica spettacolo. Di fronte a un simile festival di parole al vento e di castelli di sabbia, resto convinto che la scelta migliore sia stata quella del silenzio e della riflessione. Ma ora che l’attività è ripresa, è tempo di portare un contributo di chiarezza, spazzando il campo da equivoci e da luoghi comuni. Talvolta nel Polo emerge una voglia di aggregazioni nuove, un sentimento irrazionale più che un ragionamento politico lucido, quasi una fuga in avanti per sfuggire le difficoltà ed i passaggi stretti della realtà.

Ma i problemi politici sono ancora lì, come nel 1994, davanti a noi in tutta la loro complessità: rinnovare l’Italia; riscrivere le istituzioni; riscoprire le ragioni dello stare assieme; rilanciare lo sviluppo economico; ricomporre il tessuto morale; risanare le fratture sociali; compiere insomma l’intero viaggio della e nella transizione da un sistema all’altro, dall’Italia dei partiti a quella dei cittadini, dal proporzionale al maggioritario, dal parlamentarismo al presidenzialismo, dallo statalismo al federalismo, dall’economia assistita al libero mercato, dall’assistenzialismo alla solidarietà.

Ecco perché oggi non esiste una necessità di andare oltre “il” Polo o, meglio, “i” Poli. Si tratta, al contrario, di ridefinire e consolidare l’attuale schema bipolare come la sola possibilità che abbiamo a disposizione per condurre in porto il processo riformatore: prevalendo sui rischi di involuzione o di regressione; vincendo le spinte conservatrici; non cedendo alla tentazione di sovrapporre gli interessi di parte (della propria parte) a quelli del Paese; non contribuendo, con la ricerca affannosa di una qualche visibilità, a una pericolosissima parcellizzazione partitocratica della politica italiana. Nonostante la confusione e l’incertezza del presente, è impensabile e impossibile che si possano ricostruire - sia pure sotto altre spoglie - la De e il Pci, partiti-cardine della prima Repubblica. Altra e diversa mi pare la prospettiva delineata dal leader del Pds e della coalizione di governo, Massimo D’Alema, e cioè la costruzione di un’area che prenda a modello i programmi e i partiti del socialismo democratico europeo. Ma soprattutto è chiara e determinata la nostra scelta politica di legare sempre di più, idealmente e concretamente, il Polo per le libertà ai valori e alle proposte delle liberal-democrazie. Viene da chiedersi: ci sarebbe, oggi, tale concreta possibilità di cambiamento e di approdo senza la spinta propulsi­va data dal Polo per le libertà fino dal 1994?

2. Allora, al momento della “discesa in campo si determinò in un lasso di tempo brevissimo (in forma assolutamente medita nella storia politica italiana) un Polo di riferimento per la maggioranza degli elettori italiani: moderati orfani di rappresentanza; cittadini delusi dalla vecchia politica, traditi da partiti corrotti e desiderosi di rinnovamento. Il Polo si coagulò felicemente attorno a una leadership dai connotati e dall’approccio decisamente più imprenditoriali che politici, la quale intrecciò in forme dirette un dialogo con l’elettorato, evitando voluta­mente ogni mediazione che avrebbe tolto a quel messaggio la forza, il fascino, la carica innovatrice. Nel Polo, in virtù di questa carica dirompente, trovò rappresentanza e riferimento la diffusa esigenza di modernizzazione che, fin dagli straordina­ri eventi del 1989, era divenuta imprescindibile e che in Italia aveva avuto le prime manifestazioni -in diversa misura “rivoluzionarie” - nelle cosiddette picconate dell’allora presidente della Repubblica contro i vertici dei partiti sordi al cambiamento, nelle iniziative anti-corruzione della magistratura, nel consenso dei cittadini in occasione dei referendum elettorali.

