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Non è un Paese per garantisti
di ENRICO GAGLIARDI

[08 apr 08] Il garantismo deve, o almeno dovrebbe essere, un vero e proprio punto di riferimento per chiunque si approcci ai problemi della giustizia. Garantismo, parola per certi aspetti spesso svuotata del suo reale significato, indica il rispetto delle regole sostanziali e procedurali che lo Stato detta per regolare i rapporti tra i singoli. Il garantismo veicola insomma una serie di concetti tra i quali il principio secondo cui la legge è uguale per tutti e per cui si è innocenti fino a sentenza definitiva. Essere garantisti, infine, vuol dire fornire tali garanzie soprattutto a chi normalmente è inviso, perché è proprio verso questi soggetti che si dimostra la superiorità giuridica e morale dello Stato di diritto. A tale proposito, Clemente Mastella rappresenta tutto ciò che la politica per un liberale non dovrebbe essere o fare. Il suo agire politico è sembrato rispecchiare una concezione clientelare dell’elettorato; l’ex guardasigilli ha, nel corso degli anni, coltivato il suo piccolo feudo fino a quel ciclone giudiziario che ha travolto lui e la moglie. Ora veniamo a sapere che quella tempesta mediatico-giudiziaria che lo ha letteralmente sconvolto, in realtà non aveva basi giuridiche per venire in essere, in altri termini non esisteva. A dirlo è il gip di Catanzaro che, nell’ambito dell’ormai nota inchiesta “Why not”, ha escluso qualsiasi profilo penale nelle condotta del leader dell’Udeur.

Se è vero che le parole sono pietre, nel linguaggio del diritto ciò ancora più vero; ecco allora che il magistrato ha dichiarato come, rispetto alla posizione di Clemente Mastella, non vi fossero nemmeno i presupposti per iniziare un’indagine: una presa di posizione molto netta, che inevitabilmente riporta alla luce il problema legato al protagonismo di certa magistratura, autentico fiume carsico che ciclicamente torna in superficie in Italia. Il ministro della Giustizia ennesima vittima di una visione distorta e pericolosa della funzione giudiziaria ma allo stesso tempo compartecipe di una situazione, che lui stesso ha contribuito in parte ad alimentare. Appena seduto alla scrivania di via Arenula, infatti, il ministro ha applicato una sorta di metodo cencelli, affidando posti chiave a livello di dicastero ad esponenti delle principali correnti della magistratura organizzata, in modo da non scontentare nessuno. Non solo, ha praticamente scritto (ed è stato forse questo il suo errore più grave) la riforma (o meglio, la controriforma) della giustizia gomito a gomito con l’Associazione Nazionale Magistrati, assecondando pericolosamente tutti i desideri di una corporazione la quale dovrebbe essere certamente consultata ma che non ha il diritto di porre veti e dettare condizioni come in questi anni è accaduto. In poche parole Mastella ha seguito “l’approccio morbido” con i giudici evitando (a differenza di Castelli, il suo predecessore) lo scontro frontale senza però da questo comportamento trarre chissà quali benefici, considerando l’epilogo della vicenda e la caduta di questo governo sfiduciato proprio in materia di giustizia.

Ancora una volta si torna al punto di partenza: urge nel nostro Paese una riforma seria della giustizia per responsabilizzare maggiormente la magistratura, evitando così che l’indipendenza sacra del Parlamento venga messa a repentaglio (come nei fatti è accaduto) dalla sconsideratezza di certe inchieste non aventi nessun appiglio giuridico e fattuale. Chi ha iniziato un’azione penale priva di senso nei confronti di Mastella non verrà sanzionato dall’unico organismo in grado di farlo, il Csm e cioè l’organo di autocontrollo dei giudici; chi ha messo sotto scacco un intero governo non risponderà civilmente per i suoi errori. Certo, se una compagine fosse sufficientemente robusta non dovrebbe risentire dei contraccolpi di un’azione giudiziaria, ma è innegabile come un avviso di garanzia ad un esponente di spicco del governo possa creare conseguenze anche in termini di opinione pubblica, soprattutto in questi periodi di antipolitica. Cosa resta dunque? L’ennesima maggioranza che cade rovinosamente a colpi di avvisi di garanzia in un Paese che si caratterizza per una cultura giuridica davvero di infimo livello e nel quale la presunzione di non colpevolezza costituzionalmente garantita spesso diventa lettera morta; solo quando saremo investiti da un cambiamento che coinvolga tutti, si potrà iniziare a parlare di garantismo in senso sostanziale. E’ auspicabile che tale procedimento parta in primo luogo dalla politica.


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