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da Ideazione luglio-agosto 2003
Restituire fiducia all'Europa

di SILVIO BERLUSCONI

[21 apr 08] Quando tredici anni fa l’Italia assunse la presidenza di turno della Comunità europea, il continente era appena uscito dall’euforia per il crollo dei sistemi comunisti dell’Est e si confrontava con i problemi legati alla difficile transizione politica ed economica di quelle nazioni verso la democrazia e l’economia di mercato. Sull’altra sponda dell’Adriatico l’implosione della Jugoslavia lasciava il campo alla drammatica guerra civile che avrebbe insanguinato ancora per anni terre europee. L’Europa in qualche modo reagì, con un progetto a medio termine che avrebbe rilanciato la sfida per un continente forte, capace di stringere al proprio interno legami sempre più intensi e di indicare la via alle nuove nazioni emerse dalla lunga glaciazione del comunismo. L’Unione europea è subentrata a quella che era una Comunità; è nato l’euro, la moneta unica che suggella l’interdipendenza economica dei dodici paesi che vi aderiscono; l’Unione si sta allargando a venticinque membri e si estenderà a ventisette fra quattro anni. Anche la sfida dei Balcani è stata in qualche modo vinta, con l’aiuto decisivo degli Stati Uniti e della Nato: e ormai, di fronte alle nostre coste adriatiche, vi sono Paesi che rifioriscono e che guardano all’Europa come ad un approdo non troppo lontano.

Oggi che la guida dell’Unione è affidata di nuovo all’Italia la situazione è apparentemente non troppo dissimile. La guerra all’Iraq ha segnato uno dei momenti più difficili per l’Europa, ritrovatasi divisa su strategie, tempi e modi dell’azione americana. Solo un accorto lavoro diplomatico e la buona volontà dei paesi membri hanno evitato che queste divergenze, si allargassero: ma i compromessi trovati debbono portare a soluzioni durature.

Sul versante istituzionale giunge ormai al termine il lavoro di stesura della bozza di Costituzione europea elaborata dalla Convenzione. Sul piano economico, tutta l’Unione soffre le conseguenze di un lungo periodo di bassa crescita che rende necessario mettere mano ad alcune riforme strutturali e rivedere certi criteri che hanno guidato sinora le strategie dei Paesi membri. E infine occorre pensare all’Europa del futuro. I dieci nuovi membri sono impegnati negli ultimi passaggi prima del loro ingresso nell’Unione a venticinque, ma i referendum confermativi che si stanno tenendo nei vari Stati testimoniano un’adesione al progetto europeo meno acritica rispetto agli anni precedenti: un segnale che sarebbe sbagliato non raccogliere e interpretare.

Un progetto di pace, democrazia e sviluppo
L’Europa di oggi si comporta come se avesse smarrito la consapevolezza del suo successo. Allorchè dovrebbe incassare i dividendi delle sue scelte vincenti, per investirli in nuove sfide e in nuove avventure, pare ripiegarsi su se stessa. Come se si fosse affievolito quel soffio vitale che ha permesso all’Europa di avviare, dopo la tragedia di due guerre mondiali, un affascinante progetto di pace, di democrazia e di sviluppo. L’Europa è finalmente un grande continente unito dall’Atlantico ai Carpazi, un continente che si è dotato di una moneta unica che funziona, che sta per varare una Carta Costituzionale che simboleggia un’unione sempre più forte, eppure mostra qualche segno di incertezza. Al di là dei singoli programmi sui quali la presidenza italiana si impegnerà, vorrei che il segno distintivo dei nostri mesi di governo fosse proprio questo: ridare totale fiducia all’Europa, rilanciare con forza il progetto europeo, riportare al centro della scena internazionale un continente che ha saputo rinnovarsi ed ampliarsi. Ma per prima cosa dobbiamo convincere noi stessi di avere le carte in regola: l’Europa è un global-player che può e deve dare il proprio fondamentale contributo agli equilibri mondiali. Senza il suo apporto il mondo sarebbe meno sicuro, meno giusto, meno libero.

Al di là delle contingenze che la nostra presidenza si troverà ad affrontare, vorrei qui evidenziare alcune linee guida che terremo presenti nei nostri mesi di governo dell’Europa, finalizzate a superare l’impasse del momento e a restituire smalto e vigore all’azione comunitaria.