Forza Italia e il suo leader riuscirono a coagulare, oltre alle componenti del cattolicesimo moderato e del socialismo riformatore, che per prime compresero la svolta bipolare, tre soggetti politici altri­menti incompatibili: la Lega nord, espressione di rinnovamento in senso federalista delle istituzioni; il Movimento Sociale, forza alternativa in termini morali al sistema dei partiti e già alla ricerca di una propria diversa identità; i radicali riformatori di Pannella, protagonisti di tante battaglie civili e anti-partitocratiche.

Questo e altro ancora incarnò il Polo nella straordinaria avventura del 1994, quando venne allo scoperto e si affermò per la prima volta l’Italia dei moderati e dei produttori, che volle farsi protagonista del cambiamento e artefice dell’innovazione. Ma l’alleanza non resse per l’irresponsabile scelta del leader della Lega nord. Quel governo, che pure nei sette mesi di lavoro produsse molti risultati utili per il Paese, ebbe contro anche la mobilitazione sindacale, che individuò nel governo stesso - in una logica di schieramento politico - un nemico da battere e non un interlocutore da riconoscere. E poi: l’opposizione degli apparati burocratici, delle centrali di potere sopravvissute ai vecchi partiti, dei grandi gruppi finanziari con i loro giornali; il ruolo decisivo che ebbe, nei passaggi cruciali, il capo dello Stato; l’azione di certi magistrati, che prese forma di persecuzione politica.

E fu il “ribaltone”: un vasto complotto politico consumato contro la volontà popolare e in dispregio ai nuovi indirizzi istituzionali presenti nel referendum del 18 aprile e nella nuova legge elettorale; un complotto politico che aveva usato la Lega come detonatore e come strumento.

Nacque il “governo dei tecnici”, che obbediva a una raffinata e cinica strategia politica: annacquare il risanamento economico, ricostruire le condizioni del consociativismo, rafforzare il centralismo, devitalizzare e spegnere la spinta rinnovatrice che il Polo aveva saputo impersonare e rappresentare. Insomma, cancellare la grande svolta del 27 marzo.

Eppure...

3. Eppure, è accaduto qualcosa di diverso. Nei mesi del governo “tecnico”, il centro-destra seppe reggere alla prova dell’opposizione e si mantenne unito. Proprio questa forza e questa resistenza convinsero gli avversari a tentare analoghe aggregazioni sul versante opposto. È innegabile che il cosiddetto Ulivo fu concepito e realizzato sulla falsariga del Polo, pur senza avere alla testa un leader che fosse anche candidato alla guida del governo e senza quella coesione politico-programmatica, la cui mancanza rappresenta sempre di più un grave handicap per l’attuale governo. Infatti, il cemento della coesione che teneva assieme l’Ulivo e che ne facilitava il gioco delle desistenze era un elemento nega­tivo: battere, comunque, il Polo.

Nelle elezioni del 21 aprile, quello che restava del Polo (e cioè la coalizione delle forze moderate, senza l’apporto della Lega nord) ha ottenuto comunque più voti della coalizione di centro-sinistra rafforzata dai neo-comunisti di Rifondazione. La vittoria elettora­le è andata agli avversari per una migliore - più spregiudicata e più cinica - applicazione della legge elettorale (quel mattarellum che, prima del voto, tutti volevano cambiare e che invece, di colpo, sembra diventato una straordinaria levatrice di go­vernabilità...).

Ma noi ci prepariamo alla riscossa elettorale. Lo facciamo non per uno scopo di parte, ma perché sentiamo alle nostre spalle una grande domanda di libertà.

