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Birmania, la giunta prepara il referendum-truffa
di ENZO REALE

[15 apr 08] Il 23 agosto 2007 Rangoon è umida e plumbea, come quasi sempre. Da qualche giorno c'è uno strano fermento nell'ex capitale, piccoli gruppi di manifestanti si riuniscono per protestare contro l'aumento del prezzo dei carburanti deciso dalle autorità. Davanti all'ambasciata americana un uomo vestito di bianco solleva un cartello reclamando la convocazione del Parlamento democratico eletto nel 1990 e la fine delle privazioni economiche per la popolazione birmana. Si chiama Ohn Than, ha sessantadue anni e non dice una parola. Folle o eroe, a seconda dei punti di vista, Ohn Than sa bene a che cosa sta andando incontro perché è già stato arrestato e condannato altre volte per iniziative solitarie dello stesso tenore. Quando arriva la polizia ad interrompere il suo assolo, la missione è compiuta ed il destino inevitabile già scritto. La sentenza è stata pronunciata la scorsa settimana da una corte distrettuale: vent'anni di prigione o tutta la vita, dipende dalle fonti, e vista l'età non fa molta differenza. Ohn Than va ad aggiungersi alla lunga lista di detenuti che hanno ricevuto verdetti di condanna dopo le manifestazioni di settembre. Amnesty International ne ha identificati una quarantina, prevalentemente esponenti della National League for Democracy di Aung San Suu Kyi, attivisti per i diritti umani e monaci. La tipologia delle pene varia da caso a caso anche se molte di esse sono state comminate sulla base del famigerato art. 505(b) del codice penale che sanziona il procurato allarme e le offese contro la quiete pubblica e la sicurezza dello Stato, un contenitore all'interno del quale è compresa ogni condotta che le autorità ritengano potenzialmente sovversiva: esprimere opinioni o recitare slogan anti-governativi, diffondere informazioni o distribuire volantini, partecipare a riunioni o manifestazioni, dare da bere ai dimostranti.

Poi ci sono i prigionieri in attesa di giudizio, circa settecento secondo stime prudenti, prelevati dalle loro case o dai monasteri nel corso delle retate che si si sono susseguite con crescente intensità dall’ultima repressione violenta. Una volta “ristabilito l'ordine sociale”, la campagna di intimidazione del regime può oggi concentrarsi su una nuova categoria di indesiderabili: sono coloro che - in assenza di spazi pubblici di dibattito e nelle vigenza di leggi che criminalizzano l'opposizione al referendum costituzionale indetto dalla giunta per il prossimo maggio - conducono una battaglia politica clandestina contro la Costituzione dei generali. Dopo un certo travaglio interno sembra che i principali gruppi della dissidenza abbiano adottato una linea comune che esclude il boicottaggio del referendum ed invita i birmani al voto negativo. Ultima in ordine di tempo a definire la propria posizione è stata la Nld che, decimata ed indebolita da decenni di persecuzioni, sembra avere ormai smarrito una direzione politica chiara. Dato che il risultato della consultazione non è in discussione (le milizie in borghese dell’Usda sono state incaricate di gestire – leggasi manipolare – l’intero processo), la scelta del “no” assume soprattutto un valore testimoniale di rigetto nei confronti della dittatura: “Questo non è un referendum - ha dichiarato alla rivista Irrawaddy dal suo nascondiglio Tun Myint Aung, uno dei leader della Generazione dell’88, - è un’opportunità di votare contro il potere militare. Non importa ciò che pensa la gente della costituzione. Si voterà solo per esprimere la rabbia accumulata negli ultimi venti anni”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il giornalista dissidente Ludu Sein, secondo cui la via d'uscita dalla tragedia birmana passa necessariamente per la caduta del regime: “Nella storia del mondo non c’è mai stato nessun dittatore che abbia ceduto volontariamente il potere che teneva saldamente nelle proprie mani […] Non sprechiamo il tempo sognando il dialogo o l’aiuto delle Nazioni Unite. La possibilità di abbattere la dittatura militare è nella forza di ogni cittadino birmano”. Proprio in vista di un’eventuale riedizione del people power il governo sta addestrando corpi di “volontari” alla prevenzione di nuove manifestazioni: ai vigili del fuoco viene insegnato come picchiare i dimostranti che gli assistenti sanitari dovranno poi caricare sui camion, separando i morti dai vivi. Agli sgherri dell’Usda toccano invece le minacce e i pestaggi ai danni degli esponenti dell’opposizione mentre si intensificano gli arresti di attivisti rei di essersi pronunciati a favore del “no” e le sessioni di “educazione patriottica” da parte delle autorità locali. Particolarmente indicativo del clima in cui il processo elettorale si sta svolgendo è il fatto che la data del referendum (sarà il 10 maggio) e il contenuto del testo costituzionale (194 pagine in vendita - sic - per l'equivalente di un dollaro) sono stati resi noti ufficialmente solo mercoledì scorso. 

Le bozze che da qualche settimana circolavano nel mercato nero della politica erano però sufficienti per farsi un’idea di come si può blindare un potere assoluto semplicemente istituzionalizzandolo. All'esercito - il Tatmadaw - è espressamente riconosciuto il ruolo di leadership politica dello Stato; al capo delle forze armate è riservata l'attribuzione del 25 per cento dei seggi in entrambi i rami del Parlamento, ciò che rende impossibile ogni modifica costituzionale che non sia approvata dai militari; i parlamentari in uniforme non risponderanno ad altri che al loro comandante; il presidente della nazione dovrà possedere competenze in campo militare e sarà scelto all’interno di un comitato ristretto composto da tre vicepresidenti di cui uno proveniente dai ranghi dell'esercito; il Parlamento non potrà intervenire nelle questioni di carattere militare, comprese le spese di difesa e l’amministrazione della giustizia interna; le forze armate avranno la facoltà di dichiarare lo stato di emergenza e la sospensione delle garanzie costituzionali, con la conseguente concentrazione di tutti i poteri nella figura del comandante in capo; Aung San Suu Kyi non potrà assumere cariche di rilievo nel nuovo ordinamento in quanto moglie e madre di cittadini stranieri.

Ma una Costituzione piena di trucchi non è comunque un punto di partenza? Se lo chiedono i (pochi) sostenitori della linea benevolente. La domanda tradisce però un pregiudizio positivo verso le intenzioni della giunta, ovvero che il compromesso sia possibile e che il cambiamento possa nascere dagli attuali detentori del potere. In realtà l'intero processo è stato concepito precisamente per l'obiettivo opposto: consolidare lo status quo rendendolo costituzionale ed inattaccabile sul piano legale. I birmani non hanno di fronte un'alternativa politica ma un vicolo cieco: se votano “sì” il potere dei militari sarà permanentemente garantito per legge; se votano “no” la dittatura proseguirà indefinitamente. Come si vede è una non-scelta. Di sicuro Ohn Than quella mattina di agosto non si è giocato la vita per questo.


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