Il primo punto riguarda l’azione europea sulla scena internazionale. Se la presidenza greca ha dovuto gestire i mesi difficili della divisione di fronte alla guerra in Iraq, l’Italia dovrà gestire la fase di riavvicinamento con l’alleato americano nell’impegno comune contro il terrorismo: un riavvicinamento sul quale hanno particolarmente insistito proprio quei Paesi che sull’opzione bellica non erano d’accordo e che l’Italia può guidare, forte della posizione equilibrata e chiara mantenuta in tutta la vicenda irachena. Le novità del dopoguerra ci portano a misurare le ambizioni di collaborazione proprio sul terreno operativo. Innanzitutto in Medio Oriente: la road map per la soluzione del conflitto israeliano-palestinese ci vede in prima linea come Unione Europea nel “Quartetto” degli sponsor, assieme a Stati Uniti, Federazione Russa e Nazioni Unite. La road map è anche un nostro progetto e al suo successo dovremo fornire tutto il contributo possibile. Il percorso che attende i leaders israeliano e palestinese sarà arduo e richiederà un immenso coraggio per superare i contraccolpi sanguinosi di chi lavora nell’ombra contro la soluzione di pace. Ma i primi passi compiuti sono più che incoraggianti e l’Europa ha tutto da guadagnare dalla pacificazione e dalla stabilizzazione del Medio Oriente.

Gli aspetti economici della road map sono un’altra priorità del nostro semestre di presidenza. L’Italia aveva già proposto di affiancare all’itinerario politico quello che è stato definito un nuovo Piano Marshall per la Palestina. Credo che l’Europa debba impegnarsi per realizzare e rafforzare l’apertura degli scambi commerciali e rilanciare le economie della zona che soffrono, tutte, delle restrizioni dovute ai conflitti bellici ed agli attentati terroristici. Il piano, che dovremo mettere a punto nei dettagli operativi e corroborare con ingenti investimenti di tipo finanziario, può rappresentare uno specifico contributo europeo alla road map, per riportare la nostra azione politica al centro dei problemi internazionali, per rinsaldare la collaborazione con gli Stati Uniti, per aprire prospettive di scambi con i Paesi arabi e per fornire un aiuto concreto a Israele e al nuovo Stato di Palestina, sostituendo alla prospettiva di un eterno conflitto quella di un comune sviluppo nella libertà e nel benessere.

Un secondo obiettivo riguarda la costruzione di una Europa più unita: il sogno comune degli europei. è stato un lavoro solenne, impegnativo, non privo di confronti a volte anche aspri.

L’obiettivo irrinunciabile: rilanciare l’economia europea
Un lavoro necessario, perché la posta in palio è enorme: dotare l’Unione europea delle strutture adeguate per governare un continente di venticinque Paesi, che si allargherà presto a ventisette e che non dovrà aver remore ad accogliere altri Paesi europei che busseranno alle sue porte. Toccherà ora alla Conferenza intergovernativa (Cig) che inaugureremo a Roma, nello scenario di Villa Borghese, produrre il risultato finale. L’obiettivo che ci viene proposto dal Consiglio Europeo è quello di concludere i lavori della Conferenza Intergovernativa entro dicembre, data che potrà essere rispettata se i lavori della Conferenza si concentreranno su pochi nodi essenziali: quelli non dipanati dalla Convenzione. Questo obiettivo non è dettato dal mero interesse italiano di concludere  i lavori nel semestre di competenza, ma dalla responsabilità di assicurare ai cittadini europei, che voteranno per il rinnovo del Parlamento europeo nel giugno 2004, la conoscenza preventiva dei contenuti della loro nuova carta istituzionale. Coinvolgere gli elettori, avvicinarli alle scelte che costruiranno la grande Europa del domani, è un fattore indispensabile per ridurre quel deficit di democrazia che viene evocato da alcuni. Ad ogni buon conto abbiamo ottenuto che il nuovo Trattato europeo venga firmato a Roma quando saranno entrati in vigore i Trattati di adesione con i nuovi dieci membri, firmati ad Atene il 16 aprile scorso. Sarebbe certamente positivo riunire in un breve arco temporale tutte le novità istituzionali dell’Unione.

Terzo punto, l’economia. E anche qui il nostro Paese lavorerà per ridare slancio all’azione di rinnovamento inaugurata dalla strategia di Lisbona. L’obiettivo era quello di rendere l’economia europea entro il 2010 la più dinamica del mondo. Obiettivo ambizioso, certo. Ma le scelte compiute a Lisbona indicano la strada da seguire e le difficoltà che oggi incontriamo in tutti i Paesi dell’Unione testimoniano che ogni rallentamento sulla via di quelle riforme provoca minore competitività, minore crescita, maggiore disoccupazione. L’attuale cambio euro-dollaro appare, a giudizio degli operatori internazionali, corretto. Per alcuni anni, l’euro debole ha consentito alle imprese europee di continuare ad esportare, anche se i costi erano più elevati rispetto alle imprese degli Stati Uniti. E i costi più elevati delle imprese europee non sono quelli delle buste paga dei lavoratori, ma quelli del livello di tassazione. Dunque non c’è taglio dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea che possa salvare i governi dall’unica strada percorribile: affrontare riforme strutturali a cominciare da quella delle pensioni. Una necessità europea cui lavoreremo soprattutto con l’obiettivo preciso di mantenere inalterato il nostro modello di economia sociale di mercato. Tuttavia misure per incrementare il tasso di occupazione tra i lavoratori più anziani o per ridurre gli incentivi al pensionamento anticipato appaiono in linea con le nuove dinamiche della società europea e potrebbero rendere più graduale una riforma europea necessaria per garantire la sostenibilità dei regimi previdenziali all’interno di un patto di solidarietà con le future generazioni.

