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Elezioni in Zimbabwe: la fine di Mugabe?
di ANGELO M. D'ADDESIO

[01 apr 08] L’era di Robert Mugabe, prima eroe dell’indipendenza dello Rhodesia dalla Gran Bretagna nel 1980, poi presidente-padrone del Paese per 28 anni e cinque mandati presidenziali, sta per tramontare. Le elezioni legislative e presidenziali tenutesi il 29 marzo scorso, infatti, segnano la grande avanzata dell’opposizione del Movimento democratico per il cambiamento e del suo leader storico Morgan Tsvangirai, accreditato del 55 per cento dei consensi, dato che gli eviterebbe il ballottaggio con l’84enne presidente in carica, membro dello storico partito Unione africana per lo Zimbabwe (Zanu-PF), fermo al 36 per cento. Il terzo candidato, Simba Makoni, ex ministro dell’Economia del governo di Mugabe, dissociatosi da questi qualche mese fa ed espulso dal partito insieme ad altri dissidenti, avrebbe raggiunto il 9 per cento. Questi dati provengono da fonti sudafricane e dall’opposizione. Nelle elezioni parlamentari, dove vige ancora un grande equilibrio, risulta in modo non ufficiale che molti ministri del governo in carica siano stati sconfitti. Potrebbe essere la fine di un incubo durato quasi tre decenni per un Paese divenuto indipendente solo nel 1979, con la Conferenza di Londra, dopo i fallimenti delle rivolte violente negli anni Sessanta. Da allora lo Zimbabwe ha conosciuto una deriva politica ed economica senza precedenti al mondo. Il presidente Mugabe, instaurando una sorta di regime di “apartheid bianco”, ha iniziato l’espropriazione forzata dei grandi possedimenti terrieri alla popolazione bianca, parcellizzandoli e distribuendoli senza criterio agli inesperti contadini neri. Il risultato è stato il crollo delle produzioni e l’inizio di un forte ostracismo verso la proprietà estera, industriale ed agricola.

Successivamente sono avvenute l’unificazione del premierato e della presidenza e l’abolizione dell’opposizione, fino al 1990, anno in cui è stata bloccata la modifica costituzionale che avrebbe dato pieni poteri al presidente. Ciò non ha impedito a Mugabe di macchiarsi di brogli nelle elezioni presidenziali del 2002, di far vessare ed incarcerare i leader dell’opposizione, come accaduto nella successiva tornata del 2005 e lo scorso anno. Nel novembre del 2007 è fallito l’ultimo tentativo di mediazione della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, del Sudafrica e della Gran Bretagna, per l’attuazione di riforme comuni di maggioranza ed opposizione sul piano economico ed istituzionale: Mugabe ha rifiutato ogni intervento esterno ed ha indetto nuove elezioni. La campagna elettorale si è svolta nel solito clima di intimidazione, con restrizioni nel regime di informazioni, atti di sicurezza che prevedono la presenza dell’esercito e della polizia nei seggi, restrizioni nel monitoraggio delle liste elettorali e divieto di ingresso per osservatori internazionali di molti Paesi, tranne quelli non ostili al presidente (Russia, Iran, Cina, India, Malesia, tra gli altri). Così 3,5 milioni di elettori sono andati alle urne con l’ultima speranza di rovesciare le sorti di un Paese che presenta dati negativi incredibili (100mila per cento il tasso di inflazione reale, disoccupazione all’80 per cento, più del 30 per cento delle imprese straniere hanno lasciato il paese negli ultimi tre anni).

E’ difficile dire se ci riusciranno. Mugabe ha avvertito che qualunque proclamazione di vittoria prima dello spoglio definitivo sarà considerata un golpe da punire con il controllo militare, ma l’esercito non è più completamente dalla parte del presidente uscente (sebbene il capo della polizia Augustine Chihuri, il generale dell'esercito Constantine Chiwenga e il capo dei servizi carcerari, Paradzai Zimondi abbiano fatto sapere che non giureranno mai con un altro presidente). Intanto l’opposizione, dopo aver denunciato tentativi latenti di brogli negli scrutini, sta cercando di prendere accordi con le fazioni moderate delle forze di sicurezza. Uno scenario che si presenta ancora più aspro e disordinato di quanto avvenuto in Kenya nei mesi scorsi dopo le elezioni di dicembre e che soltanto lo stesso Mugabe può determinare, decidendo se proseguire nella linea dura che porterebbe alla guerra civile, oppure farsi da parte, senza rischiare nulla e chiedendo un buon ritiro in qualche Paese vicino. Il divieto di rendere pubblici gli spogli e l’allerta delle forze militari fanno pensare alla prima strada.


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