In trent’anni si è creata una rete di poteri, pervasiva e diffusiva, che ha inteso dominare il corpo e l’anima del popolo italiano. Ho sentito me prigioniero insieme a tutti gli altri italiani che vogliono vivere, creare, produrre liberamente la loro vita individuale e collettiva. Mi sento ancora più prigioniero oggi, di fronte non alla sinistra, ma alle coalizioni di tutte le burocrazie esistenti in Italia. Mi sento non libero della non libertà che pesa sul giovane senza lavoro, sull’operaio malpagato a causa degli oneri assistenziali, sullo studente privato di una scuola che apra spazi nella vita, sul funzionario che non vuole soggiacere nel pubblico impiego al prepotere dei sindacati, sui cittadini che soffrono della disorganizzazione delle strutture sanitarie, su­gli imprenditori soffocati dalle tasse, dai contributi e dalla inefficienza dei servizi.

Sentiamo in noi il grido dell’Italia che sta sotto il Po e oltre il Po, sotto il Garigliano e oltre il Garigliano, e crediamo che solo un nuovo approccio di libertà sia la via per far crescere l’Italia. Non possiamo pensare di risolvere il problema dell’occupazione con il pubblico impiego e con le opere pubbliche. E questo grido di libertà e di creatività che pervade l’Italia degli italiani, che ci induce a creare un grande movimento di popolo, che si verifica puntualmente con le elezioni, ma che è in grado di esercitare la sua pressione liberante e liberale in tutto lo spazio del tempo.

Forza Italia è un movimento per tutte le stagioni, quando si vince e quando si perde, quando si vota e quando non si vota. Forza Italia è una comunione di liberi e forti: uso le grandi parole con cui don Luigi Sturzo creò una grande forza politica di libertà. Non è un partito, è un movimento creato dalla grande secessione del popolo italiano della prima Repubblica. È la fondazione di una nuova legittimità, di una prospettiva veramente fuori dal tempo delle ideologie, dal Novecento che si con-chiude. È un’utopia la mia? Ma è un’utopia che ha trovato, lottando contro tutti i potenti del vecchio regime, il cuore di milioni di italiani. Il grande mutamento culturale e civile, che è iniziato con il crollo del muro di Berlino, non è finito: esso cammina ancora in tutta l’Europa, in tutto l’Occidente.

4. Gli schieramenti in campo e le singole forze di fronte una serie di sfide ineludibili. Forza Italia è al lavoro da tempo per affrontare al meglio questa nuova stagione, prevedibilmente di medio periodo, per valorizzare il patrimonio culturale di riferimento, per realizzare la propria strategia politica, per dotarsi di una organizzazione adeguata al consenso elettorale ottenuto. Il congresso nazionale in programma il 27 marzo 1997 sarà il suggello di questo processo. Forza Italia (prima e unica for­mazione politica apparsa sulla scena senza passato, padri fondatori o responsabilità di sorta nella prima Repubblica) rivendica la sua ap­partenenza storica alla grande speranza suscitata nel mondo - nell’Occidente libero e nell’Est liberato -dal crollo del muro di Berlino e dalla fine dell’esperienza totalitaria del comunismo sovietico. Forza Italia è la forma politica assunta in Italia dal riemergere prepotente della tradizione liberaldemocratica che, per decenni, era stata offuscata da ideologie totalizzanti ed emarginata da una partitocrazia culturalmente soffocante. Ho ricordato - in altra occasione -come Forza Italia rappresenti i valori della “società aperta” di Popper contro l’asfissiante burocrazia di Breznev; il primato della persona contro la statolatria incarnata, nel corso del nostro secolo, ora dallo Stato etico, ora dal partito-Stato; la vittoria del libero mercato contro ogni forma di collettivismo e di dirigismo; lo Stato-servizio contro la schiavitù del cittadino asservito.

Nel nostro patrimonio ideale rivivono gli apporti di grandi pensatori italiani dimenticati o traditi: il federalismo di Gioberti, Rosmini, Cattaneo, Balbo e Salvemini; il liberalismo economico di Einaudi e quello idealistico di Croce; l’europeismo atlantico di De Gasperi e l’anti-statalismo di Sturzo. Forza Italia rappresenta e vuole sempre più essere la casa di tutti i liberali: movimento di centro, moderato e riformatore, capace di accogliere, attualizzare e far rivivere le grandi tradizioni liberali, cattolico-liberali e laiche riformatrici.

