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Dopo cinque anni è scontro sull’eredità di Schröder
di GIOVANNI BOGGERO

[17 apr 08] Quando nella primavera del 2003 Gerhard Schröder comparve dinanzi al Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco, per presentare ufficialmente il suo ambizioso progetto di riforma sociale, non avrebbe di certo potuto immaginare che di lì a poco, proprio per le proteste suscitate all'interno del partito da quel programma (l’Agenda 2010), avrebbe perso la Cancelleria. A più di cinque anni da quel 14 marzo, la Germania è ancora largamente spaccata a metà nel valutare le conseguenze che quelle misure di ristrutturazione dello Stato sociale e di modernizzazione del mercato del lavoro hanno ingenerato nel sistema economico tedesco. Se Die Linke, il movimento di estrema sinistra nato dalle ceneri della Ddr, ne condanna il carattere implicitamente liberista, nonché gli effetti devastanti sul piano della stabilità sociale, uno studio pubblicato dal Diw, l'Istituto di ricerca sull'economia tedesca, ne mette in luce le geniali intuizioni, nonché le positive ricadute sullo stato dell'occupazione, calata da oltre il 10,5 per cento a poco più dell'8 in appena due anni. Dal canto suo l'Spd, impegnata oggi in prima persona a celebrare questo anniversario, mostra di non aver ancora del tutto digerito la lotta intestina tra riformisti e massimalisti apertasi in quell'occasione. Dopo la brusca sterzata a sinistra ratificata dal Congresso di Amburgo nell'autunno scorso, l'Agenda 2010 pare in effetti essere un capitolo ormai definitivamente superato della storia socialdemocratica.

Lo stesso presidente dell'Spd, Kurt Beck, alle prese attualmente con un netto calo di popolarità dovuto alla sua scarsa chiarezza rispetto ad un'ipotetica alleanza con la sinistra estrema, ne ha sì sottolineato la portata rivoluzionaria, ma ha d'altra parte ravvisato la necessità che a beneficiare di questi successi debbano essere oggi le persone con più difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Non sembra invece alla ricerca di mediazione l'altro papabile alla Cancelleria per le elezioni del 2009, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, il quale non ha avuto remore nel ribadire la bontà e la giustizia di riforme che sono state in grado di avvicinare più facilmente i giovani al mercato del lavoro attraverso strutture di assunzione più efficienti e dinamiche. A gettare benzina sul fuoco di un dibattito già di per sé incandescente, è stata, non più tardi di un anno e mezzo fa, la Fondazione Friedrich Ebert, facente capo all'Spd, la quale aveva dipinto un quadro fosco della situazione economica tedesca, dando risalto ad un presunto aumento della disuguaglianza e dell'insicurezza sociale, in particolar modo tra i cittadini dell'est.

 

Più nello specifico, la precarizzazione del lavoro, come esito delle quattro leggi Hartz, che hanno rimodellato l’assegnazione degli assegni e dei sussidi di disoccupazione per contenere l'esplosione della spesa pubblica, continua ad essere motivo di forte scontro anche in Germania. Ampi settori della società civile mostrano di non aver ancora compreso la portata di una rivoluzione paragonata, tanto dai detrattori quanto dagli estimatori della riforma, alla reaganomics e al tatcherismo. A mettere in guardia il mondo politico dall'abbandono di un simile percorso è lo stesso Schröder, intervistato in questi giorni da alcuni importanti media tedeschi: “L'Spd potrà conquistare una maggioranza in Parlamento – ha detto l'ex Cancelliere - se manterrà la barra del timone al centro della società e non si allontanerà da questa posizione”. Nonostante i risultati incoraggianti sui dati dell'occupazione e della bilancia commerciale, non si può certamente dire che le novità dell'Agenda 2010 abbiano definitivamente colmato le carenze e risolto i problemi di un welfare per larga parte ancora molto pesante. Senza contare le resistenze non ancora appianate di una società a forte tendenza corporativa, nella quale la libertà economica è costantemente conculcata da un massiccio interventismo statale. Eppure, alcune indagini sostengono che, anche in Germania, all'origine del progressivo assottigliamento della classe media ci siano proprio la globalizzazione e l'eccessiva flessibilità del mercato del lavoro, fenomeni che - si dice - andrebbero quantomeno contenuti, attraverso una nuova stagione di presenza dello Stato centrale nell'erogazione dei servizi primari e di più generose prestazioni sociali.


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