Il quarto punto coinvolge il futuro dell’Europa. Con l’ingresso dei dieci nuovi membri nel maggio 2004 si completa la prima, storica unificazione del continente. A quattordici anni dalla caduta del Muro di Berlino, l’Europa è stata capace di riassorbire nel proprio progetto nazioni e Stati emersi dal lungo letargo del comunismo: ha esteso i propri confini geografici ad Est, sino al limite della Russia europea e, con i piccoli ma significativi ingressi di Malta e Cipro, ha rafforzato la sua presenza nel Mediterraneo. Da un punto di vista politico, questo processo che ha preso il nome un po’ burocratico di “allargamento”, è stato il più clamoroso successo degli ultimi vent’anni. Un successo del quale l’intera Europa deve essere orgogliosa: Paesi europei fiaccati da decenni di dittature, di economie pianificate, di assistenzialismo burocratico, di società controllate e ingabbiate, grazie alla realtà dell’Unione Europea, sono giunti a condividere le nostre stesse libertà e la nostra stessa democrazia. L’Europa centro-orientale poteva essere ancora a lungo un’area instabile: oggi è invece un’area stabile, in forte crescita, che potrà divenire in breve tempo un motore della Nuova Unione.

Ma l’Europa non può fermarsi qui. Deve proseguire la sua missione, estendere i suoi diritti, la sua democrazia e le sue libertà ad altre nazioni europee rimaste per ora escluse: i Balcani, che sono ormai avviati sulla strada della rinascita, la Romania e la Bulgaria, Paesi candidati il cui ingresso, nel 2007, sarà la conclusione logica del primo processo unitario che prelude ad una seconda e più completa unificazione. Anche per dare una prospettiva europea alle nazioni emerse dalla guerra nell’ex Jugoslavia-Croazia, Serbia-Montenegro, Bosnia, Macedonia – che a velocità differenti stanno già muovendo i loro passi verso Bruxelles, e l’Albania, un Paese che ha compiuto passi sorprendenti sul piano politico ed economico. L’Italia vuole essere per i Balcani il motore del nuovo allargamento che rafforzi la dimensione mediterranea del continente. Rafforzamento che deve passare anche dall’espansione delle reti infrastrutturali: strade, ferrovie, porti che costituiscono la rete dei corridoi pan-europei che legheranno la nuova Europa dei Balcani e del Mediterraneo al resto del continente. In questo quadro, la nostra presidenza si adopererà affinché l’Unione affronti positivamente anche la questione della Turchia e sostenga attivamente il processo di riforma avviato dall’attuale governo di Ankara. La Turchia è un Paese necessario al riequilibrio verso Sud e un ponte di grande rilevanza verso il vicino Oriente. Infine la Russia. Sbaglia chi vede in questa gloriosa nazione qualcosa di estraneo alla storia dell’Europa. Basta passeggiare nelle vie di San Pietroburgo o perdersi nei viali della effervescente Mosca di oggi per rendersi conto del contrario, di quanta Europa vi sia in quelle strade, in quei palazzi, in quella gente. Ed è per questo che ci impegniamo a dare contenuti più concreti a una collaborazione sempre più stretta.

I cittadini europei vogliono istituzioni democratiche ed efficienti, un’economia prospera ed un’Europa che sia anche spazio di libertà e sicurezza. Ecco perché intendiamo migliorare il livello di collaborazione nel controllo delle frontiere esterne, adottando efficaci misure di contrasto alla criminalità transazionale e all’immigrazione clandestina.

Ciò potrà avvenire attraverso una gestione integrata delle frontiere comuni ed attraverso una politica comune dei rimpatri, integrando questo tipo di misure con una politica di controllo, d’accordo con i paesi all’origine diretta dei flussi  che investono l’Europa.

Il compito che ci viene affidato è arduo e sicuramente non potrà essere esaurito nell’arco limitato del tempo della nostra presidenza, ma il nostro Paese intende raccogliere la sfida nel fermo convincimento che la sicurezza e la prosperità del nostro avvenire dipendono dalla continuazione del processo di integrazione europea che da oltre cinquant’anni garantisce pace, democrazia, libertà e benessere al nostro Continente e ai singoli Paesi entrati a far parte della famiglia europea.


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