Questo ricco e solido impianto culturale si accompagna a un rinnovato impegno politico per il cambiamento. Siamo consapevoli della posta in gioco: sul terreno delle riforme istituzionali, la politica italiana nel suo complesso rischia la sua credibilità e la sua capacità di portare positivamente a termine una lunga transizione. Anche a sinistra - penso a D’Alema - si manifesta una consapevolezza analoga. Ma, a differenza di una coalizione di governo prigioniera delle proprie insanabili contraddizioni, noi non ci illudiamo di poter affidare tutte intere queste speranze alla Commissione bicamerale, che prenderà forma nei prossimi mesi.

I limiti di tale strumento sono evidentissimi e i precedenti non inducono all’ottimismo. La nostra disponibilità a riversare proposte e progetti di riforma nella Commissione non potrà significare, in alcun modo, la svendita, sull’altare del compromesso, dei punti-cardine del nostro disegno riformatore, né l’adeguamento al prevedibile tran-tran di un organismo privo di reale potere, perché non legittimato direttamente dal voto popolare, come sarebbe stata (e come potrebbe essere tra qualche tempo) eletta per la riforma della seconda parte della Costituzione.

Ancora, sul terreno del risanamento economico, deve dispiegarsi la nostra iniziativa politica per far sì che lo sviluppo e l’occupazione diventino la nuova frontiera della solidarietà. Ancora, sul piano della concezione dello Stato, bisogna dare concretezza al primato del cittadino, dei suoi valori e dei suoi diritti rispetto alle istituzioni: questo vale per l’amministrazione della giustizia, per l’organizzazione della scuola, per la cultura, l’informazione, la ricerca.

Questi sono gli obiettivi concreti della nostra azione politica, tutti profondamente legati con l’esigenza prioritaria di rispettare gli accordi di Maastricht e di collaborare per costruire un unione europea fortemente integrata verso Est e verso la sponda meridionale del Mediterraneo.

Accanto al profilo culturale e alla strategia politica, Forza Italia procederà all’organizzazione del proprio movimento. Non sarà un altro partito in mezzo a tanti altri partiti, ma cercherà di essere -anche in questo campo - una forza all’avanguardia. In virtù della sua carica di novità, Forza Italia sceglierà per sé una forma-partito affatto diversa da quella “leninista”, sostanzialmente adottata da tutti i grandi partiti di massa, non solo comunisti; e tuttora vigente all’interno di formazioni politiche figlie di quelle organizzazioni.

Il nostro sarà il primo grande partito post-ideologico, le cui scelte saranno nelle mani degli elettori e degli eletti, piuttosto che in quelle di burocrati, funzionari o professionisti della politica. Non è un mistero che guardiamo con interesse al modello di partito americano, come libera organizzazione di cittadini, uniti da interessi e da speranze comuni. Vorrei che Forza Italia - dopo essere stata l’architrave del bipolarismo italiano - riuscisse a rappresentare visibilmente un ideale partito del domani, quando anche nel nostro Paese, come in altre grandi democrazie occidentali, si realizzerà il passaggio decisivo dal bipolarismo al bipartitismo. Si tratta di superare definitivamente la frammentazione partitica, velocizzando il processo di semplificazione dei partiti e delle sigle, collocando la politica italiana “oltre” la logica delle singole appartenenze. Sarà una nuova svolta epocale, da raggiungere senza scorciatoie, ma come sbocco naturale di una democrazia finalmente compiuta. Poniamo a noi stessi questo nuovo, ulteriore obiettivo, con lo stesso entusiasmo e l’identica determinazione che ci hanno mosso finora. Non soltanto per le battaglie elettorali, cui intensamente ci prepariamo, ma per una diversa Italia in cui le generazioni che oggi sorgono abbiano la sicurezza di un futuro libero e creativo.


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